Di fronte all’attuale conflitto politico thailandese, è importante non perdere di vista quello che costituisce storicamente il substrato di molti governi di tutti i colori: il crimine di stato sistematico delle scomparse forzate e degli omicidi extragiudiziali, esaltati da una impunità totale sotto tutti i governi.
Se difendere la democrazia significa difendere dei governi legittimamente eletti dalle elité aristocratiche, come accade oggi in Thailandia, non bisogna mai dimenticare questi crimini e violazione di diritti umani che gettano un’ombra sinistra sul governo sotto cui vengono commessi.
In questo articolo apparso su Prachatai, si parla di cose già conosciute e anche qui denunciate, come pure si fa conoscere un altro caso di “strage di Stato” accaduta nel meridione thailandese negli anni 70, quando furono bruciati vivi tantissimi sospettati comunisti, in un lavoro di ricerca di Tyrrell Haberkorn. Il caso fu denunciato nel 1975 in Thailandia come “red Drums“, Barili Rossi.
Crimine di stato: scomparse forzate, omicidi ed impunità, di Thaweeporn Kummetha, Prachatai
Nell’ottobre 2003, Jawa Jalo, dell’etnia Lahu, fu preso da rappresentati armati dello stato in una perquisizione presso un’azienda di coltivazione di Lychee in una provincia del confine settentrionale.
Sebbene chi lo catturò avesse riportato che non era stata trovata alcuna droga illecita su Jawa, decisero di tenerlo in custodia presso un campo dei rangers.
Un ufficiale gli calpestò il collo fino a fargli uscire il sangue dalla bocca. Fu pestato nel campo ed altri detenuti, per lo più lahu, furono costretti per due volte a prenderlo a calci. Poi Jawa, ferito profondamente, fu lasciato a morire per terra. Poi il suo corpo fu buttato in una fossa nel suolo. Si assicurarono che era morto sparandolo per varie volte. A due detenuti fu ordinato di seppellire il corpo. Alcuni giorni dopo, la figlia di Jawa andò per due volte al campo dei ranger a chiedere del padre.
La prima volta le risposero che lo avevano rilasciato e che non sapevano dove se ne fosse andato, mentre la seconda volta un ufficiale le disse che era stato portato a Chang Mai. Jawa è ancora scomparso. Secondo il presidente dell’associazione Lahu Sila Jahae oltre una ventina di Lahu sono vittime di scomparsa forzata per mano dei ranger dei militari e ufficiali di polizia.
La popolazione Lahu, che vivono nei distretti di frontiera che costeggiano la Birmania nelle province di Chang Mai e Chang Rai, hanno vissuto in un clima di paura da quando il governo di Thaksin Shinawatra annunciò la guerra alla droga nel 2003. Lo stato crede che i distretti di frontiera siano parte integrante della rotta del traffico della droga che va dallo stato birmano Wa e che le popolazioni delle tribù etniche siano coinvolte.
La guerra alla droga intensificò un trattamento ineguale dei Lahu che si basa su assunzioni stereotipate fatte dallo stato secondo cui le tribù di montagna sono coinvolte nei crimini come il traffico di stupefacenti, la deforestazione e l’appropriazione della terra.
In quel periodo rappresentanti dello stato come soldati e rangers arrestavano arbitrariamente individui affermando che potevano essere coinvolti nel traffico o possesso di beni illegali. Le persone arrestate di solito erano picchiate e bendate e quando arrivavano al campo militare erano interrogate e picchiate di nuovo. Erano detenute in buche nel terreno profonde 4 metri e larghe 4 con dieci detenuti per buca, ma talvolta il numero era anche di 40 detenuti.
Gran parte dei detenuti erano tenuti nella buca di continuo per una settimana prima di essere interrogati e torturati anche con cosse elettriche. Erano nutrite due volte al giorno mentre il periodo medio di detenzione era anche di due o tre mesi, ma c’erano casi di persone detenute 45 giorni.
“La condizione di quelle buche erano terribili. Mangiavamo dormivamo, urinavamo e defecavamo nella stessa buca” diceva Sila. Sono storie conosciute molto tra i Lahu. In molti casi la cattura, le violenze e le sparatorie erano fatte in pubblico di fronte alle altre persone Lahu. Gran poarte delle vittime e delle loro famiglie non osavano denunciare il caso alla polizia per paura che loro stessi potessero fare la stessa fine.
“E’ usuale che un rappresentante dello stato prenda un abitante e lo picchi di fronte a tutti.” dice il presidente dell’associazione Lahu. Sila è un attivista Lahu che ha combattuto per la giustizia per la sua e le altre tribù in Thailandia. Lui stesso fu detenuto in una fossa per due volte nel campo dei rangers. La prima volta quando incorse in un gruppo di rangers mentre si ritirava a casa dalla stazione di polizia. La seconda volta giunsero i soldati ad arrestarlo, mentre era in una riunione con gli altri membri dell’associazione. Ha avuto più fortuna di altri Lahu. Fu rilasciato indenne dopo che sua moglie andò a protestare ad un deputato del posto.
Con la fine della Guerra alla Droga nella fine del 2003, la pratica della tortura, degli omicidi extragiudiziali e scomparse forzate sono continuate fino ad oggi. I rappresentati dello stato possono giungere alla porta affermando di essere alla ricerca di beni illegali ed ordinare una perquisizione senza mandato, o con un falso mandato, prendendo tutto quello che ritengono giusto e detenendo una persona in località sconosciute.
Questa pratica ha creato un nuovo problema quando alcuni Lahu che vogliono farsi eleggere in un’entità locale accusano i propri rivali di coinvolgimento nel traffico di droga o di possedere bene illegali. Alcuni abitanti hanno persino deciso di scomparire nelle foreste birmane, mentre altri si sono uniti a gruppi militanti per scappare alle atrocità dello stato thailandese, secondo quanto dice Sila che aggiunge che mai nessuno è stato mai messo sotto accusa per i crimini contro i Lahu.
A circa 1800 chilometri di distanza, nell’estremo meridione, nelle province irrequiete di Yala, dopo che una scuola secondaria di Bannag Sata era stata colpita da incendi per sette volte, la forza di polizia locale se la prese con il guardiano della scuola, Mayateng Maranor. La mattina del 24 giugno 2007. circa 50 rangers di una forza speciale circondò il villaggio e pose un punto di controllo di fronte la casa dell’uomo. A mezzogiorno i rangers perquisirono la casa di Mayateng e lo interrogarono sul perché avesse lasciato bruciare la scuola. Gli chiesero anche del figlio giovane. Mayateng negò tutte le accuse e fu arrestato senza un mandato per la legge marziale. Molte sue cose personali, come anche l’auto, furono sequestrate.
Le storie di Mayateng e Jawas sono due dei 70 casi di scomparse forzate e tortura documentate da JPF, fondazione della giustizia della pace, una ONG di Bangkok che lavora sul problema delle scomparse forzate, della tortura e degli omicidi extragiudiziali.
30 casi sono legati alle politiche antiseparatiste nelle tre province meridionali di Yala, Pattanie Narathiwat. Annesse al Siam nel 1909 gli abitanti dell’area sono a predominanza malay, la cui maggioranza non parlano bene il thailandese.
La regione ha una storia di resistenza che è peggiorata dopo che il governo Thaksin dissolse un corpo speciale dello stato in carico della sicurezza nel profondo meridione rimpiazzandola, nel 2002, con le forze di polizia fortemente impopolari.
La risposta dello stato all’insorgenza sotto tutti i governi è stata fortemente militarizzata con l’impiego di grandi numeri di soldati e l’imposizione delle leggi di sicurezza come lo stato di emergenza. Si legge nel Rapporto Scomparse Forzate in Thailandia: “Questo approccio combinato con la violenze e l’intimidazione dell’insorgenza ha comportato per la popolazione civile la paura e l’esteso uso di violazioni di diritti umani. Detenzione arbitraria, tortura, omicidi extragiudiziali e scomparse sono diventate esperienze comuni nel meridione.”
Le politiche che portano alla violenza di stato
E’ interessante notare che le politiche che hanno portato a gravi violazioni dei diritti umani furono create da un capo popolare eletto a maggioranza. Proprio queste violazioni commesse durante l’amministrazione Thaksin sembrano essere state rimosse quando il paese è sopraffatto dal conflitto politico codificato con i colori.
Quali sono le caratteristiche di una politica che porta di solito a gravi violazioni di diritti umani, come tortura, omicidi extragiudiziali e scomparse forzate? Secondo Tyrell Haberkorn dell’ANU le politiche che portano di solito a queste violazioni sono quelle che creano delle aree grige per i rappresentanti dello stato.
“Nel caso della guerra alla droga, la politica era abbastanza vaga per i rappresentanti dello stato dando loro un grande spazio. A loro fu detto di “trattare il problema della droga” ma Thaksin o la gente sotto di lui non ha saputo mai cosa dover fare. Fu preso come un segnale di fare qualunque cosa c’è bisogno di fare” dice Haberkorn. A chi applicava la legge localmente la politica data fu “occhio per occhio”, che voleva dire che chi aveva una storia di coinvolgimento con la droga era considerato una “minaccia della sicurezza” che si poteva trattare con modo deciso, severo e senza scrupoli. Ogni provincia ebbe un numero di arresti e sequestri di droghe da fare pena la punizione di chi non soddisfaceva questa quota.
Nel caso del meridione inquieto, Haberkorn dice che l’area grigia viene dalle leggi speciali della sicurezza applicati nel meridione che essenzialmente permettono un periodo di detenzione senza accusa da sette a trenta giorni, che può essere fatto anche in luoghi non ufficiali, che siano campi militari o templi. I familiari delle vittime non sanno dove i loro familiari sono stati portati e dove chiedere. Agli stessi legali, come a chiunque altro, non deve essere dato accesso ai detenuti.
Il Crimine di stato sistematico
Il caso più rinomato di scomparsa forzata è quello dell’avvocato musulmano Somchai Neelapaijit. Dieci anni fa stava rappresentando alcuni sospettati musulmani accusati di aver rubato armi da un campo militare di Narathiwat il 26 gennaio 2004. Scoprì che i suoi clienti erano stati torturati e costretti alla confessione mentre erano in custodia della divisione di soppressione del crimine, CSD. Le accuse di tortura includevano la violenza fisica, le scosse elettriche e persino l’urinare in bocca.
Somchai denunciò la tortura da parte della polizia CSD il giorno seguente ad un gruppo di discussione a Bangkok dove erano presenti ufficiali di alto rango e giornalisti. Poi Somchai denunciò gli abusi con una petizione a vari corpi dello stato.
Il 12 marzo del 2004 mentre Somchai guidava lungo la Ramkhameng Road fu costretto a fermarsi da una macchina che lo seguiva. Un testimone vide Somchai parlare con cinque uomini che lo costrinsero ad entrare nella macchina loro. Somchai non è stato mai più visto da quel momento.
Cinque poliziotti furono accusati di furto e coercizione. Il testimone identificò il maggiore di polizia Ngern Thongsukand come la persona che spinse Somchai nell’auto, e lui era colui che indagava nel caso di furto di armi e che fu identificato come uno di quelli che avevano commesso gli abusi contro i sospettati musulmani.
La figlia di Somchai, Pratubjit Neelapaijit e ricercatrice del JPF, disse una volta in TV che crede che ci siano almeno 20 ufficiali di stato coinvolti nel crimine contro suo padre.
Alcune prove essenziali sono le registrazioni delle telefonate dei cinque ufficiali sospettati. Il 12 marzo 2004 quando Somchai scomparve, ci furono 75 telefonate tra i cinque poliziotti, un numero irragionevolmente alto rispetto ai giorni precedente e successivo. Le telefonate mostrano che i cinque avevano seguito Somchai dalla mattina fino alla scomparsa. I dati mostrano che uno degli accusati chiamò una persona presso l’ufficio del primo ministro dopo l’incidente sulla Ramkhameng Road.
La corte di prima istanza trovò nel gennaio 2006 solo Ngern colpevole di coercizione, che è un crimine di poca importanza, e l’uomo fu rilasciato su cauzione. Lo stesso giorno il primo ministro in persona Thaksin parlò ai media dicendo di sapere che Somchai era morto e che a causare la sua morte erano stati ufficiali dello stato.
A settembre 2008 Ngern scomparve. Nel dicembre 2009 Abdulloh Abukaree, uno dei testimoni e cliente di Somchai nel caso di tortura scomparve. La corte di appello nel marzo 2011 rilasciò tutti gli accusati per insufficienza di prove. Inoltre affermò la corte che la moglie Angkhana non poteva agire per conto di suo marito come ricorrente, perché non era provato che Somchai era stato ucciso o ferito al punto tale che non poteva agire in prima persona.
In altre parole la Corte di Appello richiedeva di vedere il corpo di una vittima di scomparsa forzata prima di decidere che era morto.
La Thailandia non ha ancora reso penale la scomparsa forzata e questo vuol dire cje la legge attuale riconosce un caso di omicidio se si trova il corpo. Il dipartimento di indagini speciali, DSI, responsabile per le indagini del caso, è stato fortemente criticato dalla famiglia di Somchai e dalla Commissione Internazionale di Giuristi (ICJ) perché manca della motivazione per preparare adeguatamente gli esperti e la prova come dimostratisi da varie scappatoie delle prove che hanno poi portato al rigetto delle prove da parte della corte. ICJ ha invitato il DSI ad accusare di omicidio le persone accusate.
Il dicembre del 2013 il DSI affermò di non poter continuare ad indagare sul caso, a causa della comparsa dell’incartamento completo in occasione delle manifestazioni antigovernative presso il DSI, affermazione che poi si rivelò falsa.
Un ufficiale del DSI disse ad Angkhana che Somchai fu torturato fino alla morte in un luogo vicino al CSD, ed il suo corpo fu poi bruciato e le ceneri gettate in un fiume di Bangkok. Sebbene il DSI sappia il destino di Somchai, annunciò poi che il caso era da considerarsi chiuso.
Questo caso secondo Haberkorn è un esempio vivido di come le scomparse forzate in Thailandia siano diventate sistematiche perché il crimine è portato avanti con la collusione a tutti i livelli e nessuno è mai ritenuto colpevole. Inoltre all’interno della catena di comando nessuno ha criticato la polizia che ha compiuto il crimine.
Secondo Angkhana i colpevoli della scomparsa di Somchai furono sospesi brevemente durante il governo di Abhisit ma furono rimessi al lavoro e persino promossi durante il governo di Yingluck Shinawatra.
“I rappresentanti dello stato ricevettero il segnale che cìè qualcosa che possono fare. Di certo non saranno penalizzati ed è certo che potrebbero essere premiati” dice Haberkorn.
La cultura dell’impunità, la cultura delle scomparse forzate.
Il caso più vergognoso della Thailandia in cui non si perseguirono le autorità statali per le gravi violazioni dei diritti umani commessi fu la scomparsa di massa, le torture e gli omicidi di sospettati comunisti nella provincia meridionale di Phatthalung durante la Guerra Fredda, che va sotto il nome di Omicidi di “Red Drums”. Questi fatti, che prendono il nome dal modo in cui i sospettati erano uccisi, accaddero durante la dittatura del Maresciallo Thanom Kittikachorn.
Si pensa che migliaia di sospettati comunisti siano stati uccisi bruciati vivi in cilindri da 200 litri di petrolio. Durante le esecuzioni erano fatte accendere i motori dei camion per mascherare in parte le grida delle persone uccise. Si pensa che siano stati uccisi a questo modo 3000 persone nel 1972 secondo un lavoro di ricerca di Haberkorn.
Anche se le atrocità furono commesse sotto la dittatura militare, furono le manifestazioni studentesche nel 1975 a denunciarle causando un grande dibattito nella società thailandese. I media denunciarono vivamente il caso e si invitarono le autorità a punire chi aveva sbagliato. Il ministro degli interni costituì una commissione di indagini a metà del 1975. Le conclusioni del ministro furono che erano stati uccisi cittadini innocenti ma non si parlava di migliaia quanto di alcune decine. Nessuno comunque, indipendentemente dal numero delle vittime, fu punito. Il corpo dello stato coinvolto poté continuare il proprio lavoro come sempre, dice Haberkorn nella sua ricerca.
“C’è una relazione diretta tra impunità e scomparsa forzata. Sono colpito sempre poiché ci sono stati così tanti casi di scomparse forzate, tortura e omicidi extra giudiziali, un massacro. Ma è estremamente raro che qualcuno sia considerato responsabile.” dice Haberkorn.
Dal momento che non ci sono responsabili, la realtà delle scomparse forzate e degli omicidi extragiudiziali accade sempre, è diventata una norma e persino fiorisce nella cultura dell’impunità, dice la ricercatrice Tyrrell Haberkorn.
Thaweeporn Kummetha, Il crimine di stato, Prachatai