L’aeroporto internazionale della Thailandia era bloccato a causa di sciami di manifestanti antigovernativi tenendo in ostaggio per settimane il centro nevralgico del Sudestasiatico e la sua economia, la seconda nella regione, da decine di migliaia di dimostranti che cantavano e battevano le mani.
Quella era la scena nel novembre 2008 al culmine di mesi di protesta contro un governo alleato dell’ex premier Thaksin Shinawatra, un magnate delle telecomunicazioni cacciato in un golpe militare due anni prima.
Sei anni dopo non potrebbe la Thailandia ritrovarsi in uno scenario simile? I manifestanti hanno pianificato di prendere le strade in massa lunedì 13. Ancora una volta, le stesse due parti sono intrecciate in un conflitto amaro: la classe media di Bangkok, la gente del meridione ed un’oligarchia di realisti e conservatori timorosi del ritorno di Thaksin, contro i sostenitori del magnate delle aree rurali del nord e del nordest e gli amici di affari del miliardario thailandese.
Questa volta i manifestanti chiedono la fine di un altro governo amico di Thaksin, guidato dal facente funzione Yingluck Shinawatra, sorella di Thaksin e capo del Puea Party. Per porre fine hanno indetto una protesta di massa il 13 gennaio e mirano a bloccare Bangkok, a porre fine al governo parlamentare e ad abortire le elezioni indette per febbraio che il Puea Thai quasi certamente vincerà.
Il capo del movimento di protesta, Suthep Thaugsuban, ha chiesto un nuovo governo il cui capo deve essere scelto dal Re della Thailandia. Suthep, ex parlamentare del partito democratico e vice primo ministro del governo di Abhsit Vejjajiva, ha proposto un consiglio di persone non eletto, i cui membri siano “uomini decenti” che vogliono introdurre riforme. Solo dopo che queste riforme sono fatte si dovrebbero tenere le elezioni.
“La Thailandia è ad un punto di svolta. Chiunque vinca il paese perde. E la democrazia sta anche perdendo.” dice un docente di storia del sudestasiatico Thongchai Winichakul.
La causa scatenante per quest’ultima sollevazione è stato il tentativo di fare approvare un’amnistia politica che avrebbe permesso il ritorno di Thaksin.
“Continueremo a dimostrare all’infinito finché Yingluck non si dimette” dice Akanat Promphan, portavoce del movimento che si definisce PDRC, comitato popolare per la riforma democratica. Hanno promesso di bloccare i venti maggiori incroci stradali a Bangkok per lunedì, dicendo però che gli aeroporti e il sistema metropolitano saranno salvati. Pensano anche di tagliare acqua e luce ai ministeri governativi.
Ma a sovrastare su tutta la lotta politica e la disobbedienza civile vi è la prospettiva di un altro golpe militare.
Thaksin, che balzò al potere nel 2001, è ancora una figura troppo polarizzante nel paese poiché è visto come la persona autorevole che influenza la politica nazionale dall’estero. Vive in un esilio auto imposto a Dubai dopo che gli fu inflitta una sentenza di due anni di carcere in contumacia che definisce politicamente motivata. Il partito democratico dice che comprò voti offrendo elargizioni ai poveri rurali, eppure i suoi partiti sotto varie spoglie hanno sempre vinto le elezioni sin dal 2006, l’ultima delle quali con un margine sostanziale.
“La vecchia elite lotta contro una nuova elite” dice Pravit Rojanaphruk, giornalista politico al giornale in lingua inglese The Nation. “Entrambi i partiti sono egualmente forti, la ragione per cui nessuno dei due può sterminare l’altro”.
Bangkok in preparazione al blocco si è data da fare. Il governo pensa di usare una legge di emergenza, dice Sean Boonpracong, consigliere nazionale della sicurezza. Le unità di polizia stazionano ora presso l’aeroporto internazionale. Le compagnie aeree Singapore Airlines e Chatay Pacific hanno tagliato i loro voli diretti per Bangkok. Centiaia di scuole nella capitale hanno annullato le lezioni ed i grandi magazzini stanno accumulando merci essenziali secondo il The Nation. Saranno impiegati almeno 15 mila poliziotti e soldati.
Mentre si avvicina la data delle elezioni del 2 febbraio, l’amministrazione Yingluck sembra sempre più assediata. I tribunali e i corpi di controllo hanno lanciato attacchi contro il suo partito, mosse che i sostenitori del governo definiscono politicizzate. Martedì scorso l’agenzia contro la corruzione ha affermato che 308 parlamentari, per lo più del Puea Thai, hanno agito illegalmente nell’approvazione di una legge che avrebbe reso il senato un corpo eletto totalmente. I parlamentari potrebbero, se trovati colpevoli, essere messi al bando dalla politica.
Ci sono anche dei dubbi se le elezioni di Febbraio si potranno tenere. Dure proteste hanno fermato la registrazione della maggioranza dei candidati del Puea Thai in decine di distretti elettorali nelle province meridionali, una mossa che potrebbe potenzialmente invalidare le lezioni dal momento che la legge Thailandese afferma che devono essere eletti almeno il 95% dei seggi nella camera bassa.
Gli elettori di entrambi i lati sono fortemente polarizzati. Il campo contro Thaksin dice che l’imprudente primo ministro si comprò la via verso il potere con politiche populistiche verso i poveri, per cui le riforme prima delle elezioni sono l’unica via.
“Sostengo la protesta contro i politici corrotti e le autorità. Voglio vedere qualche miglioramento nella politica thailandese. Non importa che il capo sia Suthep” dice Juta Tongpiam, un manifestante.
Comunque alcuni analisti dicono che il campo di Thaksin lotta per qualcosa più grande dell’uomo stesso, quello dell’inclusività politica. La sua vittoria nel 2001 ha permesso alle classi lavoratrici che in precedenza erano marginalizzate a trovare la loro voce.
“A causa di Thaksin le classi inferiori affermano il loro potere politico” dice Larry Jagan giornalista ed esperto del Sudestasiatico.
Considerata la storia del paese non si può escludere un golpe militare. Sin dalle prime elezioni parlamentari del 1932 il paese ha avuto 11 colpi di stato di successo ed altri sette solo tentati. Il capo delle forze armate è restato ambiguo sulla possibilità di un golpe nell’ultima crisi. “Non posso confermare se ci sarà o meno un golpe” dice il generale Prayuth il 7 gennaio. Altri analisti non si sbilanciano.
Secondo Thitinan Pongsudhirak dell’ISIS della Chulalongkorn university: “Quanto più a lungo persiste lo stallo più grande è la possibilità dell’intervento di agenzie esterne, i militari o agenzie di controllo come la Corte Costituzionale e la Commissione Elettorale.
Sono i due gli scenari che potrebbero scatenare un golpe. Il primo, se Yingluck continua a a piantare i piedi e rifiuta di lasciare e le proteste non danno segno di cedimento con il risultato di uno stallo politico impossibile da trattare. Nel secondo scenario, se scoppia la violenza, la possibilità di un intervento militare salgono fortemente come accaduto nel passato. Proprio ora la strategia del governo sembra di voler andarci piano contenendo le proteste per assicurarsi che non si diffondano, dice Boonpracong.
Nel tentativo di limitare la crisi Yingluck indisse elezioni anticipate a Febbraio che però furono prese con dura resistenza dalla parte dei manifestanti antigovenativi. C’è una buona ragione per cui Suthep resiste nell’andare alle elezioni: la vecchia guardia, rappresentata dal partito democratico, è largamente sovrastata nei numeri dai milioni di sostenitori accesi di Thaksin non riuscendo a vincere da due decenni un’elezione generale.
Pochi analisti hanno speranza di una risoluzione della crisi nell’immediato. “Anche se c’è un golpe, non ci sarà stabilità politica. Entrambi i lati sono ben organizzati e c’è ancor più odio” dice Pravit.
La vittoria di Thaksin nel 2001 ha cambiato per sempre il panorama politico della Thailandia. Magnate delle telecomunicazioni diventato politico, ha usato con destrezza il proprio denaro mentre era al potere per corteggiare un piccolo gruppo di uomini di affari e per i poveri liberati del nord. Ma dopo aver vinto alla grande un’altra elezione nel 2005 il polarizzante Thaksin è stato intrappolato in un grande scaldalo con presunte accuse di corruzione e conflitti di interesse.
E’ stato considerato dall’elite tradizionale come una minaccia alle istituzioni tradizionali del paese e alla monarchia e cominciò una campagna per cacciarlo dal potere, cosa che accadde col golpe del 2006.
Per tutta la crisi attuale l’anziano Re Bhumibol, altamente riverito nel paese, è restato calmo. Nelle passate crisi politiche era intervenuto come ultima possibilità, a volte quando gli interventi militari conducevano a decine di morti nelle strade. Ma il palazzo ha avuto grande influenza, da dietro le scene, sulla politica del paese. “Una volta che il Re muore si potrebbe avere una nuova configurazione” dice Pravit.
Dopo la sua morte potrebbero ritornare in preminenza le rivalità nascoste mentre le figure della casa reale, i loro sostenitori e il partito di Thaksin fanno le manovre per il potere.
Lim Ni Min, Al Jazzera