Il 30 settembre, il capo dei golpisti e primo ministro Prayuth Chan-ocha si è dimesso dalla sua posizione di comandante dell’esercito. Il suo successore, generale Udomdej Sitabutr, ha assicurato che l’esercito non caccerà il nuovissimo governo con un altro golpe. Non c’era quasi bisogno di dire che il generale Sitabutr avrebbe fatto qualunque cosa in suo potere per proteggere la monarchia.
Il futuro politico del paese è ancora fumoso. Secondo le previsioni statistiche sulla durata del regime militare le stime variano da un anno ad un periodo indefinito. La direzione comprensiva diventerà più chiara una volta che gli ex generali in abiti civili stileranno il rimpiazzo della costituzione che hanno fatto a pezzi.
Hanno già scelto ad uno ad uno un gruppo di 250 membri per stilare un nuovo documento entro 120 giorni e quindi prevedere le riforme politiche per il sistema politico bloccato del paese. L’idea è di sistemare tutto il paese dall’alto in basso. I nuovi governanti del paese sono stati candidi: intendono prevenire il restaurarsi del sistema di chi vince prende tutto che permise al partito di Thaksin Shinawatra, un imprenditore delle telecomunicazioni che diventò primo ministro, di vincere tutte le elezioni tenute dal 2001.
Il avrebbe dovuto nominare i membri del gruppo il 2 di ottobre. Il corpo consisterà di un rappresentante per ognuna delle 77 province, più 173 persone di undici “aree particolari” specificate in una antiquata costituzione provvisoria. Queste aree vanno dalla politica all’amministrazione pubblica all’economia alla società civile. La costituzione del pannello mostra che chi è in disaccordo con l’ordine politico attuale non troverà alcuno spazio in esso. La natura della riforma politica su cui fantasticano resta un mistero. Resta un mistero anche se gli autonominati governanti della Thailandia desiderano sottoporre la nuova costituzione ad un referendum popolare.
I politici della Thailandia sono stati tenuti fuori del processo della “riforma politica”. La gran parte di loro ha accettato di non fare attività politica dopo aver partecipato ad un breve programma “di modifica del comportamento” che la giunta ha somministrato loro in una settimana dopo il golpe. Suthep Thaugsuban, il capo della folla trionfante, che portò alla cacciata del governo di Yingluck Shinawatra, si è ritirato dalla vita pubblica per farsi monaco. Abhisit Vejjajjiva, capo del principale partito del potere, continua a dare occasionai blande affermazioni. Yingluck Shinawatra sembra farsi i fatti propri in tutta calma. E suo fratello guarda il prendere forma del nuovo ordine politico dal suo esilio a Dubai.
I militari e le elite degli affari tradizionalmente hanno sempre accusato i politici eletti di essere molto venali, di promuovere solo il loro stato curandosi poco del benessere del regno. E’ tipico delle elite di potere thai definire corrotte le politiche populiste. La banca della Thailandia è forse una delle poche banche al mondo a mantenere inalterata l’offerta di moneta anche se la crescita del PIL sprofonda a zero. Ha mantenuto l’offerta di moneta inalterata sin dalla fine del 2013, un atto profondamente irresponsabile. L’Ufficio della Politica Fiscale, la mente pensante del ministero delle finanze, sta stendendo un insieme di manovre fiscali disegnate a controllare le politiche populiste. Potrebbe tuttavia scoprire un colpo basso ai suoi obiettivi: il primo ottobre il governo ha deciso un pacchetto di stimolo da 11 miliardi di dollari per aiutare i contadini e creare lavoro. In essenza è un trasferimento di cassa ai contadini, un contentino costoso offerto nella speranza di poter ravvivare l’apatica economia.
Come nel caso di gran parte del sudestasiatico, le elite al potere in Thailandia non accetta la natura fondamentale della democrazia. Credono che il governo di pochi “esperti” sia preferibile al giudizio della popolazione.
Quindi a cosa assomiglierà il loro governo? C’è una forte attesa che la giunta possa porre restrizioni al voto. L’idea è in voga in alcuni circoli a Bangkok dove la gente si lamenta da molto che il loro voto non conti di più di quello di contadini poveri ed ignoranti. Ma mandare in soffitta il suffragio universale sarebbe difficile probabilmente per farla franca. Un percorso più probabile è un parlamento in parte di nominati. La cosa lascerebbe a chi ha il potere di nominare, come il monarca, l’esercito la burocrazia, di mantenere il controllo sul bilancio di poteri. Allo stesso tempo il potere potrebbe essere allontanato ancor di più dal parlamento nelle mani di un gruppo regolatore nominato. Tutte queste riforme troveranno probabilmente lo sdegno della maggioranza silenziosa della Thailandia come anche degli intellettuali e dei professori universitari e di alcuni governi esteri.
Le strade di Bangkok, in questi giorni, sono calme. Il solo elemento che ricorda che tutti sono indignati per essere governati da capi non eletti è l’immagine delle proteste ad Hoing Kong che sono state lanciate sulle prime pagine dei giornali thailandesi. Gli stessi giornali riportavano i risultati di una recente indagine che mostra che il 90% dei thai sono o “soddisfatti” o “molto soddisfatti” da quanto fatto dalla giunta. Ma come rispondereste se l’esercito vi domandasse del gradimento del loro governo? Per quanto siano dubbi questi risultati, molta gente sembra preparata a lasciare che la giunta migliori il governo e faccia ripartire il sistema politico. Le stesse persone non sono sicure se tale tentativo sarà di successo. I dissidenti si mantengono calmi ma ci sono un gran numero di persone scontente di tutto lo spettro politico del paese. Il poter arbitrario è potere arbitrario, e i thai non lo ricordano con affetto.
Il solo modo con cui l’esercito potrà farla franca con la sua dittatura è se si dedica urgentemente al solo percorso accettabile per la stabilità politica del paese: una politica di ridistribuzione della ricchezza in modo da stimolare la crescita e tirare l’intera popolazione in un processo di modernizzazione. Questo è il passo che farebbe felici la gran parte dei thailandesi. Sembra essere anche il solo modo in cui una giunta possa giustificare un periodo esteso come unico curatore di un sistema politico incrinato.
Probabilmente il governo della giunta andrà avanti per un po’, se non fosse altro che i suoi membri non sopportano persino il pensiero di politici eletti al potere alla morte del re. Aiuta che la burocrazia e gran parte delle famiglie più ricche sostengono il governo militare. Queste famiglie ricche Thai cinesi, insieme con le elite thai, controllano molto delle proprietà del paese. Nel corso del XX secolo un piccolo gruppo di cortigiani e uomini di affari hanno giocato le proprie carte direttamente con la monarchia riuscendo ad unirsi a loro. Il risultato è che 0,1% dei thailandesi possiede il 50% della ricchezza della nazione, una concentrazione della ricchezza tale da far sembrare l’incredibile distribuzione ineguale della ricchezza americana, dove 0,1% dei cittadini detiene il 22%, il realizzarsi del sogno socialista.
Queste stesse famiglie ricche desiderano fortemente il controllo e la stabilità, non la specie di crescita economica rapida che innalza per tutti gli standard di vita. E’ sempre stato nel loro interesse razionale sostenere governi conservatori. Bruciatisi male nel collasso economico degli anni 96-97, temono spostamenti permanenti nella politica economica, la competizione e il prezzo crescente dell’accesso ai capitali, al lavoro e alla terra. Molti vedono la crescita dei Shinawatra come una minaccia immediata al loro status se non proprio alla ricchezza.
L’attuale insieme di generali deve aver notato che, da unici garanti per il potere danaroso, si trovano in una buona posizione di contrattazione. Potrebbero far crescere il loro prezzo per ristabilire la pace e l’ordine, e così prendono in considerazione una tassa sulla terra e la ricchezza ereditata. Quello di sicuro non è populismo, ma per qualcuno potrebbe non essere troppo differente.