La notte del sei di luglio, un gruppo di uomini sostava vicino al costoso Sedona Hotel, di fronte al vecchio palazzo reale di Mandalay, un punto di incontro risaputo per la comunità LGBT locale.
Improvvisamente arrivò la polizia e furono arrestati dodici uomini per “schiamazzi e disturbo della quiete pubblica”, stando a quanto sostiene il poliziotto Soe Nyein che affermava che i travestiti sono risaputi per derubare le vittime ignare.
Tra quelli arrestati c’era Win Min, un giovane. Dice che era stato arrestato per essersi travestito da donna, una cosa proibita da una legge dell’era coloniale inglese che vieta di cambiare la propria apparenza. In un caffè Win Min parla con calma riuscendo però a mala pena a nascondere la pura infusagli quando lui e i suoi amici erano stati picchiati ed umiliati dalla polizia “per correggere il comportamento”. Più tardi quella notte stessa erano stati tutti rilasciati senza alcuna accusa.
Fatti del genere non sono nuovi in un paese dove l’omosessualità è tecnicamente illegale, a causa di una legge scritta male, introdotta dagli inglesi che vieta “atti sessuali innaturali”, che nessun governo si è mossa per abolire da quando Myanmar conquistò l’indipendenza nel 1948. Epure solo alcuni giorni dopo il loro arresto, quegli stessi uomini fecero qualcosa che non ha precedenti nella storia del paese: invece di nascondersi e restare in silenzio per la paura, come era stato detto loro dalla polizia, decisero di parlare e tenere una conferenza stampa per denunciare gli abusi a cui avevano dovuto sottostare.
Myanmar vive una transizione politica verso quello che i generali al potere denominavano come “una democrazia disciplinata”, che ha condotto un allentamento della censura dei media, il rilascio di centinaia di attivisti politici e la nascita come spontanea di organizzazioni della società civile clandestine durante i decenni della dittatura militare. La comunità lesbica, gay, bisessuale e trangender (LGBT) si mobilita anche ed ora c’è un movimento che reclama gli eguali diritti.
Forse il più famoso difensore dei diritti della comunità LGBT è Aung Myo Min di Moulmein, la capitale dello stato Mon. Aung Myo Min prese parte nel 1988 alla rivolta contro il governo militare e potette tornare in Myanmar lo scorso anno dopo essere rimasto in esilio per quasi venticinque anni per il suo attivismo politico. Dal suo ritorno ha fondato Equality Myanmar con uffici a Yangoon e Mandalay.
Equality Myanmar è la prima organizzazione nel paese che si occupa dei diritti della comunità LGBT ed è stata molto attiva dalla sua fondazione. “Ad aprile siamo riusciti a creare una rete dei diritti in Myanmar compreso piccole organizzazioni dalle 13 aree del paese” dice Aung Myo Min.
Il fatto che gli uomini di Mandalay abbiano deciso di parlare sta ad indicare che qualcosa si muove dentro la comunità LGBT del Myanmar. “Vedo un loro rafforzarsi a partire dal nulla verso qualcosa. Anche se non riusciamo a farci valere contro la polizia, questo genere di cose motivano ognuno di loro e li incoraggiano a battersi” dice Aung Myo Min.
La comunità LGBT non deve solo affrontare la polizia ed il sistema giudiziario. Il paese è a predominanza buddista e la religione sostiene una mentalità profondamente conservatrice. Molti buddisti, secondo Aung Myo Min, considerano le persone della LGBT come “strane creature” che sono puntie in questa vita per colpe commesse durante le precedenti reincarnazioni.
La pressione sociale può avere effetti duri anche all’inerno della unità familiare. Zin Min Htun è un uomo di 32 anni, un artista del trucco che preferisce farsi chiamare col nome femminile Ma Pwint, lo sa molto bene. Quando all’età di 21 anni Ma Pwint studiava all’università, decise di di rivelare il proprio orientamento sessuale durante una festa di devozione ai nats, gli spiriti adorati e temuti in Myanmar. Andò al festival vestito da nat femmina, dove suo padre lo scoprì, lo portò a casa e lo malmenò per ore prima di rinchiuderlo per una settimana nella sua stanza.
Dopo quella traversia Ma Pwint andò a viver in una città differente come uomo eterosessuale. Dopo tre anni di vita nella menzogna, si spostò a Mandalay dove infine rivelò il proprio orientamento sessuale. Ora vive con i suoi genitori, una coppia anziana conservatrice che non riesce ad accettare la sua omosessualità, riuscendo ad essere tuttavia il volto più conosciuto nella scena gay locale e danza con regolarità alle feste dei nats per tutto il paese.
La vita non è più facile per le donne lesbiche. “Harry”, una studentessa di 17 anni di Mandalay che fa la volontaria ad un’organizzazione locale dei diritti LGBT, CAN, si trova ad avere tante sfide in cas. Suo padre, un tassista buddista, non accetta la sua sessualità. La madre musulmana e la nonna l’accettano con riluttanza; la madre trova sollievo nel fatto che non si troverà incinta mentre la nonna crede che è solo un momento che passerà.
Comunque Harry non ha dubbi sul proprio orientamento sessuale. Da tomboy maturo ed accorto, si è sempre sentita ridicola nel vestire da ragazza e ha trovato la libertà nel vestirsi da ragazzo sin da bambina. Le piace giocare a football, uno sport che è riservato per i maschi in Birmania, ed afferma che si sente a casa solo quando si trova al CAN. “E’ come una seconda famiglia” dice ed aggiunge che in questo posto trova un livello di rispetto che raramente trova in qualunque altra parte.
Talvolta chi la conosce la insulta per le sue apparenze da ragazzo, “ma la gente che non mi conosce pensa che io sia un ragazzo” dice sorridendo maliziosa. In ogni caso crede che le lesbiche sono meno discriminate poiché credono che i tomboy diventeranno uomini nella prossima reincarnazione, dal momento che si crede che le donne siano inferiori agli uomini.
In un tale ambiente, non sorprende che alcuni preferiscano tenere nascosta alla propria famiglia la vera sessualità. Una di loro è TJ, una ragazzo che lasciò il suo villaggio nella divisione Magwe due anni fa per studiare in glese a Mandalay. Dopo che giunse alla fine la sua prima relazione con un uomo, incontrò un altro su internet di Yangoon. Si innamorarono ed ora stanno facendo risparmi per potersi incontrare faccia a faccia. Quando TJ sente il bisogno di sfogarsi, dice di andare al complesso di templi buddisti che sovrastano la città, conosciuti come Mandalay Hill, a gridare al vento: “Chit Tal!Chit Tal!”, ti amo, ti amo, al suo ragazzo virtuale.
Gli amici di TJ sanno il suo orientamento sessuale e lo sostengono, ma non lo ha ancora rivelato alla sua famiglia. “So che la famiglia mi capirà quando lo scopriranno perché mi amano tanto” dice con una voce lieve. “Ma attenderò finché non me lo chiedano”.
Non tutta la gente della LGBT conducono vite anonime. Pauk Pauk, chiamata la “la madrina delle favole” dai suoi amici stretti è una delle più famose stiliste birmane. Nata col corpo di un uomo 42 anni fa, ha un lavoro richiesto da attori, star della musica e membri della società ricca. Ma la sua strada verso il successo non è stata affatto facile. Cominciò a Mogok, una città famosa per le sue miniere di rubini dove la madre gestiva un salone di estetista e dove Pauk Pauk imparò i segreti dell’industria della bellezza. Poi divenne famosa a Yangoon e Mandalay prima di puntare gli occhi alla capitale della moda italiana, Milano dove studiò fashion design.
Pauk Pauk ricorda con piacere gli anni italiani. Dice che benché l’adattamento ad una cultura diversa fu dura agli inizi, divenne enormemente di stimolo successivamente. Per tutta la sua vita, pauk Pauk ha sofferto gli insulti per l’essere suo differente come pura la minaccia di violenza sessuale a causa dell’assunzione largamente condivisa che gli individui transgender sono promiscui. Anche la sua vita amorosa è stata toccata dalla delusione, ma oggi è innamorata di un attore di Yangoon che l’accetta totalmente. “Mi sono sempre sentita una donna, una donna birmana che non ha mai cercato sesso facile quanto una relazione di amore” dice Pauk Pauk.
Forse Myanmar non condivide la relativa tolleranza della vicina Thailandia verso la comunità LGBT, ma fatti come l’arresto a Mandalay hanno trovato posto nei media e cominciano a generare qualche dibattito. Temi come il matrimonio di persone dello stesso sesso non saranno nei primi posti dell’agenda del governo, ma ci sono persone che sono pronte e volenterose di portarle su tavolo. “Non so degli altri, ma sono pronto a questo. Direi che bisognerebbe attivare il dibattito” di ce Aung Myo Min con un ottimismo tipicamente cauto.
Nel frattempo la comunità LGBT di Myanmar vive la propria vita nella lotta per riconciliare la loro propria identità in un ambiente dove i modelli di ruolo ed il sostegno strutturato sono scarsi. Lottano per trovare la propria strada in un mondo separato, un mondo che lotta per trovare un posto per quelli che ancora considera come “strane creature”
di Carlos Sardiña Galache, Fotografie di Vincenzo Floramo SoutheastAsiaGLOBE