Ma esiste un secondo conflitto in Thailandia che non è sotto le luci sebbene il numero di vittime sia molto più alto che nella capitale, il conflitto etno-politico del profondo meridione thailandese.
Sin dallo scorso novembre l’attenzione nazionale e mondiale è stata sulla lotta di potere a Bangkok tra il PDRC e il governo facente funzione del Puea Thai. Entrambi affermano di avere un alto livello morale riferendosi i primi alla necessità di superare le politiche populiste e la politica maggioritaria e corrotta del regime di Thaksin; l’altra parte riferendosi invece all’importanza della democrazia elettorale e alla costituzione.
Ma esiste un secondo conflitto in Thailandia che non è sotto le luci sebbene il numero di vittime sia molto più alto che nella capitale, il conflitto etno-politico del profondo meridione thailandese.
Mentre l’affermazione corrente è di focalizzarsi sul sistemare il conflitto al centro, entrambi i conflitti hanno origini simili e necessitano entrambi di uno stesso approccio per sistemarli in via pacifica.
Il legame fondamentale è che una riforma genuinamente democratica nel paese non solo richiederà un accordo di una comprensiva nuova condivisione di poteri al centro, ma anche tra centro e le regioni. E’ difficile prevedere un accordo equo e sostenibile politico senza decentralizzazione in generale e qualche tipo di autonomia in particolare nel profondo meridione.
L’essenza del conflitto meridionale è sulla legittimità del governo sulle tre province più meridionali di Pattani, Yala e Narathiwat oltre 4 distretti di Songkla.
Mentre lo stato thailandese sostiene che questa regione era stata uno stato vassallo del Siam da tempi immemori, gli storici Malay Musulmani affermano che “il sultanato di Pattani” aveva mantenuto la sua sovranità di fatto fino al trattato del 1909 anglo siamese.
Di conseguenza il controllo thailandese della regione è percepito come un relitto coloniale del passato che deve essere rettificato in conformità del diritto di autodeterminazione che potrebbe non necessariamente significare indipendenza.
Le radici simili dei due conflitti possono essere raggruppati in tre punti: il carattere centralizzato dello stato thai, il livello più vasto di politicizzazione degli ultimi 15 anni e la mancanza di una cultura effettiva per affrontare i disaccordi radicali sulle questioni di governo.
L’alto livello di centralizzazione ha reso difficile che lo stato riconoscesse le identità particolari e le aspirazioni delle regioni al di là della usuale cooptazione delle elite regionali dentro la politica centrale. Invece, il concetto sponsorizzato dallo stato di una Thailandesità unificata ha creato una tessuto sociale ambivalente di assimilazione e conformità da un lato, ma anche resistenza in alcuni settori della società dall’altro.
Questa resistenza è forte nel profondo meridione thailandese, mentre nel nord e nordest le lamentele e frustrazioni verso il dominio politico di Bangkok sono più rilevanti, specie a causa del fatto che i governi che loro hanno votato furono cacciati da forze influenti al centro.
L’espansione massiccia della partecipazione politica, inclusi i tanti che non si erano mai interessati agli affari pubblici prima, è una tendenza globale per i prossimi due decenni.
Quello che lo rende specifico in Thailandia è che ha chiuso la differenza tra le forme tradizionali di potere burocratico e di elite da un lato e la politica rappresentativa dall’altro. Ha condotto a un conflitto codificato in colori e l’attuale lotta di attrito tra questi due modi di fare politica.
Da un punto di vista esterno è ovvio che si deve trovare qualche tipo di compromesso che debba abbracciare i fondamenti della politica di rappresentanza, il governo della legge, il processi decisionali equi ed inclusivi e la protezione delle minoranze.
Nel caso del profondo meridione, la politicizzazione è meno visibile fuori della regione a causa dell’interesse limitato dei grandi media a Bangkok. Ma l’evolversi della violenza come pure le risposte a questa violenza hanno un impatto profondo sulle attitudini della gente sul campo.
Gli indicatori più ovvi sono il rafforzamento della società civile locale come pure il movimento emergente dei giovani per la riforma politica e l’autodeterminazione.
La tendenza nazionale di una maggiore partecipazione pubblica resterà e la classe politica deve trovare i modi per entrare in contatto con questa tendenza in modo reale e costruttivo.
La terza ragione che lega i due conflitti è legata alla mancanza di un meccanismo effettivo ed una cultura politica adeguata di trattare le differenze radicali nella realtà pubblica.
Non sono più sufficienti né il modello burocratico della presa di decisione autoritaria né il modello maggioritario della politica rappresentativa per sistemare le dispute di fondamentale importanza per il bene comune dei cittadini.
I più recenti esempi di “diplomazia dei megafoni” delle parti a Bangkok come pure nel meridione che si rivolgono ad un pubblico immaginato come indeciso hanno piuttosto aggravato il conflitto invece di migliorare la comprensione reciproca.
La parti devono imparare a comprendere le preoccupazioni, i bisogni e le paure fondamentali reciproche. Devono anche imparare a fare i compromessi, a condividere i poteri ed ad accettare che talvolta si ha bisogno di una parte terza come facilitatore o mediatore per superare i loro punti ciechi e la propria arroganza.
Questo ci porta alla domanda: C’è qualcosa da imparare dalle esperienze del dialogo di pace tra il governo thai e il BRN nel profondo meridione?
Per tanti osservatori questa domanda sembra già assurda. Come si può apprendere qualcosa da un processo di pace fermato se non del tutto fallito? La nostra opinione è che questo processo ha aperto un capitolo nuovo per un futuro potenzialmente pacifico nella regione di Pattani e che persino gli errori offrono lezioni importanti anche per il conflitto al centro.
La prima intuizione è che ogni serio processo di pace deve cominciare col semplice riconoscimento che, in primo luogo, c’è un conflitto politico, e che qualunque cosa si pensi dell’altro si devono affrontare le cause e le interpretazioni fondamentalmente differenti e le richieste di legittimazione delle parti.
Giungere a questa intuizione per il conflitto meridionale non è stato facile dopo che per decenni si è minimizzato se non ignorato il carattere politico del conflitto. Questo passo l osi dovrà fare prima o poi al centro.
All’inizio ci potrebbe volere il riconoscimento del solo “essere d’accordo sul disaccordo”, ma è già un passo importante per superare la tentazione della somma zero del discorso “ci può solo essere un risultato osi vice o si perde”.
La seconda intuizione derivata dagli sforzi di pace nel meridione non è dovuto a quello che si è raggiunto quanto ai limiti. Una importante lezione appresa dai conflitti risolti nel mondo, come in Irlanda del Nord, Aceh o Mindanao è che essi richiedono un processo solido, sostenuto professionalmente e resiliente che sostenga la costruzione della fiducia e della confidenza ed apra spazi affinché tutte le parti partecipino alla trasformazione del conflitto.
La società civile nel profondo meridione thailandese ha provato a utilizzare al meglio il processo di pace. Sfortunatamente le loro interfacce, che si sarebbero dovute impegnare con l’interlocutore politico, dal lato dello stato come del BRN non sono stati ancora efficaci abbastanza da impattare il processo in modo decisivo. Ma questo può cambiare quando il processo sarà rivitalizzato e le parti useranno il tempo intermedio per lavorare a infrastrutture solido di sostegno al processo e per usare al meglio le conoscenze ottenibili da processi simili.
Rispetto al conflitto nazionale, sono necessari conflitti simili per allargare ed approfondire la partecipazione di tutte le parti negli sforzi di lavorare verso quello che talvolta si chiama nuovo “contratto sociale”.
Un metodo, usato per scopi simili in Yemen e potrebbe essere usato in Myanmar nel prossimo futuro, è quello di un “dialogo nazionale” o di “Conferenza del dialogo nazionale”. Questo approccio denota sforzi comprensivi e sostenuti di unire società che hanno vissuto fasi dolorose di violenza politica, profonde divisioni sociali o gravi processi di transizione costituzionale. Le sue caratteristiche fondamentali sono non solo di includere tutte le parti politiche, ma tutti i portatori di interessi sociali, capi locali e regionali come pure società civile, e che il processo è organizzato in un modo attento e comprensivo per aumentare le possibilità di un consenso di larga base.
Non è cosa facile. Tutte le parti devono essere preparate a fare compromessi. Il punto importante è che i compromessi devono superare una veloce soluzione su cui le parti possano trovarsi d’accordo con l’attesa di superarli ogni volta che avranno di nuovo il potere completo.
Questo è quello che si chiamano “compromessi storici”, accordi che hanno il potenziale di unire società divise.
Questo è la nostra terza intuizione derivata dal processo di pace meridionale. Alla fine dei conti, è importante che la gente sul campo si senta riconosciuta e rispettata rispetto ai loro bisogni e preoccupazioni.
Questo potrebbe portare a differenti soluzioni per differenti regioni. Nel profondo meridione thailandese “il compromesso storico” più interessante potrebbe diventare una qualche specie di autonomia con speciali disposizioni a causa del carattere multiculturale della regione.
Per il conflitto nazionale potrebbe essere la risposta più democratica e sostenibile alla crisi attuale una combinazione intelligente di riforma al centro e un rafforzamento significativo del governo regionale e locale.
Srisompob Jitpiromsri e Norbert Ropers, Centre for Conflict Studies and Cultural Diversity, Prince of Songkla University. Bangkokpost