L’autonomia amministrativa non vale in pratica solo per le province di Yala, Naratiwhat e Pattani, ma anche per tutte le province che vedono il loro governatore nominato dal governo centrale. E l’aspirazione della popolazione a decidere localmente delle proprie aspirazioni è comune in tutta la Thailandia, tanto da spingere molti militanti e organizzazione a porre al centro della propria agenda questo problema dell’autonomia amministrativa.
Potrebbe forse essere questa la chiave di volta per porre in essere una riforma decentralizzante anche per il lontano meridione thailandese?
Questioni di autorità
Da almeno otto anni, la regione thailandese a minoranza musulmana malay si è avviluppata in un livello di violenza senza precedenti, la gran parte che coinvolge i separatisti malay musulmani che desiderano l’indipendenza dalla nazione a predominanza musulmana. Studiosi locali e attivisti hanno invitato i governi thai che si succedevano ad introdurre qualche forma di governo autonomo per disinnescare la violenza nella storicamente inquieta regione, cercando un qualche compromesso politico che, sebbene non sia indipendenza, conceda agli agenti regionali una sostanziale autonomia nella regione dove in predominanza si parla malay che comprende le province di Yala, Narathiwat, Pattani ed alcuni distretti di Songkla. Nonostante ci siano stati vari modelli di riforma raccomandati negli scorsi anni, tutti mancavano della forza politica da indurre il governo centrale a sostenerli. Il modello più famoso è quello chiamato “Nakorn Pattani” di Chavalit Yongchaiyudth.
Il modello proposto implicava la dissoluzione del Centro Amministrativo delle province della Frontiera Meridionale (SBPAC), la cui direzione è sempre stata assegnata dal governo centrale ad un Buddista Thai, e la formazione di una nuova unità politica con un singolo governatore eletto per la regione. Il partito che uscì vincente dalle ultime elezioni scorse, Puea Thai Party (PTT), aveva sempre sostenuto nel sud sulla base del modello di Nakorn Pattani fino al momento in cui Chavalit si dimise dal suo ruolo di consigliere nell’aprile 2011.
Nel 2005, un gruppo di ricercatori, guidati da Srisompob Jitpiromsri dell’Università di Songkla, proposero un altro modello in cui si istituiva un nuovo ministero per il meridione. Il capo del ministero sarebbe stato nominato in teoria dal governo centrale tra i membri locali eletti nel parlamento. Il modello fu adottato e sostenuto solo da un gruppo del piccolo partito Matuphum, che ha vinto un solo seggio nella regione alle ultime elezioni.
Sin dal 2009, una rete di ventitré organizzazioni ha lavorato al modello di Pattani Mahanakorn, e tra queste organizzazioni ci sono Deep South Watch della Università di Songkla e CSCD.
Questo modello ha delle somiglianze con il modello di Chavalit, Nakorn Pattani, nel fatto che includerebbe un governo eletto per la regione. Comunque la differenza è che scioglierebbe varie agenzie politiche decentrate comprese le organizzazioni amministrative subdistrettuali, le organizzazioni amministrative provinciali e le municipalità.
Il modello Mahanakorn Pattani fu sviluppato in parte poiché divenne chiaro che il precedente modello del gruppo di Srisompob non garantiva abbastanza potere decentralizzato. Esso Srisopob, che fa parte sia di Deep South Watch che di CSCD, ha lavorato ad entrambi i progetti.
“Quando cominciammo a sviluppare il modello del ministero non sapevamo se la violenza sarebbe cresciuta o se lo stato avrebbe avuto successo nel reprimerla. Ma dopo otto anni di violenze continuate è diventato sempre più chiaro che lo stato non riuscirà a sconfiggere l’insorgenza attraverso operazioni militari. La situazione quindi sembrava garantire anche un corpo ancor più decentralizzato come Pattani Mahanakorn.” dice Srisompob.
La rete di organizzazioni pensa di tenere 200 forum nella regione a predominanza musulmana per ricevere informazioni dalla base sui modelli di riforma politica, a partire dalla presentazione al pubblico dei tre menzionati modelli, come pure di altri che includano strutture che istituiscano governatori eletti per ogni provincia piuttosto che un singolo governatore per tutta la regione, oppure se tenere in piedi o dissolvere gli attuali corpi decentralizzati.
E’ anche possibile mantenere la struttura di governo attuale con l’elezione, però, del capo del SBPAC. Il capo attuale Tawee Sodsong, un alleato stretto del già premier e capo di fatto del governo del PTT Thaksin, di recente ha detto che lui poteva essere anche l’ultimo capo del SBPAC ad essere nominato.
Di fronte a questo ci sarebbe un sostegno incredibile per la decentralizzazione o l’autonomia tra la popolazione a lingua malay che è quasi l’85% della popolazione di Pattani, Narathiwat e Yala. Ma il conflitto con il centro della nazione dura da secoli e i musulmani malay hanno sempre lamentato la discriminazione per il modo in cui si è avuta la costruzione della nazione secondo Bangkok. Comunque, il partito democratico ha vinto 9 degli 11 seggi e il 55% dei voti di partito nelle province distrutte dalla violenza nelle scorse elezioni di luglio. Ironicamente, i democratici conservatori non solo avevano una storia di sostegno scialbo tra i musulmani malay, ma il partito si era apertamente opposto alla decentralizzazione del potere per la regione. I partiti che sostenevano la decentralizzazione, tra i quali il Puea Thai, erano usciti sconfitti. Questi risultati riflettono in parte le risorse sostanziose messe in moto dai democratici che storicamente hanno un controllo elettorale sulle province meridionali a maggioranza etnica thai. C’erano inoltre vari rapporti di secondo cui i democratici offrivano più soldi in cambio del voto rispetto agli altri partiti e che alcuni membri locali del ministero dell’interno intimidivano la gente affiché votassero per candidati democratici.
Alcuni osservatori nella regione credono che questi presunti sforzi di manipolazione del voto risultassero da un più vasto interesse dello stato nel reprimere movimenti politici che ora cercano concessioni di autonomia. Alcuni opponenti alla riforma, infatti, comprese personaggi delle forze armate e rappresentati buddisti thai, puntano ora al risultato elettorale locale nella regione come una prova democratica che la maggioranza dei malay musulmani non vuole la decentralizzazione o una maggiore autonomia. Questa opinione è comunque messa in dubbio da indagini statistiche sulla posizione verso la decentralizzazione. Nel 2006 il gruppo di ricerca di Srisompob in una sua inchiesta a 874 persone, trovò che il 54% dei malay musulmani sostenevano una qualche forma di governo regionale. Asia Foundation in un’inchiesta del 2010 trovò che il 54% dei malay musulmani credevano che la decentralizzazione o l’autonomia sarebbe stato di aiuto a risolvere il conflitto nella regione.
In realtà tanti musulmani malay sono stanchi di inchieste messe in moto da esterni temendo che l’espressione del sostegno per l’autonomia potrebbe essere visto come un desiderio per una completa indipendenza. Vari ricercatori locali di recente spiegavano il sostegno moderato solo in apparenza per il cambiamento politico notando che le sezioni della popolazione poco istruita non comprendeva la decentralizzazione o l’autonomia.
Certo un referendum sarebbe un barometro più cero delle posizioni locali. Comunque gruppi della società civile credono che l’esercizio democratico del referendum non sarebbe ben visto dal governo a Bangkok. Per dimostrare che il modello di Pattani Mahanakorn ha il sostegno della maggioranza la rete di organizzazioni cerca 10 mila firme dai cittadini della regione per presentare una legge di petizione al Parlamento.
Un maggiore ostacolo alberga nella possibilità di fare accettare la riforma politica al resto della Thailandia che è per la maggioranza buddista di lingua Thai. Un’indagine della Suan Dusit del 2009 rivelava che la proposta di Chavalit della Nakron Pattani non era accettata dal 72% della popolazione. La maggioranza dei Thai, compresa i musulmani che vivono fuori della regione inquieta, sembrano mostrare poca simpatia per i problemi dei malay musulmani del lontano meridione, i cui insorti non hanno ucciso soltanto tanto personale delle forze di sicurezza, ma anche tanti della minoranza thai buddista del meridione tra i quali almeno un centinaio di docenti. E sono tanti i buddisti thai ad aver abbandonato la regione.
Il ministro degli interni, le forze armate e la polizia da tempo si sono opposti alla decentralizzazione, indipendentemente dalla regione. Tranne che per Bangkok, le altre 76 province thailandesi sono governate da governatori nominati da Bangkok. I corpi eletti localmente, tra i quali le amministrazioni dei sotto distretti e delle province e delle municipalità, a cui è stata data maggiore autonomia dalla costituzione progressista del 1997, sono largamente percepite come deboli.
Allo stesso tempo, la popolazione generale thailandese non sembra sostenere il sistema attuale di governo amministrativo centralizzato. Un’indagine della Asia Foundation notava che il 69% degli intervistati a livello nazionale ed il 75% dei malay musulmani nel lontano meridione sostenevano la decentralizzazione e le elezioni dirette dei governatori provinciali.
E’ forse questo l’indicatore più ottimista per chi spinge per le riforme di decentralizzazione nel lontano meridione, e aiuta anche a spiegare gli interessi simili tra gli attivisti a livello nazionale che si coordinano sempre di più su questa istanza. Il coordinamento tra le organizzazioni e gli individui non avviene solo con quelli di Bangkok ma anche con le realtà di Chang Mai nel Nord e Kohn Kaen nel nordest. A Chang Mai gli attivisti della società civile hanno sviluppato un modello per un governo provinciale più autonomo conosciuto come Chang Mai Mahanakorn.
Indipendentemente dalla regione di provenienza modelli di riforma necessiteranno alla fine del sostegno del parlamento per diventare legge. Alcuni osservatori credono che se i politici provinciali riusciranno a conquistare la decentralizzazione per le loro province è più probabile che potranno sostenere simili riforme nel lontano meridione.
Quel sostegno sembra mancare tra i senatori dal momento che piùà della metà sono nominati da interessi conservatori e tendono a sostenere lo status quo per le strutture politiche. Tali oppositori hanno da tempo sostenuto che cedere l’autorità centrale sarebbe il primo passo verso la disintegrazione della nazione thai e che la maggioranza della popolazione poco istruita non è pronta per l’autogoverno. Inoltre di recente i vecchi burocrati, i politici del partito democratico e gli alti ufficiali hanno pesantemente attaccato il Puea Thai e il gruppo affiliato UDD delle Magliette Rosse perché volevano instaurare uno stato repubblicano, cosa che entrambi hanno negato.
Con le recenti proteste dell’UDD che mettevano in ginocchio Bangkok, con la violenza che correva nel lontano meridione e con una prossima storica successione al trono, le strutture di governo del paese non sono discutibilmente ancora sostenibili. E, negli anni a venire, gli sforzi di imporre l’autorità burocratica di Bangkok sulle province, specialmente quelle musulmane del lontano meridione, cresceranno sicuramente.
Jason Johnson Asiatimes.com