La metamorfosi del generale Prayuth da capo del golpe a primo ministro nominato aggiunge un altro tassello al quasi completo controllo dei militari sulle leve principali politiche ed economiche del paese. Ma d’altro canto sono ora loro responsabili per i guai della Thailandia, senza però alcun biasimo se le cose dovessero andare male.
In una finanziaria approvata alla cieca, questa settimana, senza un dibattito nel parlamento fantoccio dei militari, Prayuth ha promesso incrementi grandi di spesa per i trasporti, l’istruzione e, senza la minima sorpresa, alla difesa.
Di seguito i cinque grafici che mostrano le prirità dei militari ed alcune difficoltà che si trovano avanti.
La spesa militare in Thailandia non si è accresciuta vertiginosamente come si è invece avuto in Vietnam o in Cina che sono immerse in una disputa territoriale nel mare cinese meridionale.
Ma dalla presa del potere nel golpe precedente del 2006 i potenti generali di Bangkok, e i successivi governi che li hanno voluti corteggiare, hanno previsto una grande crescita nel bilancio della difesa. I numeri sono impressionanti quando sono paragonati a quelli di un vicino regionale come la Malesia che, al pari della Thailandia, non ha né minacce esterne né incroci con qualche potenza straniera. Si sono poste tante domande negli anni sulla giustificazione per gli acquisti dei militari thailandesi, dall’ambizione di avere sottomarini all’acquisto di dirigibili di sorveglianza sgonfi e al rivelatori falsi di esplosivi venduti da un imbroglione inglese. Le risposte non sono mai state vicine.
Il settore delle esportazioni thailandese che va dalle auto agli Hard Disk, motori della crescita rapida dell’economia negli anni 90 e nel 2000, è stretta da una tenaglia fatta dallo sconvolgimento politico interno e la domanda globale debole. Molti economisti dicono che la Thailandia ha bisogno di fare il passaggio al high tech prima che alcuni ei suoi prodotti diventino obsoleti, mentre si spinge verso piani infrastrutturali da tempo paralizzati da dispute politiche sotto i vari governi civili. I militari hanno rivitalizzato una proosta di quasi 25 milairdi didollari nella ret d’alta velocità per collegarsi alla Cina. Questo è fondamentale per fare della Thailandia sia un hub nella sempre più integrata economia del sudestasiatico ed un ponte al suo gigante nel nord.
Il turismo è in depressione con una piccola ripresa nel numero dei turisti nelle scorse settimane che neanche inverte la caduta secca dall’inizio della crisi politica a novembre che ha messo contro le magliette gialle della popolazione urbana conservatrice contro i lgoverno eletto e sostenuto dalle magliette rosse nel nord rurale. Mentre il turismo non è così fondamentale per l’economia thailandese come alcuni esterni possono pensare – il turismo storicamente non ha mai contato più el 10% del PIL – il settore gioca un ruolo importante nel proiettare e proteggere l’immagine internazionale generalmente buona del paese. I dati economici del governo hanno mostrato che, mentre i tradizionali mercati come Francia, Germania e Inghilterra restavano solidi, le cifre diminuivano nelle precedenti aree di crescita come Cina e Medio Oriente.
Il sistema scolastico è diventato una fonte crescente di angoscia per il suo chiaro fallimento di rispondere ad una crescita di investimenti e agli aiuti con sforzi per sviluppare industrie più tecnicamente avanzate. Mentre la frequenza delle scuole secondarie è cresciuto in modo salutare tra il 2006 ed il 2010 durante gli anni in cui la spesa per la scuola era caduta in percentuale sul PIL, un forte aumento nella spesa da allora ha avuto effetti inesistenti. Piàù fondamentalmente i critici dicono che il sistema è troppo attento all’imparare a memoria e alla promozione propagandistica, che l’attuale giunta sta rafforzando, della monarchia, dei militari e di una visione conservatrice della Thailandesità. La Thailandia si è sistemata al 50° posto su 65 paesi studiati dal OECD PISA, molto al di sotto del più povero Vietnam.
L’arma economica migliore della Thailandia è stata storicamente la sua resilienza, sopravvivendo alle scoppole dei golpe, dal disordine politico e le crisi finanziarie esterne. L’investimento estero diretto ha avuro qualche incertezza per qualche anno dopo il golpe del 2006 ma è ritornato ancora alto nelle elezioni del 2011 che pose fine ad un periodo di governo nominato. I numeri anche quest’anno sono deprimenti sia a causa del nervosismo della crisi politica che per la paralisi pre-golpe dell’agenzia che approva gli investimenti esteri. La giunta ha fatto dell’inversione di questa situazione una priorità, e di fermare la tendenza, sempre più cospicua, di compagnie estere che optano per i paesi confinanti come Cambogia e Vietnam dove le paghe sono inferiori.
Michael Peel, Financial TIMES