In una località mineraria vicino Sangatta, nel Calimantano Orientale, un cratere immenso, col suo fondo pieno di una fanghiglia bruna, spalanca le sue fauci dal suolo.
Osservando l’interno dal suo bordo meridionale, un panorama di polvere si staglia sull’orizzonte, attraversato da strade polverose e dai giganteschi autocarri di rifiuti che li traversano. Il rumore sordo e distante dei loro grandi motori riempie l’aria. Ogni dieci minuti di strada c’è una fossa e poi un’altra.
E’ facile dimenticarsi che si è nel Borneo Indonesiano.
Dal 1950 è stata abbattuta più della metà della sua antica giungla e quello che rimane è un dedalo di terre forestate di seconda crescita degradate, piantagioni di palma e miniere di carbone a cielo aperto.
Secondo le stime del WWF, nel 2020, ne rimarrà meno del 30%, con la maggior parte della sua biodiversità di foreste dipterocarpaceae praticamente distrutta.
L’Indonesia, per il suo uso della terra, è la terza nazione al mondo per la produzione di gas serra che per l’85% provengono dalla deforestazione e dall’ossidazione delle terre torbose, un processo che emette anidride carbonica.
La rapida espansione delle miniere di carbone per andare incontro alla domanda di energia sia nazionale che globale è percepita fortemente nel Kalimantano orientale, dove è proprio l’estrazione del carbone la causa principale della deforestazione. Con un nuovo schema quattro milioni di ettari di ulteriore terra coperta a foresta saranno consegnati ai progetti minerari per il 2030.
“Venti anni fa l’acqua era pulitissima” dice un giornalista del posto Masriansyah indicando con dei gesti il fiume Lawa che scorre davanti casa sua a Bentian Basar. “Senza le foreste, la parte superiore del suolo scivola nel fiume. Ora è sempre bruno e peggiora durante la stagione delle piogge.”
Gli erbicidi usati nella coltivazione della palma da olio e le grandi quantità di metalli pesanti rilasciate dalle operazioni minerarie sono considerate la causa delle tante infezioni della pelle di cui soffrono i tanti abitanti dei villaggi che si bagnano al fiume.
Bentian Besar è una comunità lontana, la cui storia, però, è quella di una regione le cui rade infrastrutture ruotano interamente attorno all’estrazione del legno e alle miniere di carbone. Nel Kalimantano Orientale, ogni strada grande è stata costruita come una via del legname.
Nel decennio scorso la prima spinta economica della zona è stata Trubaindo, un sito minerario di 236590 ettari gestito dalla compagnia energetica Thailandese BANPU, dove un lavoratore arrivava a guadagnare fino a 500 dollari al mese, un salario buono per l’Indonesia.
Sono in molti a benedire la ricchezza che le miniere generano. Sono principalmente operai da Giava e le Sulawesi quelli che lavorano con questa esplosione delle risorse.
Comunque la competizione è dura e la selezione del lavoro è stile nepotista: molti ci rimettono. Inoltre il potere di Trubaindo ha costretto molti residenti a lasciare la loro terra con ricompense irrisorie. Masriansyah ha ricevuto documenti da una fonte a Trubaindo secondo cui la terra è valutata a 3000 euro ad ettaro, mentre finora è stato pagato solo 700 euro ad ettaro e sono in molti a non aver ricevuto nulla.
La rabbia e la frustrazione si è riversata nelle manifestazione del dicembre 2009. Come se nulla fosse, la terra è stata assegnata alle miniere e non rimane altra scelta alla gente che vendere.
La gente sospetta che la compagnia abbia corrotto il governo regionale di West Kutai e la polizia per assicurare i propri interessi, una pratica nota fatta dalle ditte del legno e dell’energia in Indonesia.
Le manifestazioni sono state spesso sciolte con la violenza dalla polizia e hanno visto anche delle morti. Masriansyah, che ha seguito questi sviluppi nel suo giornale contro la corruzione BUSER, ha subito il furto di tutto il materiale documentario e giornalistico dalla sua auto e nel gennaio 2010 è sopravvissuto ad un attentato.
“Andavo verso casa sulla mia motocicletta, di ritorno da una conferenza nella sala della polizia sulla terra, con il mio collega Arbainah del BUSER sul sedile posteriore. Abbiamo sentito una macchina che ci seguiva a tutta velocità. Di solito le auto suonano i loro clacson per far sapere della loro presenza, specie di notte. Non c’era nulla di tutto questo e dal mio specchietto retrovisore li ho visti dirigersi dritto verso di noi. All’ultimo minuto ho sterzato ma siamo stati lo stesso colpiti e gettati per la strada. Non si sono fermati.”
Chi li ha attaccati guidava un veicolo fuori strada che la gente del posto non può permettersi e che, di solito, a Bentian Basar è usato quasi esclusivamente dal personale della miniera. Per fortuna lui e Arbainah si sono procurati solo qualche ferita.
Mariansyah non ha paura ma gli fanno paura alcuni messaggi contro la sua famiglia. “Non so se è la polizia ad aver preso il mio materiale o se i messaggi provengono da loro.”
Il governo locale e BANPU non hanno lasciato commenti.
Questa situazione si ripete per tutta la nazione. Le operazioni del settore delle foreste sono caratterizzate da una corruzione endemica, incompetenza, bassa produttività e una diffusa inosservanza dei regolamenti deli permessi. A gennaio il ministero ammetteva che solo 67 delle 352 compagnie delle piantagioni e 9 delle 615 unità minerarie operavano con un permesso ufficiale nel solo Kalimantano centrale.
Nel Kalimantano Orientale il fattore maggiore per la deforestazione è il carbone, ma ia livello nazionale a far da padroni sono la richiesta di carta, di pasta e olio di palma.
Il presidente Susilo Bambang Yudhoyono ha promesso un cambiamento nella situazione delle foreste indonesiane per il 2030 da emettitore netto ad assorbitore netto. Ma in contemporanea si prevede che ci sia un triplicazione della produzione nazionale di polpa e carta per il 2025. Si prevede un’ulteriore espansione nell’agricoltura, nell’olio di palma e nei biocarburanti. L’area segnata per questo sviluppo include il 40% della foresta indonesiana, 37 milioni di ettari grande quanto la Norvegia e Danimarca messe assieme.
Rimane il dubbio su come l’espansione complessiva delle industrie che generano la deforestazione possa salvaguardare quello che resta delle foreste pluviali indonesiane.
Le piantagioni di alberi per la carta, in cui gli alberi sono tagliati a rotazione di sette anni, sono considerati come un fattore chiave per facilitare la crescita industriale e la riduzione delle emissioni. Ma la nozione per cui l’instaurarsi della piantagione giochi un ruolo critico si basa sulla falsa assunzione che le piantagioni sequestrino permanentemente volumi di anidride carbonica e che esse saranno messe su terreni degradati o terre a basso contenuto di carbonio. Il legno tagliato è usato in beni con una vita media piccola. Perciò ogni carbonio assorbito dentro il legname dovrebbe essere calcolato come emesso nell’anno che il legno è tagliato.
L’espansione delle piantagioni porteranno inevitabilmente ad una perdita sostanziale di foreste naturali e carbonio da terreni torbosi. Questo è l’equivoco orwelliano della strategia di abbattimento delle emissioni in Indonesia: la soluzione proposta può nei fatti essere il disastro stesso.
La lotta in favore delle forste pluvali indonesiane entrano in una nuova fase nel 2011 con l’inizio dei REDD, un’iniziativa ONU per cui le nazioni industrializzate pagheranno l’Indonesia per non tagliare gli alberi, e la Norvegia ha promesso un iniziale miliardo di dollari con la condizione tra le altre che ci sia una moratoria di due anni a nuove concessioni di deforestazione. Le pratiche utili al pagamento includono la conservazione di foreste, una gestione sostenibile e il ripiantare nuovi alberi.
Sono comunque in molti a temere un ritorno alla cattiva gestione del passato. Lo stesso Ministero delle Foreste “perse” più di 5 miliardi di dollari dai progetti precedenti al REDD, il “fondo di riforestazione indonesiano” tra il 1994 e 1998. I finanziamenti non malversati di fatto incentivarono la ripulitura della foresta e la degradazione per acquisire sovvenzioni delle piantagioni. Inoltre il 40% delle piantagioni sovvenzionate non sono mai state piantate.
Nel settembre 2010 il ministro Siswanto, l’architetto dell’accordo con la Norvegia, fu nominato come sospetto da un’agenzia nazionale contro la corruzione.
Con l’inizio fissato per il 1° gennaio la moratoria di due anni è stata dilazionata per i disacordi di scopo. Il ministro delle foreste propone l’inclusione della sola foresta primaria e una continuazione delle solite pratiche di affari sulle concessioni di deforestazione esistenti. Il gruppo del REDD propone l’ulteriore inclusione di foreste secondarie e il trasferimento di concessioni esistenti verso la terra degradata.
Forse più difficili da trattare delle difficoltà poste dalla corruzione alle problematiche ambientali sono quelle della povertà e della mancanza di un’adeguata educazione generale sui cvambiamenti climatici: la maggior parte della gente non sa cosa sia. Che capitale politico in favore dell’abbattimento delle emissioni ci può essere in una democrazia i cui elettori non hanno comprensione di quello che significhi? I problemi sullo sfruttamento delle terra centrano in modo predominante sulla competizione, il pagamento e le condizioni, non sull’impatto ambientale. Sono in pochi a pianger per la perdita di biodiversità o per l’habitat. C’è una preoccupazione più immediata per la sopravvivenza: si stima che metà della popolazione vive con meno di 1 dollaro al giorno.
Eppure l’Indonesia è particolarmente vulnerabile agli effetti dei cambiamenti climatici. Gli anni del El Nino tra il 1997 e 1998 portarono incendi delle foreste che lasciarono una nuvola di fumo in tutto il sudest asiatico. Col cambio la siccità potrà crescere e far calare la sicurezza alimentare. Nel 2010 il Kalimantano fu colpito dalla quantità di alluvioni anche nella stagione secca. La foresta che un tempo agiva da barriera alle acque alluvionali ora è sparita.
La salvaguardia delle foreste pluviali rimanenti potrà trovare molti ostacoli ma Masriansyah resta preoccupato delle possibili conseguenze del non agire.
“Non voglio che muoia mio fratello. Il diboscamento e le miniere stanno uccidendo la nostra terra. Se non faccio qualcosa è come se mi stessi avvelenando.” Speriamo che la sua opposizione non sarà inutile.
Articolo di Jack Hewson tratto da Asiasentinel