In questo blog si è parlato alcune volte della nuova personalità balzata alle cronache politiche del paese, Jokowi, il governatore appena nominato di Giacarta, diventato famoso come persona integra ed onesta con buone capacità, in un panorama politico alquanto sconsolante. Dal grafico di fianco si può capire, anche senza conoscere i partiti coinvolti, che si ha una sostanziale polverizzazione delle forze e che sarà necessario per tutti formare una coalizione per poter esprimere il proprio candidato presidenziale. In molti hanno detto che l’effetto Jokowi non si è avuto.
Da notare che i partiti islamici nel complesso hanno raggiunto un risultato maggiore del previsto, incassando probabilmente la forte lotta di strada che ha colpito per la sua forte intolleranza religiosa. Bisognerà cominciare a pensare ad una nuova repubblica islamica?
In questo articolo che segue si analizza un po’ quello che è successo.
Il voto parlamentare indonesiano rende confuso il quadro, di Lin Neumann, AsiaSentinel
I risultati delle elezioni legislative di mercoledì sono una delusione per chi aveva sperato che il governatore di Giacarta Joko Jokowi Widodo sarebbe stato fiondato alla presidenza sulla base di un balzo elettorale enorme da parte del partito che lo sosteneva, PDI-P.
Invece, il PDI-P emerge come il primo partito ma non con un margine sufficiente ad evitare il proseguimento del sistema di coalizione di governo negoziato. Non avendo raggiunto la soglia necessaria per correre da solo, il PDI-P e Jokowi dovranno trattare con la realtà degli accordi di corridoio con i partner di coalizione per poter andare alla competizione elettorale per la presidenza il 7 luglio prossimo.
Alcuni analisti pensavano che Jokowi avrebbe avuto una strada facile verso il potere se il PDI-P avesse sconfitto i propri oppositori in modo forte, e questa sarebbe stata una buona ricetta per un cambiamento genuino o almeno per una efficienza legislativa. Invece il voto di mercoledì ha comportato che almeno 9 su dodici partiti hanno raggiunto tanti voti da poter dire qualcosa in una coalizione prima delle elezioni di luglio ed essere attori politici significativi. Tra l’altro questo significa che la pratica di commerciare posti di ministeri in cambio di sostegno elettorale, talvolta con risultati disastrosi, dovrebbe continuare.
Prima del voto, le indagini statistiche sembravano indicare che il PDIP e il suo candidato presidenziale potessero vincere anche il 35% dei seggi nel parlamento di 560 membri. Il partito conduce la corsa ma non in modo convincente con una percentuale al di sotto del 20%.
Persino i partiti islamici, che la maggioranza degli analisti credeva sarebbero stati abbandonati dagli elettori, sono andati ragionevolmente bene conquistando più voti che nelle elezioni del 2009.
Il Partito Democratico del presidente Yudhoyono non è scomparso nel dimenticatoio come tanti nel partito temevano a causa degli scandali diffusi, ma è finito al IV posto con quasi il 10% dei voti. Uno stratega del PD è speranzoso che almeno potrà esprimere un candidato vicepresidente in una coalizione forse insieme a Jokowi. “E’ una buona notizia per noi”.
Jokowi resta di gran lunga il candidato presidente più forte e potrebbe anche vincere facilmente a luglio. Nel 2009 il PD aveva il 20% dei voti eppure Yudhoyono ottenne una vittoria col 60% del voto popolare.
Fino a metà maggio quando deve essere annunciata la coalizione, i partiti mercanteggeranno, con scambi di favori e seggi governativi da conquistare. E’ un tipo di processo confuso che alimenta la corruzione ad alti livelli senza che possa essere mai messa sotto accusa. Un partito o una coalizione avrà bisogno del 20% dei seggi o del 25% del voto popolare per nominare il candidato
Jokowi è salito alla ribalta per essere differente dagli altri e sembra davvero di esserlo. Ma in ballo c’è tanto quando si fa una coalizione presidenziale. PDI-P dovrà giocare secondo le regole che prevalgono quando il potere reale è ad essere negoziato.
Jokowi ha detto che nominerà ministri in base alla competenza, ma potrebbe trovare difficoltà quando andrà oltre i ministri economici dove prevalgono i tecnocrati. Yudhoyono non riuscì a nominare un governo serio dopo la sua grande rielezione nel 2009 ed il risultato fu disordine e scandalo in vari ministeri.
Jokowi con la sua popolarità del 40% resta il principale concorrente secondo varie indagini statistiche, mentre il suo inseguitore più vicino è il generale dell’era di Suharto Prawobo che lo segue a 20%.
Ma il partito di Prawobo, Gerindra, è finito al terzo posto con 12% del voto popolare ed è probabile che sarà Prawobo a radunare attorno a se i partiti minori per partecipare alla corsa elettorale. Il Golkar, partito dell’ex dittatore Suharto, è al secondo posto con 14% dei voti e certamente si alleerà con miliardario Bakrie come candidato anche se alle indagini statistiche non va affatto bene.
Molti analisti sono stati sorpresi anche di vedere la forza relativa dei tre maggiori partiti islamici che sono terminati tra il 6,5 ed il 9% del voto. L’Islam politico risulta quindi ancora attivo e quindi gli islamisti avranno ancora una forte voce nel futuro gabinetto sulle questioni sociali e religiose.
Ora resta da vedere chi sarà scelto da Jokowi come vice. Si parla di Jusuf Kalla come pure di Sri Mulyani Indrawati che è il numero due alla Banca Mondiale.
Ma Jokowi non avrà il lusso di agire per proprio conto, perché tutto deve essere visto attraverso il prisma della politica di coalizione: 9 partiti che contano portano ad un sistema complesso come sempre.
A luglio i probabili candidati sono Jokowi, Prawobo e Bakrie con vari partner. Se nessuno dovesse avere la maggioranza si terrà un secondo turno a settembre. E’ nelle mani di Jokowi la sconfitta ma la realtà politica in un paese vasto e complesso come l’Indonesia era chiaramente visibile mercoledì. Il sistema non sarà facile da cambiare e a corruzione che secondo le statistiche è la grande questione per gli elettori comincia proprio con gli accordi nel periodo elettorale.