C’è stato solo un precedente a riguardo nella storia Thailandese: il voto dell’agosto 2007 sulla bozza costituzionale stesa dopo il golpe militare precedente. In quell’occasione la nuova bozza passò con una maggioranza di 57% contro il 4% in un quadro nazionale, però, confuso. La regione del nordest rigettò la bozza col risultato che 24 delle 76 province thailandesi rigettarono la bozza. Per fortuna della giunta del momento il sostegno era molto forte nelle regioni più meridionali.
All’apparenza, il 7 agosto la bozza dovrebbe essere approvata se non altro perché il NCPO che governa ha usato gli stessi argomenti che la giunta nazionale precedente, Consiglio per la Sicurezza Nazionale, presentò allora: vota sì al referendum perché possiamo tenere un’elezione generale e ritornare alla normalità. La giunta attuale ha detto che ci sarà un periodo di transizione di cinque anni dopo l’adozione della bozza al cui termine sarà restaurato il governo civile. Mentre la costituzione del 2007 fu vista essenzialmente come bacata, gran parte dei critici credettero che, in seguito, sarebbe potuta essere emendata con facilità.
Nove anni dopo la situazione ha sia similitudini che differenze. Persino chi sostenne all’inizio il golpe del maggio 2014 per salvare il paese dalle profonde divisioni sociali è sempre più deluso dalla restoria del Primo Ministro Prayuth di voler restaurare l’unità nazionale e la felicità.
E’ minata la legittimazione del regime, anche dall’economia che arranca, la siccità endemica e le preoccupazioni crescenti sui megaprogetti concepiti male tra i quali centrali elettriche, dighe e reti ferroviarie.
Ancora la costituzione presentata è ricca di problemi. A settembre la giunta NCPO chiese discretamente ai membri del Consiglio nazionale della Riforma, un corpo di 250 membri nominato per presiedere le riforme, di non approvare una bozza più liberale preparata durante la presidenza di Bowornsak Uwanno, l’ideologo principale della rete monarchica.
Dopo che il magistrato anziano Meechai Ruchupan ha presieduto sulla stesura d un documento molto più autoritario emesso a gennaio, NCPO insistette ancora a cambiare il senato ad un corpo nominato di 250 persone che includono sei seggi riservate alle grandi figure militari, ombra del parlamento birmano, un salto all’indietro ai precedenti periodi di semidemocrazia.
Il risultato è qualcosa che non piace praticamente a nessuno, se non alla giunta che sembra considerare di mantenere il controllo militare sul presunto “processo della riforma” per i prossimi venti anni, sebbene praticamente nulla sia stato riformato dal golpe del maggio 2014.
Quest’ultima bozza di Meechai è stata fortemente criticata dal capo del Partito Democratico Abhisit Vejjajiva e da importanti figure del movimento anti Thaksin, i quali temono un ritorno al potere di elementi fedeli all’ex premier Thaksin, cacciato dal golpe del 2006, come anche di alleati di Thaksin e dei movimenti vari. La bozza attuale è chiaramente dedicata ad estendere la giurisdizione militare e i poteri di veto sul processo politico.
Sotto queste circostanze è difficile vedere come NCPO, nonostante la ricerca di sopprimere tutte le critiche della bozza attraverso una combinazione di restrizione dei media e intimidazioni di politici e attivisti, potrà raggiungere un voto di “sì” ridondante che vendichi i due anni di lavoro della giunta per restaurare la felicità nazionale. Lo scenario migliore è che la bozza passi per un piccolo margine, forse minore di quello del 2007.
Ma c’è una chiarissima possibilità che la bozza sia rigettata nel voto. La maggioranza della popolazione thai vive nelle parti popolose del nord e del nordest, dove i sentimenti contro i militari sono diffusi e dove la fedeltà a Thaksin è forte, e dove molti sentono che provare a stare al gioco della visione del NCPO di una democrazia fantoccio è un gioco che non vale la candela.
Forse la giunta potrebbe cercare ancora tempo e credere che il rigetto del referendum da parte degli elettori giustifica semplicemente un’ulteriore estensione del governo militare. Questa idea sottovaluta le attese che il referendum genera nella gente e le dinamiche che ne risultano. Quando il Partito Nazionale Scozzese non riuscì a vincere il mandato per l’indipendenza dalla Gran Bretagna nel 2014, il capo del partito Alex Salmond dovette dimettersi immediatamente.
Lo stesso si ebbe nel 1972 col referendum sulla appartenenza della Norvegia all’Europa, quando il primo ministro a favore dell’Europa dovette dimettersi, ed il referendum del Quebec nel 1995 per l’indipendenza dal Canada, quando il premier separatista del Quebec fu obbligato a dimettersi. Se la Gran Bretagna vota per lasciare l’Europa nel referendum del prossimo giugno, sarà terminata la carriera di David Cameron che potrebbe lasciare la residenza ufficiale di Downing Street nel giro di qualche giorno.
La Thailandia non è la Gran Bretagna, comunque, e Prayuth potrebbe restare attaccato alla sua posizione per un bel po’, se NCPO perde al voto del 7 agosto. Ma l’aura da uomo forte della giunta non sarà più come prima. Quando la nuova costituzione non riesce a ricevere un appoggio forte, i militari sembreranno meno come maestri invincibili dell’universo e sempre più come pasticcioni inetti che sono diventati sordi al sentimento popolare.
Il 7 di agosto, se non l’inizio della fine, potrebbe essere la fine dell’inizio che apre la strada ad un più aperto scontento generale.
Ad un certo punto, i militari potrebbero decidere che sia giunto il tempo di sostituire Prayuth con una figura più eloquente, più fredda e pragmatica, una figura che voglia trattare con i politici frustrati del paese compresi quelli del campo di Thaksin.
Per ora un nuovo patto tra le elite sarebbe lo scenario migliore per la Thailandia.
Duncan McCargo, La giunta marcia verso il giorno del giudizio, Nikkei Asian Review