147 palestinesi in Malesia e bambini Rohingya in carcere

La recente decisione del governo malese di accogliere 147 palestinesi in Malesia tra i quali i feriti ha ricevuto un applauso diffuso per aver mostrato la solidarietà con il popolo di Gaza.

Questo gesto di pietà che mira a dare cure mediche urgenti ai feriti del conflitto in corso sottolinea l’impegno della Malesia a sostenere i Palestinesi nel loro momento di bisogno.

Comunque mentre si loda questo atto encomiabile, sorgono importanti domande su quanto i nostri sforzi umanitari siano consistenti e strategici.

Dobbiamo esaminare più da vicino l’approccio del paese all’aiuto dei rifugiati tenendo sullo sfondo la situazione più larga dei rifugiati nel nostro stesso paese.

Mentre estendiamo la nostra mano di aiuto a coloro che vengono da Gaza, non dobbiamo dimenticare quei 1400 bambini di altre zone di conflitto, principalmente Rohingya, che restano nei centri di detenzione in Malesia.

Questi bambini sono fuggiti dalle proprie guerre e atrocità ma i loro bisogni e le loro esperienze sono trattati in modo differente.

I Rohingya che sono fuggiti alla violenza brutale nello stato Rakhine birmano sono una delle popolazioni più perseguitate al mondo.

Il loro dolore è documentato in modo esteso dalle organizzazioni internazionali mentre l’ONU ha descritto la violenza che incontrano come avente un intento genocida.

Eppure molti rifugiati Rohingya in Malesia si ritrovano a languire in carceri dove non hanno spesso un adeguato accesse ai servizi fondamentali come istruzione e cura della salute.

La legge sull’immigrazione 63 del 1959 sotto cui questi rifugiati sono tenuti non fanno differenza tra rifugiati ed altri emigranti senza documenti, cosa che porta ad una situazione in cui persino i più vulnerabili e i bambini sono tenuti in condizioni tutt’altro che ideali.

Un rapporto del 2020 di APRRN, Rete dei diritti dei rifugiati dell’Asia-Pacifico, trovò che sono detenuti in Malesia oltre 1000 bambini senza poter accedere all’istruzione e a servizi essenziali.

Questa realtà si erge in grande contrasto con il trattamento che il nostro governo riserva ad altri rifugiati rivelando l’inconsistenza nel nostro approccio all’aiuto umanitario.

Implicazioni finanziarie pesanti

Le implicazioni finanziare di questa decisione del governo di accogliere palestinesi feriti in Malesia sono significative.

La logistica del trasporto di 147 palestinesi in Malesia da Gaza con il trasporto aereo e l’assistenza medica ha coinvolto spese considerevoli.

Sebbene sia nobile l’intento che sottintende questa azione, vale la pena considerare se si potevano usare in modo più efficace queste risorse.

147 palestinesi in malesia e bimbi rohingya in carcere

Paesi come Egitto, Turchia e Giordania che sono geograficamente vicine a Gaza hanno strutture mediche ben fatte, equipaggiate per gestire grandi numeri di feriti.

La Turchia ha trattato un milione e mezzo di siriani dall’inizio del conflitto siriano, e la sua vicinanza a Gaza avrebbe permesso un trasferimento più veloce e meno traumatico per i feriti.

Se fossero state allocate le risorse per le strutture mediche nei paesi vicini, si sarebbe potuto salvare più vite in modo efficiente senza il bisogno di un viaggio lungo ed estenuante in Malesia.

Servizi sanitari allo stremo

Inoltre il sistema sanitario malese è già sottoposto ad un significativo stress, e sono comuni le notizie di ospedali sovraffollati e di lunghi tempi di attesa, per cui un’aggiunta di persino un piccolo numero di nuovi pazienti potrebbe esacerbare queste criticità.

Al contempo i rifugiati già presenti in Malesia si trovano di fronte a costi medici rilevanti. Un rapporto del 2019 di HEI, Iniziativa di equità sanitaria, trovò che i costi che affrontano i rifugiati sono maggiori del 50% rispetto ai cittadini per i servizi medici, mentre le donne rifugiate incinta pagano talvolta fino al 300%.

Questa disparità nell’accesso alla salute illustra ulteriormente il bisogno di un approccio più bilanciato ed equo agli sforzi umanitari.

Da un punto di vista legale questa decisione di portare in Malesia palestinesi feriti presenta alcune complessità.

La legge internazionale umanitaria con la IV convenzione di Ginevra pone la responsabilità delle cure mediche delle popolazioni occupate sulla potenza occupante. Assumendosi questa responsabilità, la Malesia forse in modo non intenzionale solleva Israele dai suoi obblighi legali sotto la legge internazionale.

A questo si aggiunge che il quadro legale proprio della Malesia ha le sue criticità. La legge sull’immigrazione 63 del 1959 criminalizza emigranti senza documenti rifugiati compresi tanto che essi possono essere detenuti e persino deportati.

Questo approccio si scontra con gli impegni della Malesia nei trattati dei diritti umani internazionali, come la Convenzione dei diritti del Fanciullo, CRC, e la Convenzione sulla eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne, Cedaw.

Sebbene la Malesia abbia espresso riserve su alcune disposizioni di questi trattati, il trattamento dei rifugiati, soprattutto dei bambini, all’interno dei nostri confini è spesso al di sotto degli standard stabiliti da questi accordi.

Inoltre la Malesia non ha ratificato la Convenzione dei Rifugiati del 1951 né il protocollo del 1967, che significa che i rifugiati in Malesia non sono riconosciuti legalmente e non sono protetti. L’assenza di un quadro giuridico completo rende i rifugiati vulnerabili e porta a politiche incoerenti che talvolta possono apparire selettive.

Mentre è lodevole l’intenzione dietro questo recente gesto umanitario della Malesia, è essenziale che si applichi la nostra compassione in modo consistente e strategico.

Non c’è dubbio che la popolazione di Gaza abbia bisogno e meriti il nostro sostegno, ma anche i molti rifugiati che si trovano già all’interno dei nostri confini, in particolare quelli che rimangono in detenzione.

Un approccio più bilanciato all’aiuto ai rifugiati assicurerebbe che le risorse siano allocate in modo da massimizzare l’impatto, sia per chi portiamo nel nostro paese che per chi si trova già qui.

Ad esempio, investire in infrastrutture mediche nei Paesi più vicini alle zone di conflitto potrebbe consentirci di fornire cure tempestive ed efficaci a un numero maggiore di persone, senza dover ricorrere a lunghi e costosi trasferimenti.

Allo stesso tempo, affrontare le esigenze dei rifugiati in Malesia, in particolare nei centri di detenzione, ci aiuterebbe ad adempiere ai nostri obblighi internazionali e a sostenere i nostri valori di compassione e giustizia.

In conclusione la recente decisione malese di portare i palestinesi feriti in Malesia riflette il nostro impegno deciso nell’aiuto umanitario che però deve essere applicato in modo consistente per assicurare che tutti i rifugiati, indipendentemente dalla loro nazionalità, ricevano il sostegno di cui hanno bisogno.

Adottando un approccio più strategico ed equilibrato agli aiuti ai rifugiati, la Malaysia può servire meglio chi ne ha bisogno, rispettare i suoi impegni internazionali e incarnare veramente i principi di compassione e giustizia che ci sono cari.

È tempo che la Malaysia perfezioni il suo approccio, assicurando che le nostre azioni siano efficaci e inclusive come le nostre intenzioni.

AZRIL MOHD AMIN Centre for Human Rights Research and Advocacy, Malaysiakini

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