L’Indonesia si percepisce come un paese neutrale e potenziale mediatore nella disputa sul Mar Cinese Meridionale, ma la realtà geopolitica e i propri interessi nella regione è in evoluzione e forse questo ruolo di mediatore potrebbe avere dei grandi limiti.
L’Indonesia non è tra gi stati che reclamano sovranità nel Mare Cinese Meridionale su qualche isola. Ma i suoi interessi sono in pericolo specialmente se si considera la sovrapposizione tra la mappa dalle 8 linee redatta dalla Cina e la zona economica speciale indonesiana attorno alle Isole Natuna, all’estremità meridionale del Mare Cinese Meridionale. Ma l’Indonesia non ne fa materia pubblica per non opacizzare la sua figura di paese neutrale.
Quindi da stato che non reclama qualcosa, l’Indonesia pensa di essere ben posta per un ruolo di mediatore. Il tutto ebbe inizio nel 1990 quando Giacarta diede inizio ad una serie di workshop informali tra le parti interessate per incoraggiare la cooperazione ed incrementare la fiducia e la comprensione reciproca. A più di 20 anni di distanza comunque questa percezione di sé è sempre di più impossibile per varie ragioni.
In primo luogo l’Indonesia vede con cautela la sempre maggiore presenza marittima cinese, sostenuta dalla sua marina moderna e forte e dalle sue unità paramilitari. In passato Giacarta ha dovuto sopportare la posa aggressiva cinese quando le sue navi di pattuglia furono minacciate con le armi da una nave cinese dopo che alcuni pescatori cinesi erano stati arrestati per pesca illegale nelle acque delle isole Natuna.
Inoltre, è sempre più difficile per Giacarta comprendere, e quindi simpatizzare, per il punto di vista cinese basato sulla giurisdizione storica che non è sostenuta dalla Convenzione Internazionale dei Mari dell’ONU (UNCLOS). E’ questa la ragione per cui a distanza di un mese da quel famoso incidente alle isole di Natuna l’Indonesia inviò una nota diplomatica all’ONU in cui affermava che le richieste cinesi non “avevano alcuna spiegazione per le basi legali” delle sue richieste e quindi destinate ad “sconvolgere la legge internazionale dell’UNCLOS.”
Ancora, l’Indonesia si discosta dalla Cina sul processo di stesura del Codice di Condotta delle Parti. Mentre la Cina chiede di essere coinvolta nel processo complessivo, l’Indonesia crede che l’ASEAN dovrebbe avere una propria posizione comune prima di negoziare con Pechino.
Inoltre, diversamente dalla Cina, l’Indonesia non si oppone alla partecipazione di altre potenze come gli USA, per discutere nei forum regionali, in quanto considera questi coinvolgimenti necessari per mantenere un equilibrio dinamico, cioè impedire ad una potenza, la Cina, di trovarsi in una posizione dominante. In ultimo certo non in ordine di importanza, mentre si proclama stato senza reclami da fare, Giacarta riconosce tacitamente i propri interessi acluni dei quali vanno contro i desideri cinesi.
Cosa è in gioco?
Nonostante l’accordo bilaterale di amicizia strategica, Giacarta è fortemente ansiosa verso le ambizioni cinesi. Giovano un ruolo centrale le intenzioni cinesi nelle isole Natuna che sono uno dei più grandi giacimenti di gas al mondo: il blocco est di Natuna, conosciuto come Blocco D alfa, contiene 46 trilioni di metri cubi di gas naturale.
Pechino non ha formalmente assicurato Giacarta sulle sue richieste di “acque storiche” che si sovrappongono nell’area, ma Giacarta sembra intenzionata a dimostrare a Pechino i suoi giusti diritti sull’area. Nel dicembre 2010 la compagnia nazionale Pertamina ha iniziato un programma congiunto con ExxonMobil, Total e Petronas per esplorare il blocco orientale ed avere la prima produzione di gas per il 2021.
Considerati inoltre le sue richieste interne, la sicurezza energetica indonesiana la spinge oltre la sua zona economica esclusiva, tanto che nel 2002 la Pertamina ha firmato un accordo con PetroVietnam e Petronas per esplorare congiuntamente alcuni blocchi nel bacino di Nam Con Son, in parte in sovrapposizione con le richieste di sovranità cinese. Questo non va proprio d’accordo con Pechino, la cui compagnia petrolifera nazionale ha appaltato una delle aree per sviluppo conginto seguendo i propri presunti diritti territoriali.
Oltre all’energia, Giacarta ha qualche cosa da giocarsi nella sicurezza della navigazione (SLOC) dove la massa dei suoi traffici passa per il Mare Cinese Meridionale. Si tenga presente che le quattro maggiori economie asiatiche del nordest, Giappone, Corea del Sud, Cina e Taiwan, rappresentano il 34% e 45% delle esposrtazioni ed importazioni dell’Indonesia, rispettivamente. Inoltre il mare di Natuna è una ricca zona di pesca che dà un grande contributo alla economia locale.
Nonostante gli interessi divergenti, Giacarta è molto osciente che avrebbe più da perdere che da guadagnare se il rapporto con Pechino, che non è stato mai così buono, si inasprisse. La Cina ha promesso 19 miliardi di dollari in credito per gli investimenti e 9 miliardi per sviluppi infrastrutturali in Indonesia. Anche nel campo della difesa i due paesi hanno stabilito la cooperazione sullo sviluppo e produzione congiunta di missili navali. Di recente la Cina si è offerta di costruire un sistema di sorveglianza costiera da 158 miliardi di dollari per aiutare i sistemi offerti dagli USA che valgono solo 57 milioni di dollari. Entrambe le nazioni inoltre si sono accordate per creare un Centro Indonesiano Cinese per gli oceani ed il clima nella ricerca oceanografica e climatica, che prevede le isole Natuna come uno dei suoi centri.
Questa cooperazione non è esclusiva e Giacarta riconosce che i suoi interessi sono meglio preservati se riesce a mantenere una indipendenza strategica costruendo differenti amicizie con varie potenze straniere. Cionondimeno se la situazione nel mare cinese meridionale dovesse deteriorarsi, la realtà geopolitica potrebbe spingere Giacarta ad un riallineamento, ponendo scelte difficili per l’elite indonesiana se aggregarsi all’espansionismo cinese oppure ad aggregarsi a potenze dalla simile mentalità.
Nel primo caso l’Indonesia sarebbe ancor più impossibilitata a mediare nelle dispute, ma con un possibile guadagno se la Cina rinuncia alle sue pretese nelle isole Natuna, oltre al fatto di ricevere ulteriore assistenza. L’altra scelta vedrebbe l’Indonesia legarsi maggiormente agli USA, all’Australia, Giappone, Corea del Sud e forse una ben venuta maggiore presenza regionale dell’India, mentre si prepara ad una Cina diventata nemica.
Giacarta potrebbe anche farsi forte e divenire vocale per un ASEAN unita di fronte alla Cina. Qualunque siano le sue scelte, Giacarta deve comprendere che la sua difesa migliore sarà di contare sulle proprie forze, per esempio, attraverso una modernizzazione continua della sua marina e dell’aviazione per rafforzare la propria presenza nelle isole Natuna e nelle acque circostanti.
Euroasiareview, Ristian Atriandi Supriyanto