Nei decenni passati Chalad Worachat ha opposto resistenza ai regimi militari e legislazioni dittatoriali con gli scioperi della fame che sono stati cinque. Ora all’età di 71 anni, il vecchio parlamentare è tornato ad acqua e miele, avvilito che dopo così tanti anni e tanto sangue versato la Thailandia sia stata incapace di rompere il circolo vizioso dei colpi di stato militari per raggiungere una vera democrazia.
“Non stiamo andando verso la vera democrazia, ma verso il ritorno alla dittatura.” ha detto Chalad Worachat nel 25° giorno dello sciopero della fame che si impegna a continuare finché i militari non si impegneranno ad adottare principi democratici. Col volto itterico e vestito di nero, è steso su un materasso sul bordo del marciapiede di fronte al Palazzo del Parlamento, ora vuoto.
Chalad Worachat è stato steso in quel punto altre volte, talvolta per protestare contro individui, altre volte per fermare una legge del 1983 che avrebbe permesso a burocrati e militari non eletti di diventare primi ministri. Ma in fin dei conti sta lottando sempre per la stessa causa.
“I thailandesi non hanno mai appreso la democrazia, mai fatto il paragone tra democrazia e dittatura per scegliere la forma migliore di governo. Loro guardano solo a chi si trova davanti a loro e vedono un eroe che però non può mai durare a lungo” dice.
Un militare ha condotto il paese per 54 degli 82 anni dopo che il paese pose termine alla monarchia assoluta nel 1932. Continua a passare da golpe a governi democratici fragili nonostante i numerosi vantaggi, rispetto ai propri vicini, che sono considerati normalmente favorire la democrazia liberale, tra le quali una economia vibrante, nessuna rigida struttura di classe e virtualmente senza mai vivere una guerra da 250 anni. Questo mentre in molti paesi come Corea del Sud, Taiwan, Indonesia, Filippine e per certi versi la Birmania, i militari avvezzi a prendere il potere sono tornati nelle loro baracche.
Al cuore di questa instabilità vi è uno scontro di valori fondamentali che sono, sin dall’inizio, insiti nella monarchia costituzionale della Thailandia. La tradizionale cultura induista-buddista, che sottolinea la deferenza verso l’autorità in un sistema gerarchico, l’accettazione del proprio destino e l’evitare il confronto, va contro l’individualismo emergente, l’egalitarismo e il governo della legge. I vecchi valori nutrono anche gli intermediari che elargiscono premi per i propri subordinati la cui fedeltà va verso di loro piuttosto che verso le istituzioni statali.
“Le relazioni di patronato dominano tutti gli aspetti della società Thailandese ed hanno un effetto nefasto sulle istituzioni democratiche e sulla cultura politica.” dice Marc Saxer della Friedrich-Ebert Stiftung, una fondazione tedesca che promuove la democrazia. “Indipendentemente dalla facciata democratica, le decisioni fondamentali sono prese da una rete di patroni nel retrobottega”
Per oltre un decennio la politica Thailandese è stata una dura lotta tra due schieramenti che hanno adottato entrambi metodi non democratici, lasciando i genuini democratici dei due campi fortemente ai margini.
Da un lato ci sono l’ex primo ministro Thaksin Shinawatra ed i suoi sostenitori che hanno vinto tutte le elezioni sin dal 2001. Thaksin che ora vive in un esilio volontario a Dubai per evitare una condanna per corruzione, è popolare tra i poveri delle province ma odiato dai più ricchi thailandesi per i suoi metodi da chi vince prende tutto.
Da primo ministro Thaksin distrusse le agenzie designate a controllare il potere dell’esecutivo, riempì le posizioni chiave con parenti e attaccò i media. Il governo eletto più di recente, guidato da sua sorella Yingluck, cominciò a crollare lo scorso anno quando provò a spingere per una legge di amnistia che avrebbe permesso a Thaksin di fare ritorno a casa.
Il partito democratico di opposizione non ha vinto un’elezione in oltre vent’anni, riuscendo però ad andare al potere affiancandosi al potere tradizionale. Il governo di Yingluck è stato indebolito dai capi del partito democratico che organizzarono massicce dimostrazioni e da istituzioni largamente considerate prive di imparzialità. Yingluck dissolse la camera dei deputati e indisse le elezioni, ma i manifestanti bloccarono molti seggi elettorali e la Corte Costituzionale annullò le votazioni che comunque si ebbero.
Il capo del colpo di stato generale Prayuth Chan-ocha, che prese il potere il 22 maggio, ha detto lo scorso venerdì che le elezioni generali si sarebbero tenute nell’ottobre 2015 dopo che il consiglio nominato della riforma e il comitato di stesura scrivono una costituzione di lungo termine. Ha avvisato tutti i gruppi di non fare opposizione ai militari.
Persino alcuni che non erano d’accordo con l’intervento militare dicono che dopo sei mesi di impasse politico menomante, una fase negativa dell’economia e alcune dimostrazioni violente di strada, la Thailandia non aveva nessun altra opzione da offrire.
“E’ qualcosa di già visto. Il tempo cambia, ma noi thailandesi non siamo riusciti a trovare un modo accettabile per la maggioranza a risolvere i nostri problemi politici” dice Sainarong Siripen Rasananda, un uomo di affari in pensione educato a Cambridge.
La Thailandia moderna ha avuto incredibilmente 18 costituzioni nessuna delle quali si è dimostrata valida. Si sente dire che fin quando i valori tradizionali dominano l’elite del paese soggiacendo alle istituzioni fondamentali qualunque riforma decisa non varrà il valore della carta su cui è scritta.
La ribellione del 1932 lasciò il vecchio ordine essenzialmente intatto, e le istituzioni create erano strutture calate dall’alto e fortemente centralizzate. I partiti politici si formavano lungo le linee patronali, per personalità e moneta, non secondo un’ideologia. La Thailandia non fu mai colonizzata e i metodi democratici di stile occidentale non si sono mai radicati come per esempio in India, dove gli Inglesi trasmisero il governo della legge.
“Le questioni fondamentali di politica si risolvevano attorno allo status politico: come si dovevano ridistribuire all’interno della classe dominante il riconoscimento dei beni, del prestigio e del potere?” scriveva nel 1962 David Wilson. E non molto finora sembra essere cambiato.
Per decenni, negli anni 50 e 60, i regimi autoritari fortemente sostenuti dagli USA, forse sono stati utili al paese. Con la Thailandia che cresceva economicamente e con qualche miglioramento che andava verso i poveri delle campagne, la spinta verso il cambiamento non era forte.
Un fattore importante è che per gran parte della storia moderna thailandese, Re Bhumibol è stato al centro. Ora all’età di 86 anni, il monarca più longevo al mondo, il re ha rafforzato la monarchia costituzionale allora fragile guadagnando vasto rispetto e affetto per i tanti lavori per i poveri, e per per il suo intervento a fermare i vari spargimenti di sangue durante varie crisi politiche.
“Per tanti thailandesi, la monarchia evoca una gerarchia sociale stabile in un mondo sempre più imprevedibile” dice Grant Evans, esperto australiano sul sudestasiatico.
Di recente alcuni esperti stranieri e thailandesi hanno comunque teorizzato che la monarchia stessa ha impedito un progresso democratico, sia per la natura conservatrice dell’istituzione stessa, o poiché la popolazione ha considerato il monarca come una stampella, qualcuno che sarebbe intervenuto per risolvere i loro problemi fondamentali. Il Re che sta avendo da tempo vari problemi fisici, ha formalmente sostenuto il golpe ma non è altrimenti entrato negli ultimi eventi politici.
Questi studiosi parlano di “una rete monarchica”, non un’entità omogenea comandata dal Re, ma una miriade di gruppi con interessi forti in una monarchia forte e durevole come istituzione politica e sociale. Questa rete ha legami forti e antichi nelle forze armate, nella burocrazia e nelle famiglie dell’elite, che nell’insieme formano una forza lasca ma molto forte.
“Il fatto che per costruire una democrazia di stile occidentale si ha davvero bisogno di istituzioni fondamentali e dei loro capi dietro di esse. Ma né i militari né il palazzo sono stati dietro di esse. Entrambi la vedono come incasinata, cattiva, inefficace e più corrotta di quanto lo siano loro stessi” dice Paul Handley, autore di una biografia del re che è vietata in Thailandia.
Infatti Saxer ed altri descrivono la politica Thailandese come zeppa di corruzione, nepotismo e dedita alla compera dei voti. “Agli occhi di molti queste crepe della democrazia thai sono diventate sinonimo di democrazia. Di conseguenza l’attitudine di molti thailandesi, in particolare della classe media di Bangkok, verso la democrazia è negativa.” dice Saxer.
Charles Keyes, antropologo americano che studiala società thailandese da oltre 50 anni, dice che “mentre il valore tradizionale della gerarchia è ancora condivisa dai militari e dall’elite monarchica, non è condivisa dalla classe media o dai poveri delle campagne”.
La classe media thailandese, comunque, si è allineata per ora con la vecchia elite anche se non ne condivide alcuni valori, dice Keyes, secondo cui due rivoluzioni populiste si sono incontrate e poi entrate in conflitto: una rivoluzione della classe media che iniziò negli anni 70 con la protesta studentesca ed una seconda legata alla popolazione delle province che ha sostenuto le politiche di Thaksin.
Thongchai Winichakul era uno di quei capi studenteschi. Vide la polizia uccidere i suoi amici in una repressione feroce del 1976, e lui stesso fu messo in prigione per due anni. Ora è docente di storia del sudestasiatico negli USA e dice che “quello che è accaduto in Thailandia è antidemocratico, sono vari passi all’indietro”.
C’è a suo avviso “un profondo conflitto strutturale che non si può risolvere spingendo il sistema politico ancora più indietro nel tempo”… “Vari valori ed ideologie sono molto simili a quelli di cento anni fa: sfiducia nella popolazione, fiducia in una elite virtuosa, specialmente il Re ed i suoi uomini, compresi i militari” dice Thongchai.
Kim McQuay di Asia Foundation in Thailandia descrive la storia politica thailandese come “la storia di cicli di progressione e di regressione piuttosto che di stabile progresso verso la democrazia.”
“Dopo ogni golpe, tanti thailandesi sembrano aver acconsentito, forse perché naturalmente avversi al confronto, ed una massa critica in favore della democrazia deve ancora farsi viva” dice McQuay. “Mentre il cambiamento è inevitabile, non riesco a vedere la Thailandia uscire fuori da questo ciclo sfortunato in un futuro prevedibile”
Denis Gray , Washingtonpost