Ma l’accordo fa ancora di più. Mostra ad un mondo segnato da conflitti intrattabili come la volontà politica sostenuta e una negoziazione attenta possano produrre un accordo comprensivo per dare indirizzi alle spinte complesse del conflitto e offrire la speranza di una pace duratura.
La seconda decade del XXI secolo è stato un terreno durissimo per chi costruisce la pace. Sono scoppiati nuovi conflitti per l’Asia, l’Africa e il Medio Oriente, e vecchi conflitti si sono riaccesi.
La primavera araba che segnò l’inizio del decennio ha lasciato i paesi che hanno provato ad abbracciare la democrazia amaramente divisi secondo linee etniche e religiose. Gli stati africani dove i conflitti interni erano stati assestati attraverso il negoziato ed il dialogo, come Mozambico e Repubblica Centro Africana, hanno visto il riaprirsi di vecchie ferite. In Asia il conflitto sub-nazionale cronico sembra resistere agli sforzi di mitigazione prolungati in India, in gran parte del Sudestasiatico e parti periferiche della Cina.
Forse la Mindanao Musulmana non ha la visibilità della tragica guerra civile in Siria o nel Sudan meridionale, ma ma l’amara lotta per l’autonomia lanciata dal MILF è costata la vita ad oltre 100 mila persone sin dagli anni 70 sconvolgendo la vita di altre milioni di persone.
Per porre fine ad una guerra ci è voluto coraggio politico, visione ed una misura significativa di pensiero collettivo su che tipo di accordo avrebbe portato una pace duratura.
Per prima cosa c’era la comprensione che il conflitto non sarebbe stato risolto con la guerra; poi le parti hanno avuto bisogno di ottenere il sostegno per i negoziati dai loro cittadini. Un cessate il fuoco durevole e un’architettura reale furono messi in piedi con un monitoraggio e sostegno internazionale sufficiente.
Questi passi hanno assicurato che i negoziati sarebbero potuti procedere non gravati dal bisogno di rivisitare costantemente i mandati e riaffermare la legittimità. Infine le Filippine hanno soppresso il loro naturale desiderio di risolvere il loro proprio conflitto permettendo ad una parte reza, la Malesia, di facilitare il processo.
Non si vuole dire che è stata una navigazione tranquilla. Per i primi due anni i livelli di sfiducia reciproca erano fortissimi. Il processo era naufragato nel 2008 quando un accordo sui domini ancestrali che le parti avevano già sottoscritto fu capovolto dalla corte suprema filippina, a cui seguì il riaccendersi degli scontri che causarono il dislocamento di oltre mezzo milione di persone.
Ma piuttosto che gettare la spugna e tornare alla guerra, il processo fu resettato. Fu portato dentro un nuovo mediatore e in una mossa unica e forte le parti si accordarono sulla formazione di un gruppo di contatto internazionale che comprendeva stati e ONG.
Come uno dei membri di questo gruppo, il Centre for Humanitarian Dialogue ha avuto il privilegio di osservare e sostenere i negoziati nei cinque anni. Sedendo nell’ultima sessione plenaria dell’ultimo giro di colloqui alla fine di gennaio, mentre le parti rivedevano il testo su cui si erano accordati linea per linea e comma per comma, erano evidenti le immense implicazioni di questo accordo per la popolazione Moro di Mindanao.
A loro non era la prima volta in cui avevano promesso autonomia. Dopo tutto c’era l’accordo finale di pace del 1996. Ma questa volta l’accordo offre speranza che quell’autonomia funzionerà. Nel suo vasto scopo e nel dettaglio fine, si affronta ogni aspetto di quello che ci vuole per assicurare un futuro di pace, dalla condivisione delle ricchezze agli accordi sulle tasse, dalla condivisione di poteri e la creazione di zone di cooperazione congiunta nel Golfo Moro e nel Mare di Sulu.
In modo critico, questa volta c’è un accordo comprensivo sugli arrangiamenti della sicurezza che presenta un concetto unico “Olistico” di normalizzazione e giustizia di transizione. L’accordo garantisce anche un’amnistia e definisce in modo specifico il ruolo dei donatori internazionali e degli esperti nel sostenere l’applicazione. Forse ci sono voluti quasi venti anni ma se questo accordo non funziona, sarà un problema grosso per tutto lo stato dell’arte del fare la pace attraverso un negoziato.
Col completamento del negoziato inizia il compito grande dell’implementazione. Il prossimo passo sarà definire la legge fondamentale del Bangsamoro da approvarsi in Parlamento, seguita da un plebiscito alla fine di quest’anno.
E’ ancora sorprendente la preparazione che hanno le parti. Un corpo costituito da esperti di entrambe le parti, La Commissione di Transizione Bangsamoro, è già ala lavoro per redigere la legge fondamentale del Bangsamoro che il parlamento spera di far approvare nel Parlamento ad Aprile. L’accordo prevede vari meccanismi come Comitato Congiunto di Normalizzazione, il Corpo Indipendente di smilitarizzazione e un Comitato Congiunto di Pace e Sicurezza che monitoreranno le varie componenti che il più largo processo di normalizzazione coinvolge.
Va dato credito al governo filippino per il sostegno di una visione di negoziato pacifico per porre fine al conflitto che è passato per quattro differenti amministrazioni elette. Questo riflette in parte la mossa iniziale di vedere un consenso pubblico sul desiderio di una fine pacifica del conflitto piuttosto di una guerra totale, e poi la creazione di un ufficio speciale, sotto l’egida del Presidente, per gestire il processo di pace guidato da un ministro del governo. Vista la cronicità dei conflitti armati nelle Filippine, non sono mai stati gestiti così attentamente e curati né in un modo così inclusivo e democratico.
Sia il MILF che il governo sono stati aperti al sostegno e consiglio esterno. Sarebbe stato difficile disegnare un accordo comprensivo così ed un’architettura senza esser recettivi delle esperienze e delle lezioni imparate da altri contesti.
Inizialmente, nel dopo 2001, ci possono essere stati motivi legati all’antiterrorismo che spiegano il livello elevato di sostegno internazionale, ma donatori come Australia, Comunità Europea, Giappone e UK, come pure altri, hanno prolungato l’impegno molto dopo che si esaurisse la minaccia terroristica, a causa della promessa di pace che offriva il processo.
Se c’è una lezione per il mondo intero, è semplicemente che questo momento epocale nella ricerca della pace a Mindanao dimostra il valore di negoziati aperti, strutturati e inclusivi per porre fine ai conflitti. E’ in tanti modi l’antitesi della Siria: un conflitto dimenticato, brutto, risolto pacificamente.
Michael Vatikiotis, Bangkokpost