Il legame tra diritti umani e democrazia in Thailandia è stato alquanto incostante se non addirittura tragico
Nel 1948 fu firmata all’ONU la dichiarazione Universale dei diritti umani e l’evento è ricordato proprio il 10 dicembre di ogni anno con la Giornata di commemorazione dei Diritti Umani.
Con il tempo che passa, comunque, la situazione dei diritti umani in Thailandia continua a deteriorarsi e le tantissime notizie recenti non fanno che sottolineare quanto siano allarmanti le condizioni in questo paese.
La Polizia Reale Thailandese ha una storia lunga fatta di brutalità, di violenza e corruzione che è stata ben raffigurata in modo succinto nella morte ad agosto di un presunto tossicomane per mano del Colonnello di polizia Thitisan Utthanaphon, noto come “Joe Ferrari.”
La vittima fu soffocata con varie buste di plastiche postegli sulla testa durante l’interrogatorio. Ma la brutalità della polizia si è anche mostrata durante le proteste democratiche disperse dalla polizia con l’impiego di cannoni ad acqua a cui erano aggiunte delle sostanze chimiche.
A novembre la corte costituzionale ha decretato che le richieste dei manifestanti, che con le loro dieci richieste di riforma della democrazia hanno interrotto decenni di tabù e norme sociali, sono un “abuso dei diritti e delle libertà e minacciano la sicurezza dello stato”.
Le potenziali condanne sono il carcere a vita o persino la morte. I militanti thailandesi rischiano accuse di sedizione oppure anche le più gravi di tradimento. Dal 2020 circa 700 manifestanti sono stati accusati di gravi reati tra cui la sedizione. Oltre un centinaio sono stati accusati di lesa maestà che è il reato di insulto alla monarchia.
Il rispetto dei diritti umani è comunemente legato alla democrazia che resta uno dei principi universali dell’ONU. Molti stati sono descritti come democratici, tra cui la Thailandia, nel modo più ignobile, dall’Indice della Democrazia del 2019 di Economist Intelligence Unit che dopo le elezioni di marzo del 2019 promosse il regno di 38 posti.
Parte integrante dei diritti umani sono la tenuta di elezioni regolari per suffragio universale per applicare una serie di diritti politici e civili. La democratizzazione, secondo alcuni, può portare ad una migliore protezione dei diritti umani e ad un campo più vasto di libertà politiche e civili.
In Thailandia la storia dice qualcosa di diverso.
La democratizzazione della Thailandia nei decenni passati è stata al massimo incostante quando non è stata tragica. Sono comuni percorsi di avanzamento e arretramento. L’esilio costretto del Maresciallo Thanom Kittikachorn dopo la sollevazione popolare del 14 ottobre 1973 portò al momentaneo ritorno del governo democratico con Seni Pramoj che fu poi abbattuto da un golpe militare che mise al potere il feroce anticomunista Thanin Kraivichien con il consenso e l’approvazione della monarchia thailandese.
In modo simile la nomina di Ananda Panyarachun nel 1996 a presiedere l’Assemblea della Bozza Costituzionale portò alla molto rispettata Costituzione Popolare del 1997. Sotto la presidenza di Anand si crearono istituzioni indipendenti fondamentali per promuovere i diritti umani e proteggere la democrazia del paese tra cui la NHRCT, commissione Nazionale dei diritti umani della Thailandia, e la Commissione Elettorale.
Comunque la tanto salutata costituzione fu abrogata nel 2006 dopo il golpe che depose l’ex premier Thaksin Shinawatra. Le due istituzioni ora si trovano in uno stato di lento decadimento.
Gli accademici da decenni studiano i legami tra democrazia e protezione dei diritti umani e la maggioranza degli studi dice che la democrazia è di gran lunga superiore ai regimi autoritari in quanto alla protezione dei diritti civili e politici.
In generale è meno probabile che stati più democratici violino in modo crasso i diritti o reprimano la popolazione, cosa conosciuta come la pace democratica nazionale.

Ci sono variazioni alla regola come messo in evidenza dall’uso della tortura da parte di democrazie che non solo condonano la pratica ma ne espandono anche il campo. Di recente gli USA sono diventati titubanti su varie questioni dei diritti umani, dalla chiusura del carcere a Guantanamo Bay alla politica di Trump di separare le famiglie durante la detenzione.
Sebbene sia difficile fare paragoni con i breve flirt democratici della Thailandia nei due decenni scorsi, vale la pena di guardare a due periodi di democratizzazione.
Il barometro della democrazia di Freedom House, che ha valutato e ordinato i paesi nel suo Libertà nell’Indice Mondiale sin dal 1973, ha definito la Thailandia durante il periodo di Thaksin come libera. La metodologia è elementare. Le categorie dei diritti politici e delle libertà civili hanno una classifica numerica compresa tra uno e sette, in cui uno indica la maggiore libertà. La Thailandia si pose tra il 2001 e il 2004 tra due e tre, scendendo tra il 2005 e 2006 a parzialmente libera.
Il periodo di Thaksin da premier ha offerto pochi spunti che potessero farci capire come periodi di democratizzazione possano portare al miglioramento dei diritti umani. Nonostante la sua coalizione apparentemente impenetrabile, le politiche populiste e le promesse politiche che portavano speranza ad una rinascita della democrazia, la storia di Thaksin rispetto ai diritti umani fu oltremodo terribile.
La sua guerra alla droga, un’opportunità colta da Thaksin in seguito alla richiesta del dicembre 2002 di Re Bhumibol di riportare sotto controllo il problema delle metanfetamine, è un capitolo nero della storia thailandese.
L’ex commissario della NHRCT Pradit Chareonthaitawee ricevette minacce di morte a sottolineare allo stesso tempo che “ in tutto il regno la gente vive nella paura”, sentimento echeggiato dal giudice Charan Pakdithanakul della NHTCT nello stesso periodo.
La mano pesante di Thaksin, o le tattiche autoritarie nell’applicazione della sua guerra alla droga, attirarono molte critiche.
Mentre il paese diveniva l’epicentro del traffico della droga attraverso il triangolo d’oro del Sud Est Asiatico, Thaksin usò in modo brutale gli omicidi extragiudiziali. Nei primi dieci giorni della sua campagna contro la criminalità e lo spaccio, una guerra che richiama quella fatta da Rodrigo Duterte nelle Filippine, furono uccise da 100 a 183 persone.
HRW affermò che furono 2800 gli omicidi extragiudiziali nei primi tre mesi della guerra alla droga di Thaksin, mentre un’indagine ufficiale trovò che oltre la metà non aveva nulla a che fare con le droghe. Per lo sgomento dei militanti dei diritti umani di oggi, nessuno ha mai dovuto rispondere per quelle morti.
Stranamente per certo tempo Thaksin ha ricevuto un largo sostegno pubblico. L’opportunità democratica della Thailandia ha aperto la strada allo sfrontato populismo di Thaksin durante il quale i risultati veloci erano meglio apprezzati dell’aderenza al governo della legge.
Thaksin presiedette a una cultura dell’impunità che risuona ancora oggi profondamente nel profondo meridione thailandese.
Molti thai conoscono il brutto incidente di Tak Bai a Narathiwat, quando 85 manifestanti musulmani morirono soffocati durante il trasporto sui camion militari ad ottobre 2004.
Prima del loro arresto, oltre 1500 musulmani si radunarono di fronte alla stazione di polizia di Tak Bai per chiedere il rilascio di volontari civili della difesa arrestati con l’accusa di furto di armi.
La protesta diventò violenta dopo che le forze di sicurezza uccisero sette musulmani ed arrestarono tantissimi altri che furono accatastati, come legna da ardere, sui camion che li portavano ad un campo militari nella provincia di Pattani.
La giustizia ancora sfugge ai cari parenti delle vittime.
Nonostante avesse ereditato le istituzioni democratiche della Costituzione del 1997 Thaksin riuscì ad abusarne piuttosto che esaltarle. La sua repressione sulla libera stampa è anche ben documentata. Nel marzo 2005, il CPJ scriveva che le sue intimidazioni e le tattiche coercitive avevano un “effetto raggelante sulle voci critiche nella stampa thai”.
Thaksin poteva facilmente appellarsi al vasto mandato elettorale e al sostegno generale dei thai, in parte per le politiche di successo come il piano sanitario nazionale da 30 baht. Tuttavia derubò il momento democratico della Thailandia con il suo abuso delle istituzioni democratiche, l’attacco ai giornalisti e alla libera stampa, la presunta corruzione, il taglio delle libertà civili nel Meridione e le sue note violazioni dei diritti umani.
Le azioni di Thaksin sono più importanti e più deludenti se si considera la natura friabile della nascente democrazia thailandese. La sua caccia dal potere a causa del golpe del settembre 2006 fu peggiorata dal fatto di aver rafforzato coloro che non se ne infischiavano della democrazia e che poi avrebbero calpestato ulteriormente i restanti spazi di democrazia tra cui la costituzione progressista del 1997.
Il breve periodo in cui Yingluck Shinawatra amministrò fu meno tumultuoso rispetto a quello del fratello, ma ci furono alcune opportunità mancate nel far rispondere i responsabili delle passate atrocità dei diritti umani.
Il suo governo fu criticato per non aver portato davanti ai giudici i responsabili delle violenze politiche del 2010, gli abusi dei diritti umani nelle province meridionali e le violazioni dei diritti di rifugiati e migranti.
Diritti umani e democrazia sono profondamente legati, ma il rispetto dei diritti umani chiaramente viene solo quando i candidati sostengono i principi democratici.
La gente thai ha avuto poche opportunità e poco tempo per rafforzare istituzioni democratiche e protezione dei diritti umani.
Le opportunità mancate da Thaksin non devono andare perse per la gente thailandese.
Per ora la situazione dei diritti umani in Thailandia resta deprimente.
Se e quando rinascerà un altro momento, dovrà essere colto da qualcuno che sostiene i valori democratici.
Mark S Cogan, SouthEastAsiaGlobe