Il 23 agosto scorso una corte provinciale di Narathiwat nella Thailandia meridionale ha accettato una denuncia penale contro 7 ufficiali della sicurezza thai, tra i quali ex ufficiali di alto grado della polizia e dei militari per il loro presunto coinvolgimento nella morte di 85 cittadini musulmani di etnia malese durante le proteste di ottobre 2005 a Tak Bai nella stessa provincia di Narathiwat.
Per la corte c’erano basi legali sufficienti perché potesse andare avanti il procedimento contro sette ufficiali della sicurezza thai, mentre ha prosciolto altri due.
Gli imputati sono accusati di omicidio, tentato omicidio e detenzione illegale. Pornpen Khongkachonkiet, direttrice della Cross-Cultural Foundation, una ONG thailandese per i diritti umani, ha dichiarato che il caso è “storico” in quanto è “la prima volta che alti funzionari statali siano inquisiti penalmente per un caso di repressione delle proteste”.
Gli eventi di quei giorni sono conosciuti come il massacro di Tak Bai ed iniziarono quando oltre 2000 manifestanti disarmati si radunarono al di fuori della stazione di polizia per chiedere il rilascio di sei cittadini musulmani di etnia malese, arbitrariamente detenuti dalle forze di sicurezza per essere sospettati di aver fornito armi a gruppi separatisti.
Quando fallirono i negoziati con i manifestanti, le forze di sicurezza usarono cannoni ad acqua, lacrimogeni e armi da fuoco per disperdere la folla con la morte di sette manifestanti tra cui cinque che furono sparati alla testa.
Nella repressione che ne seguì da parte della sicurezza, circa 1370 uomini furono arrestati e 78 rimasero soffocati mortalmente poiché furono ammassati l’un sull’altro in camion militari durante il trasporto ad una base militare a Pattani, a 150 chilometri di distanza. Molti dei sopravvissuti a quegli eventi ebbero ferite gravi e disabilità permanente.
Sebbene il governo fece dei risarcimenti in denaro ad alcune delle vittime e alle loro famiglie tra il 2007 e il 2012, nessuno del personale della sicurezza coinvolto fu mai chiamato a rispondere.
Il massacro di Tak Bai è forse il caso più eclatante e conosciuto di abusi dei diritti umani commessi dalle forze di sicurezza thailandesi nelle province della frontiera meridionale. E’ anche considerato una delle scintille che contribuì al riaccendersi dell’insorgenza malese musulmana della regione che risale agli anni 60.
L’anno 2004 che vide le proteste a Tak Bai e il caso della moschea di Krue-Se assistette anche ad un aumento drammatico della violenza nelle province di Pattani, Narathiwat e Yala ed in quattro distretti di Songkla, un territorio definito come Profondo Meridione.
Le morti a Tak Bai e alla moschea Krue Se sono ancora un momento potente di reclutamento per i gruppi separatisti della regione e moniti duraturi di quello che molti thai considerano essere un sistema a due facce e la cultura prevalente di impunità per ufficiali della sicurezza.
Il primo ministro dell’epoca era Thaksin Shinawatra, tornato da poco dall’esilio autoimposto, e fu molto criticato per la risposta data a questo incidente insieme all’approccio da mano pesante legato solo alla sicurezza al conflitto del profondo meridione in generale.
Per uno scherzo del destino, la corte provinciale di Narathiwat accettò la denuncia penale solo qualche giorno dopo che la figlia di Thaksin, Paetongtarn Shinawatra, era stata confermata a primo ministro della Thailandia.
A portare la questione più vicino a Paetongtarn, uno degli imputati del caso è il generale Pisarn Wattanawongkiri, parlamentare del partito del premier il Pheu Thai.
Sebbene il livello di violenza nella regione sia sceso dal 2016, continuano gli attacchi dell’insorgenza con bombe e assassini e la regione è ancora fortemente militarizzata visto che ci sono oltre 70mila militari stazionati lì.
Secondo i dati raccolti da Deep South Watch oltre 7622 persone sono state uccise nel conflitto dal gennaio 2004 a luglio 2024 ed altri 14234 sono stati feriti.
La decisione della corte è giunta a soli due mesi dai termini di prescrizione per il caso del 25 ottobre, a 20 anni esatti di quel tragico evento.
Pornpern ha anche detto la notizia che il tribunale comincerà a convocare gli imputati dal 12 settembre, ma era preoccupato che gli imputati potrebbero cercare di fermare la procedura o evitare del tutto di apparire in tribunale fino alla scadenza dei termini di prescrizione.
In una successiva dichiarazione fatta da Amnesty International si dice che almeno uno degli imputati deve andare davanti al tribunale per sentire l’accusa prima della scadenza dei termini di prescrizione perché la causa possa andare avanti.
Se gli accusati non si presentassero davanti al tribunale, potrebbero essere emessi mandati di cattura.
Anchana Heemmin, direttrice della ONG Duay Jai che monitora gli abusi dei diritti nel profondo meridione thai, fa eco alle preoccupazioni di Pornpen per la possibilità che i termini di prescrizione possano scadere prima dell’inizio del caso e dice di essere preoccupata per il fatto che gli accusati possano comunque evitare il processo nonostante la decisione del tribunale.
Sono preoccupazioni comprensibili visto che le forze della sicurezza thai sono accusate di beneficiare di una cultura dell’impunità che sembra definire in modo caratteristico le operazioni di sicurezza nella regione.
Dal 2004 la regione vive sotto la legge marziale che garantisce poteri totali alle autorità che, secondo la gente del posto e dei gruppi dei diritti, abusano ripetutamente delle leggi marziale e di emergenza.
Nonostante le accuse persistenti di detenzioni illegali, omicidi extragiudiziali e tortura dei presunti insorti nel meridione thai, neanche un singolo membro delle forze di sicurezza è mai stato portato davanti alla legge.
La situazione generale della sicurezza nel Profondo Meridione dovrebbe rimanere relativamente calma prima dell’udienza del 12 settembre, anche se non si possono escludere casi di disordini o attacchi.
Se nessuno degli imputati si presenterà in tribunale, la tensione in tutta la regione potrebbe iniziare a salire e se la prescrizione scade senza che nessuno degli imputati si presenti in tribunale, aumenterà il rischio di attacchi da parte degli insorti locali, in particolare dei membri più giovani.
Anche prima della pubblicità del processo e della scadenza dei termini di prescrizione, il rischio di disordini civili e di attacchi da parte degli insorti è aumentato in occasione del ventesimo anniversario del massacro.
Se il processo non andrà avanti, potrebbero anche essere minati i recenti progressi fatti nei negoziati di pace tra il governo thailandese e il gruppo ribelle separatista maggiore.
A febbraio il governo e il BRN, il maggior gruppo insorgente della regione, si accordarono su un percorso per la soluzione di questo lungo conflitto nei negoziati facilitati dalla Malesia.
Ma nonostante il progresso positivo fatto restano i dubbi che riguardano l’influenza dei militari thai sul governo civile e sullo stesso processo del negoziato.
Alla luce dei passati abusi dei diritti si capisce il senso persistente che nessuno degli accusati si presenterà in tribunale il 12 settembre e che le autorità thai permetteranno la scadenza dei termini di prescrizione.
L’analista politico Paul Chambers ha detto in un suo articolo che “il pubblico ministero del governo sembra pronto a lasciar cadere il caso di tak Bai nel 2024 a significare che i militari che si occuparono di quel massacro sfuggiranno alle pene”.
Se le autorità sceglieranno di proteggere alcuni dei suoi dai tribunali piuttosto che sostenere in modo genuino gli sforzi per avere un minimo di giustizia per le vittime di Tak Bai, darà un segno dell’accettazione della cultura dell’impunità per la violenza di stato ed eroderà ancora di più la fiducia della gente nel governo della legge.
Un tale risultato di ingiustizia sarà percepito ancora di più nel profondo meridione ed esaspererà ancora di più la sfiducia secolare e l’animosità tra lo stato thai e i musulmani di etnia malese, minando forse gli attuali negoziati di pace.
D’altro canto, se il processo dovesse iniziare prima della scadenza della prescrizione, le vittime del massacro di Tak Bai potrebbero ancora avere una possibilità di ricevere un po’ di giustizia.
Christian Wells, TheDiplomat