L’Indonesia ha uno dei tassi di crescita maggiori di infezioni da HIV in Asia. Nell’isola turistica di Bali, il numero di persone che convivono col virus è quasi raddoppiato negli ultimi tre anni. Uno dei gruppi più a rischio sono le lavoratrici del sesso che combattono la loro guerra quotidiana con i loro clienti sull’uso del profilattico. Qui appare un articolo di Katie Hamann, apparso su Asia Calling che ha incontrato alcune lavoratrici del sesso.
Sono le dieci di sera al Compound, un quartiere rosa sepolto nelle stradine secondarie della capitale dell’isola, Denpasar. All’interno di un locale di cemento armato in cui si allineano tante stanzette senza finestra, una donna dal nome di Mona si sta preparando per la notte. Lei spiega la regola principale a cui il cliente deve obbedire:
«Prima di entrare nella stanza gli dico ‘devi mettere il preservativo’. Se rifiutano allora non hanno alcun servizio.»
Forte ed intelligente, Mona dice di non fare eccezione alcuna . Ma non tutte sono così sicure.
Da tredici anni Mona che ha 42 anni lavora col sesso. Due anni fa ha scoperto di essere sieropositiva all’AIDS.
«Alcune accettano il destino poiché abbiamo bisogno di denaro. Se rifiutano di mettere il preservativo e non vogliono far l’amore non facciamo soldi. Così talvolta si fa lo stesso.»
Ida lavora anche come educatrice per la Kerti Prata Foundation, una ONG che educa i lavoratori del sesso e di altri gruppi a rischio sull’HIV. Emily Row, australiana, è coordinatrice del gruppo.
«Questo è un gruppo di persone in attesa di essere esaminate e di essere sottoposta ad un test volontario per l’HIV e al sostegno psicologico.»
Cosa ne pensi di Bali se messa a confronto col resto dell’Indonesia in termini di pronto accesso a questi servizi, c’è più trasparenza o accettazione?
«E’ più facile qui, non so se è necessariamente connesso all’accettazione o trasparenza, ma ma sembra che abbiamo accesso a molti più finanziamenti e il governo loale è di grande aiuto. Molte persone che scoprono di essere sieropositive in Bali, anche se spesso provengono da altre parti, rimangono qui poiché possono avere antivirali gratis e servizi senza essere discriminati.»
Il primo caso riportato di AIDS in Indonesia è apparso a Bali più di venti anni fa. Oggi l’isola è tra le prime tre isole col più alto ritmo di infezione. Si stima che un quarto di tutti i lavoratori del sesso sono sieropositivi.
Tuttavia nonostante l’ovvio rischio, l’uso del profilattico è scarso qui. E secondo alcuni il comportamento sconsiderato degli uomini che vanno a prostitute sta comportando un più alto numero di infezioni tra le donne partner, le mogli ed i bambini.
Emily Rowe dice che il fatto che gli uomini vanno a prostitute è un falso segreto:
«E’ una specie di scherzo tra giavanesi e balinesi; che visitano i bordelli. Specialmente la sera del sabato, si possono vedere balinesi anche in costume tradizionale visitare i bordelli. Una cosa quasi scontata.»
La Fondazione Kerti Prata ha cominciato a indirizzarsi direttamente ai clienti maschi durante le loro campagne di informazione.
La ex prostituta Mamik lavora come educatrice e ha un approccio molto diretto con suo lavoro:
«Vado agli uffici del registro delle auto e parlo agli uomini che fanno la coda nelle loro auto… dico loro ‘ Signori, guardatemi , sono una prostitua e sapete che sono sieropositiva? Non potete mai sapere se qualcuno lo è così avete l’obbligo di proteggervi e di non trasferire il virus alle mogli e ai bambini. Meglio proteggersi.»
Nonostante l’entusiasmo e gli sforzi continui di tutte le ONG, il tasso di crescita a Bali continua a salire. Negli ultimi tre anni il numero delle persone infette è quasi raddoppiato fino a 7000.
Ecco Emily Rowe.
«Stiamo mettendo preservativi agli uomini ma davvero non capiamo cosa accade…. ogni settimana qualcuno muore, davvero deprimente. E peggiora sempre di più.»
Mamik dice che alcune prostitute accettano semplicemente che la malattia è una conseguenza del lavoro.
«Credono che la mia vita sia semplice, non voglio vedere se sono sieropositiva o no, se muoio, se sto morendo. Allora non obbligatemi a chiedere ai clienti di mettere un preservativo. E’ il mio destino. Se lo è allora muoio domani. Muoio domani.»
Nel suo spazio la trentenne Mona non ha la stessa rassegnazione rispetto al proprio destino. E’ determinata a rimanere in salute per due buone ragioni.
«Ho tanta ma tanta paura dell’HIV. E’ questa la ragione perché non transigo al mio principio che ogni cliente metta il preservativo perché voglio vivere più a lungo la mia vita per la mia famiglia e specialmente per i miei due bambini.»
Link