Il Metropolitan Museum of Art di New York inviò alcune settimane fa due suoi dirigenti di più alto grado in Cambogia per risolvere una questione spinosa che riguarda due pezzi antichi di arte khmer, che il museo esibisce da tanto tempo in modo, per sapere se essi sono il risultato di un saccheggio.
Ed hanno avuto la risposta. I rappresentanti cambogiani hanno mostrato i documenti secondo cui le due statue del X secolo, donate al Museo in quattro pezzi come doni separati negli anni a cavallo tra il 1987 e il 1992, erano state davvero trafugate da un tempio remoto della giungla nel periodo della guerra civile degli anni 70.
Le due opere d’arte a grandezza naturale in rocce di arenaria, conosciute come “Gli attendenti in ginocchio” e di guardia all’ingresso delle gallerie del sudest asiatico del Museo sin dal 1994, saranno rimpatriate quanto prima.
La decisione è giunta dopo mesi di contatti tra i rappresentanti del Museo e i rappresentanti cambogiani, dopo che la parte cambogiana ha offerto le prove che le opere erano state rimosse dal complesso del tempio di Koh Ker, a duecento chilometri da Phnom Penh, e rappresenta una delle più significative decisioni durante tutti i lunghi controversi rimpatri fatti dai musei americani.
Tra le prove addotte ci sono le fotografie delle basi distrutte presso il tempio e le affermazioni dei testimoni raccolte dai cambogiani secondo cui le statue erano intatte fino all’anno 1970. Inoltre le prove fotografiche mostrano che altre statue dello stesso complesso erano rimaste in loco fino al 1975.
“Questo è uno dei casi in cui ulteriori informazioni riguardante le due statue hanno portato il museo a considerare i fatti che non erano conosciuti al momento dell’acquisizione e utili all’azione che annunciamo oggi” ha detto il direttore Campbell del museo.
La decisione del Metropolitan Museum of Art riflette la sensibilità crescente del popolo americano rispetto alle rivendicazioni dei paesi stranieri per la restituzione dei propri oggetti culturali. Tanti pezzi che da tempo sono esibiti nei musei non hanno una documentazione precisa che mostri come abbiano lasciato il paese di origine, ma di recente sempre più musei e studiosi hanno spinto affinché i musei si dotino di standard più rigorosi di acquisizione dei pezzi.
I due Attendenti in ginocchio giunsero al Museo in quattro pezzi, due teste e due corpi che furono acquisiti senza storie dettagliate benché si fosse fatto un qualche tentativo di stabilire la liceità dell’acquisizione delle statue.
Il segretario di stato cambogiano Chan Tani ha mostrato tutta la sua eccitazione per il rientro delle statue: “Questo mostra l’alto livello di standard etico del Museo per cui sono famosi nel mondo”.
Inoltre la Cambogia si attiverà per esaminare altri pezzi presenti nella galleria del Metropolitan con cui è presente comunque una collaborazione culturale più vasta.
Harold Holzer, vice presidente per gli affari esterni del Metropolitan, dice: “Come una questione di cortesia abbiamo voluto andare lì e comunicare di persona l’evento piuttosto che con una semplice email.” spiegando l’evolversi del negoziato che ha portato due suoi rappresentanti ufficiali Sharon Cott e John Guy a Phnom Penh.
Resta ancora un’altra questione aperta, questa volta non con il Metropolitan ma con Sotheby’s, quella del guerriero Duryodhana. La statua del X secolo e dello stesso complesso dei due attendenti in ginocchio doveva essere venduta nel 2011 per 3 milioni di dollari per conto del suo padrone belga. Di recente i rappresentanti degli USA hanno chiesto ad una corte federale, per conto della Cambogia, di confiscare la statua.
Mentre Sotheby’s dice di aver verificato secondo gli standard appropriati l’origine dell’artefatto prima di sottoporlo all’azione di vendita, sostiene che l’azione del Metropolitan non getta alcuna luce sull’istanza fondamentale di questa causa in quanto chi lo ha comprato lo ha fatto nel 1975 in buona fede quando non c’erano al momento da parte cambogiana alcuna richiesta di proprietà.
Una quarta statua, Bhima, si trova presso il museo Norton Simon a Pasadena che però si è dichiarato disponibile a collaborare con il governo su questa faccenda.
Le statue degli “Attendenti in ginocchio” giunsero al Metropolitan Museum of Art in una serie di doni da parte di varie persone e compratori, tra i quali Spink&Son di Londra, un collezionista inglese Latchford ed altri. Nel 1993 c’erano tutti i pezzi che poi furono montati a cura dei restauratori del museo.
Lo stesso Latchford è il proprietario della statua del Sotheby’s che fu venduta sempre da Spink&Son al marito dell’attuale proprietario. Ma Lacthford sostiene che le carte sono errate in quanto la casa inglese lo considerò proprietario a scopi amministrativi ma lui non fu mai un proprietario. Inoltre nega alcun ruolo nella spedizione illecita del pezzo come di altri pezzi di arte Khmer.
“Certo queste cose sono sparite una notte dalla Cambogia e riapparse altrove. Ma se non lo fossero state probabilmente sarebbero servite come bersaglio per i fucili dei khmer rossi” disse Latchford in una intervista vantando anche il ruolo essenziale di collezionisti e musei nel salvare e tenere i pezzi artistici della cultura khmer.
Lo stesso Latchford ha donato vari pezzi al Metropolitan tra i quali una testa di pietra del Buddha ed una testa in Bronzo di Shiva risalenti al X secolo, ma su essi secondo Holzer non ci sono sforzi di determinare la provenienza.
Comunque il comportamento del Metropolitan Museum of Art ha consegnato varie opere di dubbia provenienza ai legittimi stati, come 19 pezzi provenienti dalla tomba di Tutankhamen che facevano parte della sua collezione sin dal 1900 e riportati in Egitto, oppure alcuni vasi in argento riportati in Italia.
Tess David, ricercatore scozzese di antichità cambogiane presso il Centro Scozzese per la ricerca del crimine e della giustizia a Glasgow, sostiene che il gesto del Metropolitan Museum of Art è un segnale anche per gli altri musei americani che ospitano pezzi di dubbia provenienza. “Avrebbero potuto considerare la Cambogia un ostacolo, ed invece hanno riconosciuto in esso l’opportunità di stabilire uno standard morale per il modo museale.”
Ralph Blumenthal NYT