La verità sconveniente del conflitto nel profondo meridione: un decennio di realtà caotiche e costrette e di incerte risoluzioni
Il conflitto e la violenza del profondo meridione thailandese nascono da vari fattori. Fondamentale è la politica dell’identità. Per anni lo stato thai aveva cambiato in modo drastico e trasformato l’elite di Pattani e le strutture politiche, come il governo, l’educazione islamica e i sistemi legali, verso un sistema più laico thai-orientato.
La violenza è in essenza una versione rinnovata della vecchia lotta separatista degli anni sessanta e settanta. Restano aperte le domande sui legami tra i militanti attuali e le vecchie generazioni di separatisti, ma la problematica radicale incarna la stessa dimensione dei conflitti tra lo stato centralizzato e i movimenti di resistenza che rappresentano interessi e lamentele di minoranze etniche, il conflitto sfaccettato stato minoranza.
Le più grandi caratteristiche del conflitto sono pertinenti al conflitto subnazionale definito, conflitto armato per il controllo di una parte del territorio nazionale. In questa situazione di conflitto violento uno o più movimenti di resistenza armati si erano decisi ad usare la violenza nel tentativo di conquistare l’autorità politica contesa e rimpiazzare la mancanza di legittimazione dello stato con un autogoverno. In altre parole, fondamentale in situazioni caotiche è la mancanza di legittimità del governo thailandese nella regione.
Non ci sarà soluzione al profondo meridione finché non c’è fiducia tra autorità e popolo. Come ha detto un analista, è impossibile far accettare la legittimazione dello stato alla gente attraverso la violenza o la fora militare. Il solo modo in cui la Thailandia può affrontare questo problema politico complesso è di convincere la gente facendole sentire parte effettiva della costruzione di uno spazio politico.
Un nuovo sviluppo, dopo dieci anni di violenze, che ha significato uno sforzo chiaro in favore di una soluzione politica, si ha quando il governo Reale Thailandese, mediante NSC, e il più potente dei gruppi di resistenza BRN firmano il Consenso Generale per un processo di dialogo di pace, il 28 febbraio 2013. L’evento fu possibile con il sostegno attivo del governo malese che fece la parte del facilitatore. Per alcuni critici il processo iniziò col piede sbagliato, e a causa di questo processo di pace incerto, non determinato, identificava cionondimeno il conflitto del profondo meridione in Thailandia come “assenza di una transizione politica”.
Comunque la voce del movimento della società civile rappresenta ancora una qualche connotazione ottimistica. La dinamica del processo di pace ha allargato lo spazio di discussione di questioni politiche contestate legate al conflitto organizzato sia da agenzie del governo come da gruppi della società civile dentro e fuori la contestata regione. Questo sviluppo ha prodotto un’atmosfera costruttiva per la risoluzione pacifica del conflitto. Dopo tutto è più sensato affermare che, considerato l’alto numero di vite perse, qualunque processo di pace è meglio del nulla.
Che sia ancora il conflitto continuo
Lo schema della violenza meridionale nei dieci anni è caratterizzato da una incertezza e variazioni incalcolabili. Da notare è che le forze violente nella regione tendono a muoversi ad una velocità costante se non sono costrette da altre forze. Se la tendenza della violenza mantiene la solita tendenza, significa che il conflitto locale e la violenza hanno costituito la perpetuazione del conflitto. In base ad esperienze simili, molti conflitti diventano meno un argomento di problemi originari sottostanti, quanto più un fatto di restare intrappolati in una sequenza di azione reazione estesa in cui il comportamento del conflitto di oggi è una risposta a quanto fatto dalla controparte ieri.
D’altro canto c’è “inerzia” o “forze interne” inerenti ai processi di conflitto, che hanno resistito a qualunque accelerazione. Dopo le ondate di violenze iniziate nel 2004 e una tendenza continuata dopo, chiaramente non è esistita qualcosa come un’accelerazione della violenza dal 2008.
Le dinamiche del conflitto sul terreno incarnano le forze della società e le strutture politiche che gradualmente, ad un certo livello, contengono la sviluppo verso il basso o l’alto. Meccanismi endogeni sono perciò emersi in differenti formazioni che includono il processo di pace, cambiamenti della politica governativa ed i movimenti in evoluzione della società civile.
Le ultime statistiche durante i dieci anni da gennaio 2004 ad aprile 2014 hanno mostrato che il numero totale di casi di violenza sono cresciuti fino a 14128 con circa oltre 170000 tra morti e feriti.
Le statistiche mostrano che delle 6097 morti la grande maggioranza dei caduti dele violenze erano musulmane con 3583 (58% delle morti), mentre erano 2359 i morti buddisti al 39 %. Al contrario ci sono stati 10908 feriti, la maggioranza dei quali identificati come buddisti con 6462 individui, 59% mentre 3475 erano feriti musulmani, il 32 %. Quando paragonati agl incidenti violenti mensili, i morti ed i feriti tendevano ad essere più alti in modo chiaro dal luglio 2007, come risultato della campagna militare di larga scala di repressione del dissenso poco dopo il golpe militare del 2006.
La campagna di repressione aveva portato a dure “operazioni di accerchiamento e ricerca” applicate con la legge marziale e il decreto di emergenza iniziati nel 2005, come pure alle detenzioni di oltre 4000 persone la maggioranza dei quali rilasciata in seguito. L’insorgenza di conseguenza ha trasformato le proprie tattiche operative attenendosi a obiettivi specifici, civili e militari, che avevano avuto effetto più su un maggior numero di morti che di frequenze di attacchi, una cosiddetta violenza qualitativa.
Le statistiche rivelano che dopo il 2007 è decresciuto il numero di incidenti ma i restanti attacchi hanno causato un numero maggiore di morti e feriti. Di conseguenza le morti sul terreno sono state costanti. In termini di tendenza della violenza, è ovvio che mentre il numero di incidenti differiva da mese a mese, il numero delle morti e dei feriti diventava maggiore dalla fine del 2007 in poi.
Questo implica che l’uso diretto dell’approccio militare e di sicurezza per risolvere il conflitto politico complesso potrebbe condurre plausibilmente ad effetti positivi e effetti negativi di boomerang. Comunque gli effetti contrari dell’approccio militare nel profondo meridione sono più profondi se si considerano le conseguenze sulle famiglie colpite, circa oltre 85 mila persone.
D’altro canto, la linea di tendenza della violenza nel profondo meridione sembra variare e fluttuare in un modo da dare origine a caratteristiche distinte. La situazione era “volatile, confusa e complessa e quindi c’era un’alta possibilità di intensificazione”.
Eppure come la legge della fisica, le forze violente tendono a muoversi a velocità costante se non ci sono altre forze attive. Negli ultimi anni si sono sviluppate le forze intrinseche di bilancio; l’approccio militare che abbraccia la politica delle agenzie di governo, il movimento dei diritti umani, la capacità di crescita e rafforzamento delle organizzazioni della società civile e l’iniziativa del processo di pace.
Per le agenzie della sicurezza sul terreno, il messaggio, che viene dalle loro esperienze nei dieci anni, è chiaramente che la strategia centrale dovrebbe essere fatta di riforme forti ma delicate della sicurezza ed un approccio politico.Le soluzioni politiche accoppiate con la riforma della sicurezza sono fattori critici per migliorare gradualmente la situazione violenta.
Il dialogo politico e la decentralizzazione sono parole d’ordine per un approccio politico che possa risolvere il problema della legittimazione. Per la riforma della sicurezza, un’istanza fondamentale è il coordinamento effettivo tra agenzie militari e civili nell’amministrazione della sicurezza. Un altro approccio plausibile è il processo gestito verso arrangiamenti della sicurezza più professionale e responsabili.
Inoltre il fattore più critico per la stabilizzazione, se non ridimensionamento, della violenza dopo il 2011 è il processo di dialogo iniziato nel 2013. La dinamica di questo processo ha allargato lo spazio per la discussione di di questioni complesse legate al conflitto organizzate da agenzie dello stato come da gruppi della società civile. Si è costruita e applicata un’atmosfera favorevole alla risoluzione pacifica del conflitto che è risultata in un decremento sostanziale della violenza mortale sul terreno durante i 40 giorni del Ramadan del 2013. Il numero di morti non è sceso dallo scoppio dell’insorgenza nel 2004 eccetto che durante questo accordo di cessate il fuoco. Comunque governo e BRN non riuscirono a mantenere il cessate il fuoco nel periodo di 40 giorni previsto.
Lo spazio maggiore di dibattito ha anche portato alla formazione ed espansione di organizzazioni di rete della società civile nelle province meridionali che emersero nel 2010. Con un movimento robusto per comprendere i sentimenti genuini della popolazione locale, le organizzazioni della società civile hanno acquisito il modello appropriato di governo basato sulla richiesta locale, la deliberazione pubblica mediante campagne di oltre 200 forum di comunità locali nel periodo 2012 2013.
Quello che è emerso dalle discussioi pubbliche rivela che la popolazione locale ha espresso il proprio forte orientamento al modello di autogoverno per aiutare a sostenere la risoluzione del conflitto con quasi il 52% degli intervistati in favore dell’elezione diretta del governatore. Il dato è della ricerca di studio dell’Università di Songkla di pattani che trovava che il 55% dei 1870 campioni erano in favore di una forma speciale di decentralizzazione nella regione di Pattani, mentre solo il 14% era in disaccordo.
Inoltre nella stessa indagine, condotta istantaneamente dopo l’incontro “Consenso generale sul dialogo del processo di pace”, i dati mostravano che la maggioranza della popolazione, circa il 67% , avevano fiducia nel processo di pace in corso. Le forze progressiste della risoluzione pacifica del conflitto dal basso sono cresciute in modo chiaro nonostante qualche critico sensibile ma pessimista.
Bilancio di forze e di azioni nel conflitto violento
E’ stata associata un’influenza combinata di questi fattori opposti alla tendenza violenta protratta ma stabile nella regione del profondo meridione. Sembra che nelle correnti minacciose esistano qualche forza stabilizzatrice che in atti dinamici ma di bilancio potrebbero impedire l’inasprimento del conflitto. Ci sono tre fasi della situazione conflittuale nei dieci anni dal 2004 al 2014. I primi quattro anni di violenza hanno visto un forte inasprimento del conflitto. La tendenza degli scontri violenti era caratterizzata da attacchi multipli e coordinati.
Per esempio nel giungo 2006 ci furono simultanei attacchi a tappeto dei militanti in 54 posti in tutte e tre le province, molti delle quali vedevano l’uso di esplosivi improvvisati che avvano lo scopo di creare disturbo nelle varie aree. Nell’agosto 2006 i disordini colpirono 122 postazioni nelle quattro province approssimativamente allo stesso momento, con attacchi con bombe, incendi, diffusione puntuale di chiodi per le strade e incendio di copertoni, e a settembre 2006 ci furono le bombe nelle aree residenziali e turistiche di cinque locazioni nel centro della città di Hat Yai con cinque morti e 60 feriti. In generale la media mensile era di 160,47 incidenti violenti.
Dopo la modifica della politica del governo thailandese nella seconda metà del 2007 si sono visti gli effetti di rallentamento. Gli incidenti violenti sono diminuiti di una quantità significativa e sono stai livellati. D’altro canto le misure di alleggerimento che i militari usarono allora ebbero effetto sulla frequenza o sul numero di incidenti, ma non ebbero importanza sul cambio di tassi di morti e feriti in ogni mese.
La media degli incidenti violenti per mese dal gennaio 2008 fino ad aprile 2014 si sono aggirati attorno a 84,53 con formazione di tendenze e dinamiche costanti della violenza. In questo periodo di tempo, esistono alcune variazioni. Da gennaio 2008 a dicembre 2011 gli incidenti medi erano 77,29, il che significa che “i politici guidano i militari”, cambiamenti strutturali politici o riforme per risolvere il problema nel lungo periodo avevano avuto alcune conseguenze fruttuose se non complete.
Il governo in particolare i militari avevano avuto alcuni successi tattici contro l’insorgenza nel mantenimento della pace. In termini di operazioni il numero di scontri hanno avuto una tendenza decrescente dopo la fine dle 2007. Comunque l’uso di politiche di sviluppo economico e attività di politica locale, come componenti principali della politica di aggiustamento strutturale per sostenere le operazioni militari, non sono riusciti a conseguire gli obiettivi intesi specie in termini di sviluppo socioeconomico. Molti dei cronici problemi strutturali sarebbero rimasti ancora a lungo.
Questa è la mia conclusione dell’ultima indagine locale da parte della Songkla University che mostrava che i problemi più seri della comunità erano l’abuso di droghe e sostanze illeciti, disoccupazione, insorgenza e povertà.
Dopo il 2011 ci sono alcuni cambi di politica. Il governo Yingluck approvò una nuova politica su “Amministrazione e sviluppo delle province di frontiera meridionale, 2012-2014″, redatte dal NSC durante il governo del partito democratico. Dei nove obiettivi articolati dalla nuova politica, si dice chiaramente che il governo avrebbe tentato di creare appropriate circostanze che portavano al dialogo per porre fine al conflitto ed assicurare la partecipazione di tutte le parti nel processo di costruzione della pace. I dialoghi di pace furono implementati attraverso le iniziative di pace di Kuala Lumpur a partire dal 28 febbraio 2013.
Nonostante le sfide e le difficoltà interne si pensa che l’iniziativa malese segna un progresso essenziale rispetto ai precedenti processi a porte chiuse. Inoltre la politica di apertura di spazi si è accompagnata ai crescenti movimenti della società civile che hanno vociferato il sostegno di tutti e tre gli incontri in Malesia.
A marzo e giugno del 2013 le indagini di opinione organizzate dall’Università di Songkla hanno dato sostanza al crescente favore della popolazione locale verso il processo di pace con un gradimento in ascesa al 77%. Nel frattempo il livello della violenza dal 2012 al 2014 sebra crescere a certi livelli. I meccanismi intrinsechi della violenza sono così dinamici mentre c’è inerzia o forze innate inerenti ai processi dei conflitti che resistono ad ogni accelerazione. Come conseguenza, da gennaio 2012 ad aprile 2014 gli incidenti medi per mese sono a 96,96. I segni allarmanti della crescente sofisticazione dell’insorgenza sono scoppiati il 31 marzo del 2012 quando l’insorgenza lanciò gli attacchi coordinati più mortali con la morte di 14 persone e il ferimento di altri 100 con le autobombe designate a negozi della provincia di Yala e ad hotel di livello frequentati da turisti stranieri nella provincia di Songkla.
Ci furono molte azioni di alto profilo nel 2012 che portarono al lancio del processo di pace nel 2013, come l’attacco di Mayo a giugno, l’omicidio dell’Imam Abdullateh Todir e le conseguenti punte di violenza del novembre 2012 e l’operazione Bacho a febbraio 2013. Il cessate il fuoco di 40 giorni tra il NSC e il BRN avevano portato alla diminuzione delle morti legate all’insorgenza dallo scoppio della violenza nel 2004, particolarmente a luglio del 2013, ma poi si interruppe dal momento che le parti sembravano ritirarsi dall’accordo con la conseguente intensificazione della violenza nell’agosto. Il modello violento del 2013, mentre le parti erano nelle trattative, era cambiato con un’accentuazione degli attacchi su obiettivi militari, di polizia e paramilitari. Una richiesta delle autorità thailandesi nei dialoghi di pace era che BRN evitasse l’attacco ai civili e alle comunità economiche nelle aree della città; la richiesta fu praticamente accettata dagli operativi del BRN.
Comunque agli inizi del 2014 dopo lo stallo dei colloqui la tendenza degli attacchi si era mosso di nuovo sugli obiettivi facili civili.
E’ chiaro da studi su conflitti violenti continuati che è importante la dinamica interna. “La natura protratta dei conflitti può essere una conseguenza dei modi in cui erano combattute queste guerre”. Un fattore comune per tutte le guerre e conflitti studiati è che il campo del governo, e spesso anche quello dei ribelli, ha intrapreso vasti abusi contro la popolazione civile, cosa che ha accentuato il numero dei rifugiati, ha indurito le abitudini di chi è sopravvissuto e creato difficoltà per le vittime di riconciliarsi con i propri oppositori quando si raggiungeva un accordo. I sempre più frequenti attacchi contro i civili, donne, uomini o bambini, sono un segno di allarme di difficoltà intrattabili nei conflitti violenti protratti.
Riassumendo le dinamiche del conflitto violento nel profondo meridione sono caratterizzate da “volatilità, confusione e complessità” e quindi probabilità di inasprimento. Interessante è che, mentre gli incidenti violenti sono indeterminati, sono poco legati in natura rendendoli peculiari. I primi anni di inasprimento della violenza dal 2004 al 2007 erano trattati con soppressione, resistenza e forte applicazione dell’ordine dello stato, senza risultati, ma con un drammatico alto livello di violenza. L’intervento di politiche di mobilitazione più forti, con 60 mila forze sul terreno, insieme com misure di allentamento, come la politica guida l’approccio militare, programmi speciali di sviluppo economico, con alcuni successi, avevano portato ad una diminuzione di atti violenti di una quantità significativa. Ma gli anni dal 2008 al 2011 avevano anche visto la formazione di una “violenza qualitativa”, con un livello inferiore di atti di violenza con un livello costante di morti e feriti. Negli anni dal 2012 al 12014 il conflitto si è fatto più dinamico. Ci furono molti eventi violenti notevoli ma erano anche presenti le forze interne per una risoluzione pacifica. Complessivamente il lungo periodo dal 2008 al 2014 è ancora stabilizzato con una media di incidenti di 84,3 al mese, muovendosi inaspettatamente ad un livello stabile.
Un’analisi da vicino della sequenza temporale rivela di nuovo che le forze della violenza tendono a muoversi ad una velocità costante se non si sono aggiunte altri fattori. Le Forze intrinseche di controbilancio si sono manifestate in una linea di tendenza incerta. Usando vari metodi di regressione matematica sulle fluttuazioni degli incidenti violenti, si potrebbe notare una tendenza verso il basso negli anni dal 2004 al 2014 mentre si implica una direzione stabilizzata verso l’alto negli ultimi mesi. Il livello del conflitto violento è stato alleviato attraverso differenti forze sociali dal basso, processi militari e politici interpolati dalle istituzioni politiche nei dieci anni fino alla piattezza e poi eventualmente tirato su appena dalle forze violente interne. Resta non chiarito se questa ultima tendenza ambigua porterà ad una proiezione a parabola, a forma di U oppure mantiene il suo status nella stesa forma. La proiezione indeterminata è probabile che sia volatile ed oscura a seconda dell’influenza della politica da parte della giunta militare per il resto dell’anno.
Nel frattempo un’altra regressione matematica presenta la formazione dei morti e feriti che sono diventati stabilizzati, una tendenza costante dal 2004 al 2014, implicando in modo simile un equilibrio mobile di stato della violenza che colpisce l’intero livello delle perdite umane. La linea diritta, parallela delle perdite umane nei dieci anni indica che esiste una linea di equilibrio negli anni di violenza e le forze intrinseche, sia di processi di pace che di guerra, hanno dato la forma a fattori compositi che spingono per la stabilità in un modo molto dinamico, mentre sono esposte a vari fattori esteri. Le forze di equilibrio hanno bisogno di mantenersi attraverso il processo che continua di costruzione di spazi comuni e di sostegno a soluzioni politiche di pace.
Le Conseguenze Avverse
Per alleviare l’impatto debilitante della violenza, i concetti fondamentali dell’approccio “la politica guida i militari” furono ricostruiti alle agenzie governative. Erano l’enfasi sullo sviluppo economico e i piani speciali per lo sviluppo delle province del profondo meridione, con spese grandi su molti progetti per innalzare il livello delle entrate e le condizioni di vita, gli investimenti, la ripresa economica e la connessione dell’economia locale a quella del paese vicino, dove l’organio principale era il SBPAC per la mobilitazione ed il coordinamento. Nei dieci anni, molto della finanza del governo è stata spesa nel profondo meridione per affrontare le emergenze immediate. La spesa nazionale per la soluzione del problema e lo sviluppo delle province più meridionali dal 2004 al 2014 ha raggiunto oltre 200 mila milioni di Baht (4 miliardi di euro) una bella fetta di risorse.
L’anno in cui la spesa raggiunse il massimo fu il 2009 con 27 miliardi, due anni dopo la repressione su vasta scala sull’insorgenza e il livello inferiore di violenze. La contrinsorgenza è costosa.
La seconda spesa maggiore si pensa sia il 2014 con 24 miliardi di Baht dopo il lungo processo di pace e la politica di dialogo condotta dal SBPAC che finisce con il regime militare. La pace si pensa che costi allo stesso modo. La questione è come il nuovo regime spenderà il budget proposto che è stato gestito dal SBPAC, dopo il rimpasto improvviso del capo dell’organizzazione.
Comunque l’uso della politica di sviluppo economica e delle attività civili per affrontare gli effetti dell’insorgenza e migliorare le operazioni militari non sono riuscite a raggiungere gli obiettivi proposti. Gli studi nel 2010, mentre si spese una grande quantità di denaro per progetti speciali di sviluppo, mostrano che, sebbene ci fosse un alto bisogno di assistenza statale e ci fossero risposte positive verso i programmi a breve come il progetto di impiego a 4500 baht ed altri programmi di trasporto ed infrastruttura, avevano chiaramente un piccolo impatto in termini di distribuzione delle entrate o riduzione della povertà. I progetti di stato mancavano della costruzione delle capacità e il potenziale di sviluppo economico dell’area restava irrealizzato. Un serio indicatore dei problemi sociali dell’area è l’uso di droghe illecite che era diffuso da anni, e rifletteva il fallimento dello sviluppo socioeconomico nell’area vsto nell’area come disoccupazione giovanile. Nonostante ulteriori programmi di sviluppo dopo il 2004 le ineguaglianze economiche sono state ancora un serio problema.
Anche prima dell’inasprimento della violenza nel 2004 il PIL provinciale procapita nelle tre province scendeva del 20% rispetto alla media complessiva nazionale e l’ineguaglianza economica continuava. Comunque quando si guarda ai dettagli, la crescita economica della regione è relativamente adeguata e buona, quando la si paragona alla regione meridionale negli anni reenti com conseguenza dei progetti speciali economici.
Inevitabilmente il conflitto violento ha con la forza colpito le strutture economiche della regione in termini di produzione ed impiego specie nel settore agricolo, che ha una crescita più lenta, ed il settore industriale i cui motori della crescita sono bloccati dagli eventi violenti. Comunque la crescita dei settori non agricoli, come la spesa dell’amministrazione pubblica, è cresciuta fortemente negli anni recenti e, in parte se non in toto, è diventato una rete di salvaguardia per evitare il collasso o la recessione dell’economia complessiva. L’economia del profondo meridione si è quindi espansa gradualmente attraverso il funzionamento del motore del settore pubblico dell’economia contro lo sfondo di un’insorgenza e di un conflitto violenti. Inoltre potrebbe aiutare l’economia locale a sopportare gli effetti avversi provenienti dall’esterno come l’impatto del prezzo el petrolio e il prezzo minore del caucciù. D’altro canto i progetti pubblici non sono riusciti ad alleviare la povertà, l’ineguaglianza e i problemi sociali, per non citare l’affrontare l’ingiustizia sociale che è diffusa e peggiorata. In situazioni violente la popolazione vive pericolosamente mentre lo stus socioeconomico delle province in generale è stato insicuro e fragile.
Conclusioni: Realtà differenti e strategie realistiche
Quasi tutta la popolazione delle province meridionali si è trovata sotto effetti variegati di situazioni violente per decenni. A bene vedere, molti vivono in modo sofferente. Persone di tutti gli strati sociali sopportano difficoltà e rischiano la propria vita in situazioni “complesse, volatili e confuse”. La mano di aiuto da parte delle politiche e progetti statali si sono dimostrate inadeguate e in molti casi hanno infuso paura. Gran parte di chi ha sofferto, di tutti i retroterra etnici e religiosi, hanno bisogno di sopravvivere e continuare ad andare avanti secondo proprie personali strategie. D’altro canto lo stato thailandese si trova di fronte ad una sfida seria da parte di politiche instabili e arrangiamenti di organizzazioni che risultano dall’instabilità politica ricorrente.
Mentre il cambio politico sfavorevole a Bangkok ha portato a un rischio crescente per la situazione in generale, c’è qualcosa da riconsiderare seriamente sulla situazione del profondo meridione, le sue politiche e strategie correlate.
La verità sconveniente coinvolge la situazione violenta imprevedibile e disorientata che porta a morti e feriti giornalieri con alcune forze intrinseche di equilibrio sensibile e di movimento. Questo ha portato all’altra sfida sulla gestione della politica pubblica che sembra essere confusa, disorganizzata a causa di varie organizzazioni e strutture in competizione.Eppure negli anni, ad essere sincero verso la burocrazia correlata, tutto ha funzionato per il meglio.
Un’altra difficoltà concerne il futuro dei dialoghi di pace in corso con i movimenti della resistenza BRN, PULO, BIPP ed altri. Come riportare pace ed ordine alla regione martoriata senza guastare il bilancio in corso tra le forze sociali locali che includono reti attive della società civile e capi locali? La parola d’ordine qui non è solo democrazia genuina ma anche pace genuina.
Rispetto ai colloqui di pace, è imperativo che il nuovo regime abbia una chiara idea della differente comprensione dell’essenza del conflitto e della sua trasformazione. Mentre, nel passato, il lato del governo vedeva per prima cosa e principalmente il dialogo di pace come uno sforzo per ridurre e terminare gli scontri violenti (pace in negativo), il movimento di Patani Malay metteva l’accento in primo luogo sul bisogno di riconoscere le radici storiche e politiche più radicali del conflitto e sviluppare un’agenda per una trasformazione politica (pace in positivo).
Raggiungere una comprensione comune è un processo immediatamente necessario che si suppone essere aperto ad ogni affermazione di validità per soluzioni politiche pacifiche da tutte le parti e dovrebbe essere inclusivo per poter avere successo e soddisfacente per tutti. Ogni affermazione esclusiva legata ad un’opinione ed attitudine di parte rischia di destabilizzare il processo sociale attuale e di comunicazione per la pace. La violenza creata dallo stato certamente crollerà.
In modo simile rispetto agli sforzi di creare integrazione della pubblica amministrazione per facilitare l’implementazione delle politiche sul conflitto violento del profondo meridione, chi prende la decisione politica non deve confondere il problema dell’integrazione e dell’efficaci ella gestione pubblica con il concetto di unità del comando e del controllo. La gestione delle politiche del profondo meridione in un decennio ha richiesto sempre più tempo e si è sviluppata ad abbracciare dinamiche di organizzazione e variabili come bisogni locali, fattori di conflitto interni, emozioni e influenze sociali sull’implementazione della politica e i processi amministrativi speciali. La gestione pubblica in genere abbraccia sistemi sociali cooperativi e quindi l’unità del comando non è una soluzione giusta al sottile conflitto di gestione. SBPACe ISOC potrebbero effettivamente e con la forza mettere insieme le loro missioni, mentre presentano entità indipendenti a sostenere il coordinamento civile militare e mantenere una struttura unica di gestione per l’approccio della “politica guida i militari”.
Per ultimo è fondamentale e giusto mantenere larghi gli spazi di partecipazione alla pace per tutti nelle province meridionali. Le strutture di gestione delle politiche sono state già istituite quindi i dialoghi di pace che includono la partecipazione dello stato thai, del movimento malay di Patani e il facilitatore malese potrebbero riprendere prima o poi. L’espansione a più percorsi del processo di pace dovrebbe anche essere sostenuto attraverso attività aperte e sincere delle organizzazioni della società civile e si dovrebbe stabilire una infrastruttura per il sostegno della pace.
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