Questa serie offre uno sguardo più complessivo, più approfondito, ma anche più sfaccettato, che va ad analizzare alcuni punti fondamentali della Thailandia che a nostro avviso merita di essere conosciuto ed apprezzato anche in Italia.
Sperando che studiosi italiani più titolati vogliano interessarsi ed approfondire le tematiche presenti in “The Wheel of Crisis”, Terresottovento dà inizio alla traduzione di alcuni di questi scritti, partendo da autori che già sono conosciuti ai lettori di questo blog.
Di seguito presentiamo l’introduzione di questa serie ed il lavoro di Pavin Chahcavalpongpun, La libertà accademica sotto assedio.
Il Ciclo della Crisi in Thailandia.
Per decenni, la Thailandia è rimasta invischiata in un ciclo di disordine politico che oscilla tra elezioni, proteste di strada e colpi di stato sia militari che giudiziari. Sebbene questa dinamica abbia dominato il paese sin dalla fine della monarchia assoluta nel 1932, quello che definiamo come “ ciclo della crisi ” ha accresciuto la propria velocità rotazionale sin dal collasso economico dell’Asia del 1997. Questa serie Hot Spot indaga sulle condizioni sottostanti alla sollevazione politica recente con sezioni che focalizzano le strutture legali e politiche (con i lavori di Hewison, Haberkorn, Streckfuss, Sinpeng, Chachavalpongpun, e Winichaku), una sezione sulle divisioni sociali e la cittadinanza (con i lavori di Mills, Elinoff, McCargo, and Arafat Bin Mohamad), con una sezione dedicata a come la società civile si sia rivoltata contro la democrazia (con i lavori di Phatharathananunth e Sae Chua), e domande strutturali più vaste con i lavori di Tausing, Sopranzetti e Aulino.
The wheel of Crisis in Thailand
La libertà accademica sotto assedio, Pavin Chachavalpongpun
Nei giorni dopo il golpe del 22 maggio 2014 la giunta militare ha iniziato a togliersi le spine dal fianco. Sono i politici associati col deposto governo di Yingluck Shinawatra, i militanti democratici contro il golpe e gli studiosi riconosciuti esser critici del golpisti. La giunta ha sempre affermato che il golpe era necessario per porre fine allo stallo politico che sarebbe stato un catalizzatore verso una maggiore democrazia. A dispetto di queste affermazioni, è chiaro che le elezioni non sono nei progetti reali dei militari thailandesi. La costituzione provvisoria emanata di recente ha messo in luce l’ambizione dei militari di radicarsi nella politica prima della successione reale priva di certezze.
Per questo i militari lavorano alacremente a mettere in silenzio i propri critici. Una delle armi usate è stata la convocazione di alcuni individui per interrogarli sulle loro pretese malefatte. Questo processo, secondo loro, serve ad “mettere in sesto” le attitudine di questi individui verso la politica. Dicono che tali inviti non durano più di sette giorni. Chi si rifiuta di rispondere a queste convocazioni va incontro ad un mandato di arresto, due anni di prigione e possibilmente una multa salata.
Il mio nome è sulla lista di chi è ricercato dalla giunta Thailandese. Sin dal golpe, ho affermato la mia posizione: rigettando la legittimità del golpe non ho risposto alle convocazioni. Di conseguenza un mandato di arresto è stato emesso nei miei confronti. Ufficialmente sono un fuggiasco. Alla fine la giunta ha revocato il passaporto costringendomi a richiedere lo stato di rifugiato in Giappone. Impossibilitato a ritornare a casa per visitare la mia famiglia, la mia costante paura è sempre che la giunta possa intimidire la mia famiglia a Bangkok se dovessi continuare ad essere critico dei militari attraverso il mio lavoro accademico.
Continuo ad essere in contatto con i miei colleghi professori ed alcuni attivisti politici in Thailandia. La maggioranza di questi che sono stati convocati sono stati rilasciati entro una settimana di detenzione. Le loro posizioni politiche e la partecipazione precedente alle attività politiche ha determinato il loro trattamento durante la detenzione nel campo dei militari. Nei casi di basso profilo, sono stati interrogati da ufficiali militari, sono stati consigliati di non partecipare più ad un movimento politico e costretti a firmare una dichiarazione in cui affermavano le condizioni benigne della detenzione. Una volta liberi la maggior parte ha preferito non parlare in pubblico per evitare di essere arrestati di nuovo.
Gli interrogatori è stato riportato che a volte sono stati strazianti. Una donna arrestata mi ha rivelato privatamente che era stata sottoposta ad una tortura psicologica estrema e minacciata di essere incriminata di lesa maestà che può comportare il carcere fino a 15 anni. Le fu ordinato durante l’interrogatorio di stare sulle ginocchia. Le fu fatto coprire il capo con una busta di carta e fu denudata e chiusa in una piccola stanza senza finestre per giorni. Eppure quando fu rilasciata, la sola cosa che poté riportare ai media fu “sto bene”.
La caccia alle streghe della giunta non è rimasta confinata alle persone in lista. L’esercito ha inviato le sue truppe nel nord e nel nordest, le roccaforti dell’ex premier Thaksin e zone in cui le magliette rosse sono forti, per distruggere le reti che sembravano loro ostili. I militanti delle magliette rosse, gli studiosi democratici e le ONG sono stati oggetto di violenza, di intimidazione e di arresti arbitrari. Alcuni hanno subito le perquisizioni in casa e la confisca di materiali. I villaggi delle Magliette rosse sono stati costretti a chiudere; le bandiere sulle case sono state bruciate. Alcuni capi villaggio sono stati interrogati ed altri posti in stato di detenzione senza acluna informazione sul dove si trovano o quando saranno rilasciati.
Al di fuori della Thailandia, i militanti democratici e gli studiosi critici, incluso me, mentre si trovano nel lusso di essere lontani dalle mani dei militari, sono ancora soggetti a violenze ed intimidazioni. Nel mio caso le pressioni ed i metodi sono stati differenti. La giunta ha dato istruzioni al console generale ad Osaka, vicino a Kyoto dove lavoro vivo, di “discutere il caso” con il mio direttore, sperando di portare stanchezza al centro che mi impiega. Il console mi ha accusato di essere fazioso e ignorare il golpe, mettendo in dubbio così la mia competenza accademica.
Un giorno prima che dessi una lezione via skype ad una riunione a Brussel sulla crisi dei diritti umani in Thailandia, un rappresentante dell’ambasciata thailandese in Belgio ha tentato di fare pressione sugli organizzatori per cancellare l’evento. La donna mi ha accusato di lavorare in favore dl governo eletto che era stato rovesciato dalla giunta, ed ha affermato che spesso davo intervista ai media vicini a Thaksin. Ha suggerito in effetti che il golpe era un passo necessario per fare andare avanti la Thailandia.
A Bangkok, Il consiglio Nazionale per la pace e l’ordine, NCPO, il corpo che governa della giunta, ha lavorato strettamente con le ambasciate all’estero per dare la caccia ai critici che si trovano oltremare. Nel mio caso la giunta ha fatto pressioni sul governo giapponese per deportarmi. Si è anche suggerito da parte di un ufficiale di rango dei militari il mio sequestro. Il ministro degli esteri ha risposto con dei colloqui con l’ambasciatore giapponese a Bangkok per screditare la mia professionalità e cercare cooperazione nel monitoraggio dei miei movimenti in Giappone.
In casi più brutti come quello di Chatwadee “Rose” Amornpat, una donna che si professa antimonarchica e che vive in Inghilterra, sono state applicate misure estreme. Il ministro degli esteri ha chiesto la cooperazione da parte della controparte inglese per estradare Rose e riportarla in Thailandia e scontare una lunga sentenza di carcere per aver insultato il Re. Ma l’ambasciatore britannico a Bangkok, Mark Kent, ha confermato che Rose è un cittadino britannico e non sarebbe stata deportata, nonostante un trattato tra i due paesi, poiché non esiste una legge di lesa maestà in Gran Bretagna. Quando i mezzi legali si sono rivelati inutili, gli accesi monarchici thai in Inghilterra hanno deciso di farsi giustizia da soli invadendo e facendo vandalismi nella proprietà di Rose. Un tipo di “pressione pubblica” che è più simile alle minacce.
La costituzione provvisoria rivela quanto la giunta thai abbia adottato il modello birmano per preservare il potere politico per i militari. Il futuro della Thailandia è perciò cupo. Il processo instaurato dai militari certamente sarà di ostacolo al ritmo della democratizzazione e peggiorerà la situazione dei diritti umani nel paese. La libertà accademica e molto di più sono seriamente minacciati.
Pavin Chachavalpongpun, docente universitario presso l’Università di Kyoto