Lo scorso anno il potente capo dell’esercito thailandese, generale Prayuth, di fronte ad una folla di giornalisti, lasciò di ghiaccio il maltrattato governo Yingluck, dicendo di non escludere un intervento militare per risolvere la crisi politica del paese, affermando che la “porta non era né aperta né chiusa” a chi chiedeva se potesse accadere un golpe e “tutto può succedere”.
Era un passo differente dalle forti dichiarazioni delle forze armante che di norma sconfessavano ogni possibile rumore di golpe. E non fu un commento improvvisato di fronte ai giornalisti. In un documento dello stesso giorno, redatto dal suo gruppo di lavoro, si descrivevano vari scenari possibili di sviluppo della crisi e quale poteva essere la risposta militare.
Uno di questi scenari spiegava cosa dovevano fare i militari “se in un certo momento la situazione divenisse incontrollabile dalla polizia”.
Il documento affermava che i militari avrebbero imposto uno stato di emergenza o la legge marziale dando anche delle linee guida come prendere il potere “agendo in modo neutrale” e come aiutare a mediare tra le fazioni in guerra.
Mentre la situazione andava avanti nei mesi successivi, i militari si trovarono a dover trattare con la maggioranza degli scenari menzionati nel documento: tentativi falliti di mediazione, crescita della violenza politica che culminava nella legge marziale.
Ci sono stati finora 12 golpe di successo negli scorsi ottanta anni della moderna monarchia thailandese, ma l’ultimo golpe del 22 maggio, che seguiva l’ultimo tentativo di mediare dei militari, non ha seguito la solita sceneggiatura: si blocca Bangkok mentre il resto del paese osserva disorientata dalla provincia intatta dagli eventi.
Questa volta i militari si sono mossi con destrezza per il paese arrestando politici, attivisti e studiosi, in gran parte sostenitori del passato governo secondo varie interviste con attivisti, militari e famiglie dei detenuti.
Le mosse meticolose per installare un governo militare, e la mancanza di una previsione del ritorno alla democrazia nell’immediato, hanno fatto porre varie domande sui piani dei generali e gli scenari per la gestione del paese per un lungo periodo di tempo.
La giunta ha negato che il golpe sia stato pianificato perché, nelle parole del generale Chatchalerm Chalermsukh alla stampa estera, “la pianificazione di un golpe è tradimento per cui non abbiamo fatto un piano…. Quello che abbiamo fatto era un rischio, poiché se non portavamo avanti il nostro piano in modo giusto saremmo potuti finire in prigione o finiti sul plotone di esecuzione. Non c’è stata alcuna pianificazione precedente.”
La giunta ha sospeso la vecchia costituzione, soffocato i media e imposto la legge marziale oltre all’incriminazione di civili nelle corti marziali.
I generali promettono riforme non definite mirate a porre fine alla lotta di potere che tiene il regno sui carboni da anni. E’ uno scontro tra un potere monarchico tra i quali ci sono grandi generali, burocrati di alto rango e grandi affari, ed un movimento di base delle campagne delle magliette rosse fedeli all’ex premier Thaksin Shinawatra.
Nei prossimi mesi i militari dovranno lottare sul come la democrazia dovrà funzionare in Thailandia: attraverso elezioni che inevitabilmente riportano al potere un governo vicino a Thaksin o attraverso un potere che mira a limitare il potere di politici eletti e secondo loro corrotti. Ed è una domanda che si fa sempre più acuta poiché la riverita figura di Re Bhumibol, al trono della Thailandia da quasi settantanni, è anziana ed è stata da poco rilasciata dall’ospedale dopo tre anni di degenza. C’è un’ansia crescente per la sua successione.
I militari iniziarono a mettere in moto il loro piano per controllare il paese dopo che uomini armati di armi e granate uccisero 3 persone ferendone altre venti in un attacco contro i manifestanti antigovernativi al Monumento della Democrazia di Bangkok. Questo attacco del 15 maggio fece temere loro il peggio: il rischio dii una guerra civile nel regno il cui re sofferente non era affatto scomparso dalla vista pubblica. Fu un segnale al generale Prayuth che la polizia stava perdendo il controllo della situazione.
Il portavoce dei militari Veerachon Sukhontapatipak dice: “Dopo quell’incidente si ebbe la sensazione tra i capi più importanti tra noi che l’atmosfera del paese fosse cambiata e tutte le parti erano pronte ad usare la violenza.
Annunciammo subito la legge marziale per dare a tutti una possibilità di ritirarsi. Ma dopo quel giorno furono posti in essere chiari passi e l’opzione B che volevamo tutti evitare fu il golpe.”
A precedere il golpe dei militari ci fu quello giudiziario, secondo il governo cacciato. E lasciò un dilemma ai militari. Il 7 maggio la corte costituzionale rimosse il governo facente funzione di Yingluck insieme a vari ministeri per “abuso di potere”. I manifestanti vicini al governo minacciavano “la guerra civile” se fosse stato nominato un capo non eletto.
Ma la corte decise in modo inaspettato di lasciare una costola del governo come governo facente funzione e la cosa allarmò i militari secondo una fonte coinvolta nelle trattative segrete tra il governo ed i suoi oppositori. “Il governo non poteva firmare alcuna legge di sicurezza nazionale. Erano senza poteri contro un disordine pubblico” dice la fonte e fu allora che i militari cominciarono a prendere in considerazione il piano B”.
Il documento visionato dalla Reuters diceva che i militari avevano bisogno di una direttiva del governo per prendere controllo delle strade e disperdere la folla, cosa che un governo facente funzione non poteva fare. La stessa corte a febbraio annullò le elezioni che avrebbero riportato probabilmente Yingluck al potere, mentre con altra decisione vietò l’uso della forza per disperdere i manifestanti antigovernativi.
La stessa Yingluck piantò i semi del movimento antigovernativo lo scorso novembre con l’approvazione di una legge di amnistia che permetteva il ritorno di Thaksin dall’esilio. Sebbene la legge non sia andata più avanti, lanciò un movimento di protesta sotto la guida di Suthep che chiedeva la dissoluzione del governo da rimpiazzare con un consiglio di gente non eletta.
Thaksin, miliardario delle telecomunicazioni, ha rivoluzionato la politica thailandese. Ha vinto due elezioni a grande maggioranza con la sua politica al dettaglio, programmi populisti e capitalismo degli amici. Fu estromesso nel 2006 da un golpe dei militari che lo accusarono di corruzione, nepotismo, abuso di potere e di aver insultato alla monarchia. Deve scontare due anni di carcere dopo una condanna in contumacia per conflitto di interessi. Dalla sua posizione di esule tra Londra, Dubai e Hong Kong ha finanziato e controllato efficacemente il movimento delle magliette rosse.
Gli alleati di Prayuth insistono nel dire che Prayuth fosse un golpista riluttante dopo la sua ultima esperienza che provò a governare. Nel 2006 il golpe accrebbe solo le divisioni politiche ed ebbe una cattiva reputazione per le politiche pasticciate tra le quali quella che imponeva il controllo dei capitali che causò in un giorno la caduta del 15% del mercato azionario.
Prayuth al tempo un generale maggiore faceva parte della giunta che prese il controllo del governo nel 2006. Quando nel 2010 fu nominato capo dell’esercito fu subito visto come un monarchico estremo contrario alle magliette rosse. Nel 2011 un capo delle magliette rosse e parlamentare Jatuporn Promphan fu arrestato per aver fatto commenti non rispettosi della monarchia con una denuncia messa in atto da Prayuth.
I piani per una presa completa del potere erano stati già avanzati con la dichiarazione della legge marziale chiaramente per mantenere l’ordine mentre i politici lavoravano ad una soluzione secondo un ufficiale. “Dall’annuncio della legge marziale c’era il 50% di probabilità di prendere il potere, ma volle dare a tutte le parti una possibilità di tirarsi indietro”.
Non esiste una previsione per le nuove elezioni ma di certo non saranno nell’immediato. Il documento del piano visto dalla Reuters definivano come dare il potere indietro ai civili “nel più breve tempo possibile”. Chatchalerm ha detto che le condizioni devono essere giuste e le divisioni sanate prima del ritorno del potere ai civili. “Quanto ci vuole per guarire le divisioni tra i due grippi che vanno avanti da 10 anni?” ha chiesto Chatchalerm ai media esteri.
Dal golpe del 19 settembre 2006 passarono 15 mesi prima che si tennero le elezioni a dicembre 2007.
Il nuovo gruppo di consiglieri di Prayuth include un ex ministro della difesa, Prawit Wongsuwan, ed un ex comandante dell’esercito, Anupong Paochinda, le due figure determinanti con legami stretti con Prayuth. Tutti e tre sono monarchici oltranzisti che aiutarono a cacciare Thaksin. Sia Prawit che Anupong avevano sostenuto segretamente il movimento antigovernativo contro il governo di Yingluck.
La giunta ora ha una grande battaglia in salita per ravvivare l’economia thailandese che ha perso il 2,1% nel primo trimestre e che per alcuni potrebbe presto andare in recessione.
Il consigliere di Prayuth è Pridiyathorn Devakula, ministero delle finanze nel governo del dopo golpe 2006 che introdusse il controllo dei capitali per aiutare la moneta thailandese.
Decapitare le magliette rosse
A Bangkok la giunta ha chiamato a rispondere 258 attivisti, intellettuali e giornalisti. Lo scopo era quello di “calmare tutti”, prevenire l’incitamento alla violenza e mettere in silenzio il commento critico che “potrebbe danneggiare il lavoro dei militari”. Quasi tutti sono stati rilasciati. Ma nelle regioni del nord e nordest zone delle magliette rosse, dove il potenziale dissenso è molto più grande i militari stanno conducendo una più draconiana pulizia e le cose sono meno trasparenti.
“Almeno a Bangkok i militari davano un annuncio formale, ma nelle province è informale” dice uno studioso di Chang Mai in clandestinità. “Si presentano con il camion e ti portano via”.
Nella provincia di Thaksin, Chiang Mai i militari non rispondono alle domande su quante persone sono state arrestate. Le interviste con i familiari, attivisti, studiosi e militari mostrano che almeno 20 organizzatori delle magliette rosse sono state prese in custodia a Chiang Mai e Chiang Rai, ma sono stati rilasciati nella maggioranza. A chi era stato detenuto è stato fatto firmare un documento in cui promettevano di lasciar perdere l’agitazione politica, l’incitamento o i viaggi non autorizzati. Se rompono il contratto potrebbero essere perseguito e condannati fono a due anni.
“Ci hanno chiesto se fossimo radicali, se accumulavamo armi” ha detto un capo attivista detenuto per sei giorni che aggiunge di essere stato trattenuto insieme ad altri 11 attivisti sin una base militare in camere doppie confortevoli. I detenuti sono stati interrogati all’inizio e alla fine della loro presenza nella base oltre ad aver ricevuto un’istruzione da parte degli ufficiali per “correggere le loro impressioni”.
Il capo attivista risponde così alla domanda se gli sforzi dei militari sono serviti a fargli cambiar idea: “Diciamo che so la risposta ma non la posso dire. Come aver qualcosa che è restato in gola. Sono costretto dalle condizioni del mio rilascio.”
Alcuni studiosi ed attivisti non legati alle magliette rosse sono fuggiaschi. E nessuno di quelli arrestati sono rintracciabili nelle liste dei militari rilasciate a Bangkok.
A Chiang Mai la morsa dei militari ha bloccato la sollevazione che i fedeli di Thaksin predicavano prima della presa del potere dei militari. Sarayuth ha detto che vorrebbe reprimere ancora di più.
“Ogni volta che si hanno notizie che qualcuno prepara qualcosa andremo a a controllare la situazione.”
Sabato le proteste giornaliere hanno raggiunto un picco, quando 200 persone hanno preso in giro e si sono scontrati con la polizia, ma poi si sono fermate. I tentativi di organizzare proteste del tipo flas-mob via social media e telefonini sono stati contrastati dall’intelligence dei militari mentre i soldati prendevano posizione sui siti designati della protesta.
Nelle proteste a Chiang Mai e Chiang Rai sono stati arrestati almeno 16 persone, ma il numero esatto in tutta la regione che prende 36 province è ancora ignoto. A Khon Kaen, un’altra roccaforte delle magliette rosse sono stati arrestati sette capi i cui nomi non compaiono nelle liste rese note a Bangkok.
Calmando i monarchici
Alcuni a Bangkok credono che il golpe sia stata una strada per togliere di impaccio Suthep che ultimamente stava perdendo consenso e i cui ultimatum al governo non servivano a nulla. Da mesi il capo del PDRC, col sostegno del potere monarchico conservatore, chiedeva l’intervento dei militari. Samdin Lertbutr, uno dei capi del PDRC, dice che sapevano che i militari sarebbero intervenuti se il governo non si fosse fatto da parte ma che non ci sono stati incontri a porte chiuse tra i militari e i capi del PDRC. “Non fummo sorpresi dal golpe. Non era il risultato che volevamo. Volevamo una rivoluzione popolare e fino al 22 maggio credevamo che quello era ciò che avremmo avuto. Non ci furono incontri tra noi ed i militari per discutere la possibilità di un golpe.”
Un altro capo del PDRC Somsak Kosaisuk si è detto d’accordo nel dire di sapere che fosse imminente un golpe durante i colloqui presso l’Army Club che mirava a provare a raggiungere un compromesso con il governo facente funzione.
Prayuth “chiese al governo ancora una volta se si sarebbero dimessi prima che prendesse il potere” dice Somsak. “Dissero di no”. Alloras i ebbe il calmo annuncio di Prayuth in cui diceva di prendere il potere. “State tutti immobili” disse Prayuth secondo due fonti.
Subito dopo centinaia di soldati circondavano l’edificio portandosi via tutti quanti. Portando tutte le parti assieme per i colloqui le forze di Prayuth poterono arrestare tante figure politiche potenti allo stesso tempo. Il golpe era stato lanciato senza un contrattempo.
Amy Sawitta Lefevre and Aubrey Belford REUTERS