Pravit Rojanaphruk, noto giornalista del TheNation, è stato rilasciato dalla giunta militare sabato scorso dopo essere stato trattenuto per quasi una settimana.
Ha descritto questi giorni di detenzione come “surreali”, un mezzo della “guerra psicologica” utile ad avere informazioni dai detenuti, compreso egli stesso.
Pravit si è consegnato alla giunta il 25 maggio, tre giorni dopo che la giunta militare prese il potere col colpo di stato. Prima di consegnarsi Pravi dichiarò ai giornalisti che “possono tenermi in carcere ma non possono mai incarcerare la mia coscienza”.
Due giorni dopo il suo rilascio parla a Asian Corrispondent: “Sto bene sebbene ci sia stato molto stress. Provo a gestirlo. So che molta gente si è preoccupata. Tante sono le persone che vengono ancora chiamate”.
Dice del suo chiaro messaggio prima del carcere che era “deliberato. Sono molto cosciente che provocherà l’ira dei militari, ma credo che qualcuno debba prendere posizione, fare una dichiarazione, ed io ho deciso di usare questa opportunità di informare la gente qui e all’estero del fatto che stiamo davvero di fronte ad una limitazione forte della libertà di espressione, come censura ed autocensura.”
“Sono entrato col mio avvocato Khun Anon e due persone dell’alto commissariato per i diritti umani dell’ONU, con le loro giacche blu chiare. Quando sono entrato nella vecchia sala delle conferenze dell’Esercito Thailandese, che è una bella sala, a loro fu impedito di entrare e fu allora che ci separarono.” dice Pravit.
“Mi portarono via il mio telefonino, mi perquisirono alla ricerca di armi. Ero il primo dei detenuti di quel giorno ad arrivare. Dovemmo attendere per quattro ore e nessuno diceva quando avremmo potuto andarcene.”
Al tramonto arrivò l’auto. “Allora fummo portati in un altro posto presso una caserma dell’esercito nella provincia di Ratchaburi. Sapemmo il nome del campo all’arrivo dopo aver viaggiato con soldati armati di tutto punto. C’era un mezzo per prenderci con cinque soldati armati con un M16 per quanto ne so. I due mezzi dove fummo messi si mossero subito. Ci mettemmo un’ora e mezza per arrivare lì. Ma passammo delle ore per capire se ci avrebbero rilasciati. Credo che fosse questo il primo assaggio di guerra psicologica.”
Tra i detenuti c’erano due ex vice primo ministro, un ex ministro, giornalisti, un costruttore molto conosciuto e l’avvocato di Yingluck Shinawatra.
“Ero così sorpreso” dice Pravit “alcuni indossavano già T shirt militari con le insegne dell’esercito… Trasalii nel vedere l’aggiustamento visuale che avevano già fatto.”
Le condizioni al campo erano confortevoli e tutti i detenuti sono stati trattati rispettosamente. “Il trattamento cordiale che ci hanno dato era inatteso ma credo facesse parte della parte psicologica del tutto” dice. “Ci misero in una palazzina a due piani con servizi. Credo di dover esere chiaro che il trattamento era oltremodo buono. Il comandante ci salutò mentre scendevamo dai mezzi e si riferì a noi come “fratelli più grandi”. Ci disse di fare come se fossimo a casa e di prendere la cosa come una vacanza fuori città”.
Eppure furono subito stabilite alcune regole.
“Ci fu detto che non potevamo usare i telefonini. C’erano due telefoni a disposizione che potevamo usare come volevamo ma avremmo dovuto dare i numeri e permettere di essere ascoltati da qualcuno che ci doveva stare vicini, per origliare”
Erano liberi di uscire dalla casa e passeggiare per il campo ma sempre con i soldati.
“Il comandante del campo e cinque suoi vice passavano la maggior parte del tempo a parlare con noi, condividendo la colazione, pranzo e cena e chiacchierando.”
Alcuni dei detenuti erano nervosi per questi scambi amichevoli che per Pravit “erano parte della guerra psicologica”.
“Gran parte di noi continuava a chiedersi quanto sarebbero stati trattenuti nel campo e non ne avevamo la minima idea.” dice Pravit “La verità della faccenda è che non c’era Habeas Corpus. Poiché eravamo sotto la legge marziale sapevamo che avrebbero potuto escogitare qualcosa per tenerci lì. Nessuno è stato accusato, ho ha udito accuse. Ci tenevano lì e psicologicamente aveva degli effetti”.
“Ma la realtà è che la maggior parte di noi criticava la giunta e il golpe anche nella detenzione, compreso me. Ho avuto colloqui onesti sul perché il golpe non sarà utile al paese e alla democrazia alla lunga, perché chiudere le strade per impedire il raduno dei manifestanti peggiorerà solo le cose.” aggiunge.
Delle centinaia di persone detenute dalla giunta dopo il golpe Pravit sentiva che il suo gruppo era quello meglio trattato. Ci dicevano che venivano inviati rapporti quotidiani a Bangkok su quello che dicevamo e facevamo. “Il comandante era un subordinato stretto di Prayuth ed aveva una linea diretta col capo che vuol dire che il nostro gruppo era trattato bene”
“Penso che il nostro gruppo sia stato trattato differentemente. Molti di quelli che si sono presentati sono stati inviati nei campi del nordest e del nord e credo che il nostro trattamento sia stato il migliore a giudicare da quanto ho sentito”
E’ sorprendente che Pravit abbia passato del tempo a parlare con l’ex capo delle magliette gialle Sondhi Limthongkul. I due non si sono mai incontrati prima.
“Era surreale, tutto era surreale. Mi colpiva che eravamo in una specie di “Grande Fratello” per tutto il tempo. Credo che abbia messo alla prova il temperamento di tutti l’essere lì. Alcunepersone crollano. Altri gridano, altri supplicano.”
Quando gli si chiede se i militari pensano che questa sia un esercizio di raccolta di informazioni Pravit risponde: “Certo, assolutamente.”
“Fui sorpreso da uno dei generali che credo sia stato assegnato a me mi ha chiesto all’improvviso se un certo giornalista straniero avesse una moglie thailandese, se quel fotografo straniero avesse sposato una thailandese. Significa che loro avevano il proprio compito per casa. Non leggeva da un copione, li ricordava per nome. Chiese di quello studioso e se loro erano in contatto con me, come pure della sua vita.”
Sebbene la sua detenzione sia finita due gironi fa non è ancora libero dalla giunta.
“Potrei scrivere un libretto su tutta la storia” dice “ma c’è una nota tragica, una cosa che sconvolge. Meno di una giornata dal mio rilascio ricevetti una telefonata da qualcuno che si identificò come un caporale.
Mi chiedeva se potessi smettere di twittare, la giunta aveva bisogno di tempo libera da critiche. Avevo già firmato alcune cose, accettare per forza di non condurre proteste, o aiutare i manifestanti, o prendere parte ad incontri politici.
Provai a calmarlo dicendo che se non usavo twitter la gente pensava che fosse colpa della giunta e che ci sarebbe un contraccolpo per loro.
Dissi che non avrei capovolto la barca ma avrei continuato la critica con gentilezza, come fanno ancora alcuni giornali thai. Lui disse va bene, vedremo… Pochi minuti dopo un altro caporale mi chiamò, dal campo. Mi chiese di salvare il suo numero. Gli era stato chiesto di dare i miei dettagli al comando centrale e che qualcuno mi monitorava e mi seguiva”.
Lisa Gardner, Asiacorrispondent