L’arena politica thailandese continua ad avvicinarsi all’orlo del precipizio, dopo la dimissione forzata di Yingluck per la sentenza della corte costituzionale.
Suthep col suo PDRC ha cambiato domicilio spostandosi dal Lumpini Park al palazzo del governo dove gli hanno garantito uno spazio tutto per lui, come se fosse il Premier in pectore. E’ stato ricevuto a porte chiuse dal Presidente del Senato Surachai nel mezzo di una discussione parlamentare sulla situazione politica, facendo saltare i nervi ai sostenitori del governo con Jatuporn, capo dell’UDD, che ha accusato i due di istigazione all’insurrezione. La sessione del senato, costituito per lo più di senatori nominati, avrebbe dato un parere positivo alla nomina di un PM ad interim secondo l’articolo 7 della costituzione del 2007 del golpe.
“Supplico il presidente della Corte Suprema” ha detto Jatuporn “che è uno dei tre pilastri della democrazia di riconsiderare completamente le richieste di Suthep e la proposta successiva fatta da un presidente del senato non ancora formalmente validato per tenere un incontro e nominare un primo ministro.” aggiungendo che la Thailandia è ancora una monarchia costituzionale e che ogni soluzione ai problemi del paese deve essere presa in linea con la Costituzione. “Spero che la dirigenza del sistema giudiziario non stravolga la costituzione. Finora è stato lontano da accuse e non deve agire da potersi macchiare di qualcosa. Da parte sua Jatuporn ha detto che le magliette rosse resteranno sulla Aksa Road, nei pressi della residenza del principe ereditario per il tempo necessario, esercitando la massima tolleranza e non cercando lo scontro col PDRC. Ma un golpe e la nomina di un primo ministro non eletto, porrà il movimento in un’altra posizione di lotta.
Scrive Achara Ashayagat sul BangkokPost
“La pazzia sembra essere prevalente nella politica Thailandese nell’ultimo decennio: la gente si controlla sempre meno ed è meno tollerante, mentre parlano di vendetta, di umiliazione e disumanizzazione dell’altra parte politica.
Deve essere questa la ragione perché accadono certe cose strane. Per esempio, i poliziotti, che facevano la guardia all’entrata del Centro per l’Amministrazione della pace e dell’Ordine (CAPO) e che hanno lanciato i lacrimogeni contro la folla che si voleva intrufolare guidata dal monaco Buddha Issara, hanno dovuto chiedere scusa al monaco per la loro azione. Quando le guardie di sicurezza del monaco hanno assaltato in modo grave un colonnello che stava semplicemente spostando uno spartitraffico che bloccava la sua strada verso casa, il monaco Buddha Issara ha solo mandato del denaro alla madre del ferito. Dopo ha chiesto le scuse ma solo per una forma di controllo del danno di fronte al grido pubblico contro la violenza perpetrata dalla sua gente.”
Poi aggiunge:
“Non è ironico che il governo Yingluck sia rimasta attaccata alla costituzione del 2007 per poter sopravvivere, nonostante i tentativi di cambiarla, mentre l’alleanza di chi la scrisse, la promulgò ed applicò ora vuole ignorare la carta suprema, invitando i militari ad intervenire per assicurare che un premier non eletto sostituisca i politici del Puea Thai che sembrano imbattibili alle elezioni.
Mentre il golpe del 2006 poté eliminare dal paese l’imprenditore politico populista Thaksin, il governo del golpe di Surayud non è riuscito a sradicare la fedeltà di milioni di persone della classe media bassa e delle campagne nella nazione che ancora lo vedono come un eroe.”
Dopo aver plaudito ai militari che sembrano mantenere un po’ di sanità mentale perché per ora non intendono farsi tirare dentro una situazione senza via di uscita certe, Achara continua:
“Mentre la situazione politica piano piano scivola verso la tanto temuta violenza, il PDRC fa movimenti che ci ricordano del nostro passato poco piacevole di colpi di stato. Quando i golpe erano più familiari, ci eravamo abituati a vedere i soldati stazionare attorno ai giornali e alle TV. Ora sono il PDRC e suoi accoliti a occupare i media provando fisicamente a provare a fermare le TV indipendenti dal fare il loro lavoro.
In tanti sono rimasti costernati dal tono compromissorio dei principali media che non hanno condannato drasticamente le minacce chiare alla libertà di stampa. Il CAPO da parte sua non meno volgare del PDRC ha minacciato di azioni legali i membri dei media che si adeguano alle richieste degli antigovernativi.”
In modo interessante Achara pone un problema che riguarda direttamente le magliette rosse il cui sostegno al governo è certo e forte. L’autrice si domanda quanto durerà anche in considerazione del fatto che la dirigenza dell’UDD avrebbe fatto ben poco per sostenere i prigionieri politici accusati di lesa maestà e che nella mente di molti è ancora fresco il ricordo della famosa legge dell’amnistia tombale che aprì il vaso di Pandora, proposta dal Puea Thai.
“I sostenitori delle due parti marciano in una missione suicida mentre quelli dietro al PDRC e UDD rifiutano di parlare o di fare un compromesso. Nel frattempo l’economia e la competitività a lungo termine prendono un cammino verso il basso nell’abisso politico”
TUTTO E’ MARCIO, THE ECONOMIST.
Guardate e disperate. Un decennio fa la Thailandia era un esempio splendido, una rara prova che nel sudest asiatico una vibrante democrazia può andare di pari passo con un’economia forte. A contrasto la Thailandia del 7 maggio lasciata in cattivo stato dopo che la corte costituzionale chiedeva al primo ministro di dimettersi con nove ministri del suo gabinetto per la decisione di rimuovere il capo della sicurezza del paese nel 2011 in favore di un suo parente.
Questa non era comunque un reato che meritasse la cacciata del primo ministro, per la pretesa di essere un processo dovuto e per la ripugnanza del nepotismo di Yingluck. Invece la sentenza è una misura di quanto sia caduta la Thailandia, di quanto sia divisa e di come siano marce le sue istituzioni. Se i thailandesi non faranno un passo indietro dal precipizio, il paese rischia di cadere nel caos e nell’anarchia o nella violenza pura.
Nel cacciare Yingluck la corte ha realizzato quello che le proteste antigovernative di tanti mesi a Bangkok, condotte da un grande populista Suthep, non era riuscita a causare. Non è affatto la prima volta che la corte si è pronunciata contro di lei. Per rompere lo stallo Yingluck aveva invocato le elezioni di febbraio che furono boicottate dall’opposizione e di cui la corte cancellò il risultato. La Yingluck ha proseguito zoppicando da facente funzione: Il messaggio per tanti cittadini è che la corte è dalla parte del potere monarchico dedicato a distruggere le politiche di Yinglcuk, che fu eletta nell’incarico con una valanga di voti, e specialmente suo fratello Thaksin cacciato col golpe del 2006 ed ora in esilio a Dubai.
L’intero apparato governativo è stato risucchiato in un conflitto tra due visioni della Thailandia. Per chi sostiene Thaksin la sua comparsa nel 2001 ha segnato una rottura benefica dai decenni di governo di coalizioni corrotte o di giunte militari. Aiutato da una costituzione democratica nel 1997, ha dato la voce ad una maggioranza della Thailandia, la grande maggioranza nel nord e nordest. Secondo loro ha trasformato la vita dei più poveri con i programmi sanitari e di istruzione, sfidando le elite privilegiate nella burocrazia, nelle forze armate, nel sistema giudiziario e nei corridoi del palazzo di un Re in cattiva salute. Per i suoi sostenitori sia le proteste di strada che l’attivismo della Corte sono il risultato del potere che non riesce ad accettare il risultato elettorale: dal 2001 al 2011 i parti fedeli a Thaksin vinsero le elezioni in pieno, e la stessa cosa sarebbe capitata a Yingluck a Febbraio.
C’è del merito in questa interpretazione. Ma c’è anche in quello che i suoi oppositori hanno da dire. Accusano in particolare ce i governi di Thaksin sono stati condotti a beneficio della sua base elettorale (uno schema pazzo per sostenere il riso minaccia di far scoppiare il bilancio) e del milionario stesso. C’è qualcosa di raccapricciante nel modo in cui l’esiliato Thaksin decide da Dubai.
Ora comanda l’impasse. Si suppone che ci sarà un’elezione. Yingluck avrebbe dovuto avere il diritto di confrontarsi con i suoi nemici antidemocratici monarchici nell’urna elettorale. Ma un’elezione non è la soluzione perché l’opposizione la boicotterà . Suthep ha proposto un consiglio del popolo dei grandi e buoni, ma i seguaci di Thaksin giustamente lo considerano una barriera a tenere fuori loro dal governo. Le differenze irriconciliabili tra le due parti hanno fagocitato le corti, gli eserciti e persino la monarchia lasciando la Thailandia di fronte ad un abisso. Gli investitori dopo anni di celato malcontento, hanno paura. Si è già versato sangue quest’anno e le prospettive di violenza maggiore crescono mentre le magliette rosse minacciano i conflitto per strada.
Se la Thailandia vuole evitare la catastrofe, entrambi i lati devono fare un passo indietro dall’ orlo del precipizio. Il punto iniziale è la devoluzione di un sistema di governo fortemente centralizzato. Ora solo la capitale ha un governatore democraticamente eletto, eppure tutte le province dovrebbero averne uno. Non solo questo non aiuterebbe l’insorgenza musulmana nel meridione, ma offrirebbe un premio a Suthep, perché chi vince a livello nazionale non prenderebbe più tutto il potere. Come controfferta, il partito democratico deve prometter di accettare i risultati elettorali, e in cambio il Pua Thai dovrebbe correre senza uno Shinawatra al comando.
In Thalandia la buona volontà non abbonda. Eppure continuando a lottare i due lati rischiano di portare alla rovina il proprio paese. Il compromesso a confronto sarebbe un piccolo prezzo da pagare.