150 rifugiati birmani in Malesia rimpatriati nel Myanmar

150 rifugiati birmani in Malesia, che erano fuggiti dopo il golpe di febbraio 2021 in Birmania, sono stati rimpatriati dal governo malese il 6 di ottobre scorso per via aerea, tra cui anche molti richiedenti asilo.

Tra i 150 rifugiati birmani in Malesia ci sono alcuni militari della Marina Birmana che sono stati immediatamente arrestati al loro arrivo a Yangon, dove rischiano il carcere se va bene, se non anche la propria vita.

Il rapporto della Reuters indica che tra i 150 rifugiati birmani in Malesia, ci sono tre ufficiali della Marina e la moglie di uno di loro che avevano chiesto la protezione di rifugiato all’UNHCR e che avevano fatto richiesta di asilo. Inoltre la Malesia pensa di deportarne altri indipendentemente dal rischio che correranno una volta rientrati nel Myanmar.

Questo rimpatrio forzato preoccupa moltissimo l’Agenzia dei Rifugiati ONU secondo cui la gente del Myanmar che fugge il proprio paese deve poter accedere per cercare asilo e deve essere protetta, accordato un asilo e non rispedita indietro.

Inoltre il rimpatrio di questi 150 rifugiati birmani in Malesia andrebbe in conflitto con l’insolita forte critica del governo malese della giunta militare birmana per la mancanza di aderenza al piano in cinque punti.

Resta da vedere se questa posizione del governo malese va in conflitto con la deportazione dei 150 rifugiati birmani in Malesia, o piuttosto se sia è una forma di xenofobia.

Secondo la UNHCR Malese ci sono 183430 rifugiati e richiedenti asilo dei quali 157910 provengono dal Myanmar e tra questi ci sono 105870 Rohingya, 23000 Chin ed altre 28mila di altri gruppi etnici che fuggono dalle aree di conflitto o dalla persecuzione nel Myanmar.

La Malesia non ha sottoscritto la Convenzione sui Rifugiati del 1951 né il protocollo del 1967, però il principio di respingimento “è riconosciuto come parte della legge internazionale ed è vincolante per tutti gli stati”.

La stessa Malesia appena dopo il golpe di Febbraio 2021 deportò un altro migliaio di migranti birmani senza permesso, atto disumano e devastante secondo Amnesty International, nonostante un tribunale malese avesse ordinato il fermo momentaneo.

Tra il 10 e il 13 novembre si svolgerà il Summit ASEAN 2022 in Cambogia ed uno dei temi sarà che atteggiamento prendere nei confronti del Myanmar su cui traduciamo un articolo apparso sul Bangkok Post scritto da Laetitia van den Assum e Kobsak Chutikul

La crisi del Myanmar tormenterà il prossimo summit dell’ASEAN

Si avvicina il Summit del 2022 dell’ASEAN del 10 novembre. Poiché la crisi nel Myanmar va al cuore delle questioni sul ruolo dell’ASEAN nella regione, senza dubbio questa sarà una delle questioni più problematiche nell’agenda dei capi di stato.

La politica dell’ASEAN sul Myanmar si basa sul Consenso in 5 punti su cui i suoi capi si accordarono ad aprile 2021. Appena dopo la sua adozione, però, il capo militare birmano Min Aung Hlaing chiarì che non lo avrebbe mai applicato finché non si fosse realizzata la propria mappa in cinque punti. L’obiettivo complessivo di Min Aung Hlaing è di assicurare la propria sopravvivenza dei militari e non il ritorno della democrazia.

Gli irremovibili capi militari del Myanmar hanno resistito a tutti gli sforzi ad iniziare un dialogo serio con l’ASEAN nonostante l’economia che implode e la formidabile ostilità interna tra cui un movimento di resistenza armata che è più forte di quanti ci si fosse aspettato.

Dal golpe il regime ha perso il controllo effettivo di tantissime aree del paese, mentre le sue forze armate si affidano sempre più alla forza aerea per combattere le motivate forze di resistenza non riuscendo ad essere una forza di occupazione. Nonostante i tanti attacchi a città specifiche, a villaggi e roccaforti della resistenza, è limitata la capacità del Tatmadaw di stare nei territori.

Nei due mesi passati tutte le discussioni, tra cui l’incontro di alto livello dell’Assemblea Generale dell’ONU, hanno mostrato un disagio crescente e la frustrazione per la mancanza di progresso nel Consenso a 5 Punti.

L’ASEAN deve chiedersi se non deve modificare il suo modo di operare per assicurarsi di restare consona alle proprie finalità.

Nell’ambiente che si modifica rapidamente, le strutture regionali e multilaterali cambiano. Per assicurarsi di essere efficaci nell’arena internazionale l’ASEAN dovrà ricalibrare le sue politiche e pratiche attuali.

In questo periodo che precede il Summit l’ASEAN ha chiarito al Myanmar che non può accettare la mancanza di progresso nell’applicazione del Piano a 5 Punti, e tra i membri del gruppo la Malesia ha intrapreso un percorso incoraggiante nella preparazione del Summit.

Il ministro degli esteri Saifuddin Abdullah ha invitato gli altri a riesaminare la politica dell’ASEAN per dare forma ad un quadro in cui ci sia un chiaro fine, e a tenere consultazioni eque ed inclusive con tutte le parti nel Myanmar, compresi il NUG, governo di unità nazionale, e il NUCC, Consiglio consultivo di Unità Nazionale.

Anche l’Indonesia è stata attiva ed ha chiesto un incontro speciale dei ministri degli esteri alla fine del mese di ottobre per rivalutare le strategie dell’ASEAN. Il nuovo presidente delle Filippine ha indicato il proprio interesse in un ruolo senza però specificare nulla di più.

Se il prossimo Summit ASEAN vuol fare un passo in avanti dovrà andare al di là del piano in 5 punti che non ha realizzato.

Merita seria considerazione la proposta malese di riesaminarlo e sviluppare un nuovo quadro.

L’analisi sottostante era sbagliata sin dall’inizio perché assumeva erroneamente che la crisi del Myanmar fosse un caso tipico di due comunità politiche rivali, quando in realtà è una sollevazione popolare contro un regime brutale ed illegittimo che fa la guerra al proprio popolo.

Nella sua stesura i capi di stato dell’ASEAN deliberatamente omisero la richiesta del rilascio di tutti i prigionieri politici che, secondo Assistance Association for Political Prisoners, sono 12563 fino al 4 ottobre.

Altre questioni aperte da affrontare fino al Summit sono la posizione dell’Inviato Speciale ASEAN, il rapporto con altre parti internazionali, le elezioni pianificate dal regime militare per il prossimo anno e l’assistenza umanitaria.

Un punto critico che attraversa tutte queste questioni è che si deve ascoltare e sostenere la voce del popolo del Myanmar, senza il quale ogni accordo è destinato a fallire. Per questa ragione si deve coinvolgere il NUG e gli altri rappresentanti compreso la società civile.

Finora il ruolo dell’ASEAN ha ricevuto il sostento di tanti agenti nella Comunità Internazionale ma senza passi significativi dopo 18 mesi è un sostegno che scema. Molti credono che l’ASEAN debba includere altri nello sforzo di assicurare un cambio sostenibile e di lunga durata. Il blocco potrebbe considerare una miscela di attori sia da parte ASEAN che di altri paesi ed istituzioni compreso esperti indipendenti.

E’ importante in questo contesto notare che solo due vicini del Myanmar fanno parte dell’ASEAN, Thailandia e Laos. Dei 6158 chilometri di frontiera terrestre meno del 40% sono con Thailandia e Laos, mentre gli altri sono con India, Cina e Bangladesh. Tutti si portano il peso e le responsabilità di chi osserva, di chi è nelle immediate vicinanze del Myanmar.

Senza una migliore cooperazione tra i vicini del Myanmar, rimarrà una cosa vaga trattare gli effetti transfrontalieri importanti. Nell’ambiente dopo il golpe non solo sono cresciute tantissimo, ma hanno contribuito a peggiorare la violenza, corruzione ed impunità. Sono cresciuti i traffici di droga, di persone, il contrabbando di legname, pietre preziose e metalli delle terre rare, e tutto ha un costo per i vicini del Myanmar.

Sulla questione dell’Inviato Speciale la Crisi del Myanmar ha mostrato che continuare a legare la sua nomina al presidente di turno ha un prezzo in termini di continuità e decisione. Si tratta di scollegare la nomina dall’inviato dalla presidenza di turno e nominare una posizione a tempo pieno con risorse dedicate al compito.

Il Myanmar pianifica delle elezioni per il 2023 anche se non si possono soddisfare le condizioni per avere elezioni libere ed eque. Non solo il regime ha arrestato tanti politici ma ha anche emendato la legge elettorale e pensa di sostituire l’attuale sistema maggioritario con uno proporzionale che favorirebbe i militari ed i partiti ad esso collegato.

Il regime vuole controllare le elezioni come un veicolo per legittimare il suo golpe violento. L’ASEAN deve far capire che tali elezioni sono inaccettabili perché radicherebbero le ragioni della crisi attuale.

Nel periodo che porta al Summit la questione più urgente è il bisogno di accelerare l’assistenza umanitaria tra cui l’assistenza promossa dall’ASEAN stesso. Le organizzazioni umanitarie locali sono state chiare. La massima cura deve essere data nel non permettere la strumentalizzazione dell’assistenza a fini politici e militari. I piani attuali dell’ASEAN includono un ruolo inaccettabile per il regime militare.

La sola idea che il regime abbia a che fare con la consegna degli aiuti alla stessa popolazione contro cui fa atti brutali ha fatto irretire molti. Privare le comunità delle forniture di aiuti fondamentali è diventata l’operazione libresca dei militari.

L’ASEAN usa il AHA Center per consegnare gli aiuti ma dopo molti mesi di delibere si è fatto molto poco.

Nella situazione attuale l’efficace consegna di aiuti umanitari è possibile solo se tutti gli agenti rispettano la legge umanitaria internazionale e i principi umanitari.

Un regime militare sotto accusa di crimini di guerra in corso e di crimini contro l’umanità non deve poter giocare un ruolo nella presa di decisione e nella consegna dell’assistenza umanitaria.

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