Proponiamo qui due contributi di discussione apparsi sul solito Prachatai e su Deep South Watch. Il contribut sul Prachati è di Hara Shintaro, docente giapponese presso la Songkla University; l’altro è di Abu Hafez Al-Hakim del BRN.
Appunti da Patani sui « Colloqui della Felicità », Hara Shintaro PRACHATAI
Se si considerano le circostanze del meridione dove le leggi draconiane speciali (legge marziale, decreto di emergenza e Legge della sicurezza interna) sono in vigore da dieci anni mentre nel resto del paese sono sei mesi che la legge marziale è in vigore, non esiste un vero e proprio canale ufficiale per i gruppi armati non statali, GANS, a cui spesso ci si riferisce come separatisti sia dal governo thai siamese coloniale che dai media. Perciò i manifesti apparsi simultaneamente in tre lingue, inglese, malese e thai, devono essere considerati a tutti gli effetti un esempio di sforzo di «pubbliche relazioni» da parte dei GANS, il più influente dei quali è il BRN.
In modo simile sotto le stesse circostanze, è suicida fare delle obiezioni chiare da parte delle ONG, ed ora con la giunta militare la situazione è ben peggiore di quanto non lo fosse già prima. Comunque molti capi delle ONG, specialmente quelli considerati sostenitori dei «Militanti della libertà di Patani», affermano chiaramente le loro obiezioni e i loro sospetti sulle pagine personali di Facebook. Solo le ONG legate ai militari sono contente degli attuali sviluppi.
Per la gente che sono per lo più senza difese e quindi vulnerabili al cattivo uso del potere come le detenzioni arbitrarie, alle perquisizioni senza mandato, agli omicidi extragiudiziali, sotto leggi che sono una violazione dei diritti umani, è troppo rischioso dire qualcosa apertamente.
Comunque gli sforzi continui ma inutili di convincere la gente locale riflette, chiaramente e con ironia, quanto siano estranei al cuore e alle menti che intendono conquistare.
Queste reazioni mostrano chiaramente che i colloqui, che la giunta definisce unilateralmente « Colloqui della Felicità », non godono del vasto sostegno popolare. Personalmente non trovo nulla per cui essere ottimista sulla questione. I tre principi presentati da Najib mi convincono poco e il processo di pace non farà alcun passo in avanti.
Primo, il periodo di non violenza. In un conflitto un periodo di non violenza viene dopo che ha preso forma un vero e proprio negoziato, sotto forma di un temporaneo cessateilfuoco. Quando uno dei più importanti gruppi nel conflitto, i gruppi GANS non sono rappresentati nei colloqui, come è possibile mettersi d’accordo sul cessateilfuoco? Questo è contraddittorio col secondo punto, che tutte le parti siano rappresentate nei colloqui. Un processo di pace deve essere inclusivo. Quando si dichiara l’accordo su un tale punto importante con l’esclusione di un importante parte, rende il processo meno inclusivo. Najib dovrebbe aver attaccato Prayuth per le restrizioni alla libertà di espressione nel paese. Quando questa è fortemente ristretta e e affermare qualcosa potrebbe portare in carcere, come può un processo di pace essere genuinamente inclusivo?
Allo stesso tempo la Malesia dovrebbe aver notato che TUTTE le parti devono fermare la violenza, non solo iGANS, ma anche i corpi dello stato. nelle aree di conflitto la ciolenza è commessa da tutte le parti e ciò vale anche per Patani.
Comunque la richiesta del terzo punto che chiede a tutti di essere uniti nelle richieste, mi trova d’accordo. Si deve applicare alle due parti, stato thailandese e GANS. La mancanza di unità tra i GANS deve essere affrontato da loro ma lo stato dovrebbe assicurarsi che non ci siano divisioni dalla propria parte.
Secondo me nella situazione attuale si deve assicurare che la questione del meridione sia sull’agenda nazionale. Di fatto fu promesso da Prayuth sin dall’inizio del golpe ma non è ancora una promessa soddisfatta, come c’è da aspettarsi da lui.
Mi domando se dei colloqui di pace possano aver un successo significativo con una giunta militare che non risponde alla gente, essendo giunti con il golpe e non con elezioni. E’ un ostacolo proprio la formazione mentale dei militari. Credono che siano rispettati e ammirati dalla gente solo perché i loro ordini sono eseguiti, mentre molti semplicemente obbediscono perché il solo fatto di disobbedire porta a conseguenze inaccettabilmente dure.
Il fatto più importante di un colloquio di pace è che per risolvere un conflitto devono trattare proprio con chi è stato maggiormente disobbediente ai loro ordini. E la mente militare è il vero ostacolo.
Quello che la giunta potrebbe riuscire a raggiungere è di aprire la strada ad un colloquio vero e proprio dopo lo stabilirsi di un governo democratico. Un colloquio richiede la costruzione della fiducia reciproca. Mi domando se lo stato thai e quello malese sono davvero seri su questa questione. Se non c’è fiducia nessun fruttuoso colloquio di pace si avrà mai.
Hara Shintaro, Prachatai
Riprendono I colloqui di pace? Abu Hafez Al-Hakim capo del BRN, DSW
Il tanto atteso incontro del 1 dicembre tra il premier malese Najib e l’autonominato primo ministro militare Prayuth Chanocha a Kuala Lumpur è terminato con tre «botti». Entrambi si sono detti d’accordo che i prossimi colloqui di pace, o Colloqui della Felicità come proposto dai thailandesi, si dovevano basare su tre principi, i tre Botti. Secondo Najib i tre principi sono un periodo di non violenza, che tutte le parti siano rappresentate ai colloqui di pace e che tutte le parti si accordino su una richiesta unitaria da sottomettere allo stato thai. Su questa base la Malesia continuerà il processo di pace e il governo thai ha detto categoricamente che la Malesia è il solo paese con cui lavoreranno sul processo di pace.
Esattamente ad un anno dalla sospensione, il processo di pace dovrebbe tornare nel mezzo della confusione, incertezze e violenze sul terreno.
Il giorno dell’arrivo del generale nella capitale malese, il personale della sicurezza nel profondo meridione era indaffarato a eliminare i manifesti messi presumibilmente dai membri dei movimenti di Patani la notte prima. Questa volta i manifesti sono stati migliorati e portati in tre lingue: Malay di Patani, Thai e Inglese. Si legge: «E’ appropriato negoziare con un governo del golpe? Non c’è garanzia di sincerità». Il sentimento di opposizione al golpe è molto forte e per i malay di Patani non c’è da fidarsi dei capi militari la cui legittimità è dubitabile. Anche a Kuala Lumpur Prayuth e i suo gruppo di 19 persone ha trovato la protesta fuori dell’ambasciata thai che chiedeva la fine immediata del governo militare e il rilascio dei detenuti politici.
Sebbene fosse chiaro che entrambi i governi riconoscessero che il processo che era stato iniziato ufficialmente l’anno prima era ufficiale, non si è menzionato nulla sullo stato del Consenso Generale sul dialogo di pace firmato il 28 febbraio 2013.
Questa ripresa è una continuazione del processo di pace dello scorso anno oppure una nuova «revisione»? La frase precondizionata «nella cornice della costituzione thai», che i militanti malay trovano molto irritante, è ancora valida? Cosa è successo delle cinque richieste preliminari e le spiegazioni dettagliate del BRN? E ultimo ma non per importanza, il processo di pace è stato accettato come agenda nazionale e sostenuto dal parlamento thai, se ne esiste uno e legittimo?
Ora quasi tutti quelli che sedettero al tavolo del dialogo di KL sono andati via. L’intero gruppo di lavoro è scomparso dopo che il generale Paradorn fu spostato da capo del NSC. Così fu per il capo del gruppo del BRN quando Hassan Taib si definì come ex capo delegazione di Patani Malay un anno fa.
L’unico a restare è il facilitatore malese Ahmad Zamzamin che continuerà a sobbarcarsi il duro compito per superare gli ostacoli e i problemi e per rettificare gli errori e le storture dell’anno precedente.
La parte thai ha più o meno confermato il generale Aksara Kerdpol come nuovo capo delegazione di dodici membri col sostegno del ISOC, del NSC e di altri ministeri e agenzie.
Ora molti occhi sono puntati sui movimenti Malay di Patani che sono stati relativamente in silenzio per tutto il tempo. Chi si presenterà questa volta? Chi li rappresenterà nel gruppo? Chi guiderà la delegazione? Ci sarà il BRN, visto che le cinque richieste e la questione della Agenda Nazionale non è stata affrontata e chiarificata pienamente? Attraverso il video su Youtube di Hassan Taib del 30 novembre 2013 il BRN aveva detto molto chiaramente che non avrebbe partecipato a futuri negoziati se non si fissavano queste questioni.
Poi c’è l’altra questione delle tre fazioni del PULO. Lo scorso anno Luqman Binlima rappresentava una fazione del PULO. Rapporti non confermati dicono che anche le altre due fazioni parteciperanno ed almeno Kasturi ha detto che ci sarà. Il BIPP, che lo scorso anno giocò un ruolo di sostegno dietro le scene, deve ancora prendere una decisione. Ultimamente c’è il capo del GMP che aveva di recente dichiarato l’indipendenza di Patani e la formazione di un governo di Patani in esilio. Potrebbe anche essere interessato.
Mentre sul campo si sta raggiungendo un momento di ebollizione con attacchi, bombe ed omicidi quasi giornalieri, c’è stato un serio dibattito nel movimento se è a proprio vantaggio parlare alla giunta dei militari in questo momento o attendere per un governo democratico legittimo nel giro di uno due anni. Quello che i messaggi mostrano è che il regime del golpe non è sincero e perciò non si deve negoziare con esso.
Ci sono segnali negativi dalla parte dei militari thai per cui i «colloqui della felicità» non hanno nulla a che fare con la ristrutturazione dell’amministrazione del profondo meridione e l’autogoverno è fuori di questione. Alcuni capi di Patani sono riluttanti a voler partecipare, mentre altri invece vogliono partecipare fin tanto che non ci sono condizioni preclusive e tutti vengono a «mani vuote». Le cinque richieste sono state percepite dagli altri come esclusive del BRN. Se più gruppi si uniscono, c’è da attendersi che nelle domande unificate future, come citate dai premiers, ci saranno più punti da aggiungere.
Rispetto ai tre principi è vitale che tutti i movimenti di Patani dovrebbero essere presenti al tavolo. Le richieste saranno unificate. Comunque è difficile avere un periodo di non violenza in questa fase iniziale. Forse dovremmo riguardare il fallito cessate il fuoco dell’ultimo Ramadan ed imparare da quel grande errore. Un altro fallimento di un approccio simile è inaccettabile. Un processo di pace di buna prospettiva e fattibile deve iniziare con la discussione ed accordo sul percorso seguito da misure di costruzione della fiducia. Quando il processo si fa più stabile e continuo, ci può stare la discussione di un periodo di non violenza e negoziato per cessate il fuoco.
Le prossime settimane saranno di comunicazione tra le parti, apertamente e segretamente, ed il facilitatore malese contatterà i vari gruppi di lavoro per far partire il processo. Forse per la fine dell’anno o per l’inizio del prossimo, le cose saranno più chiare e nella speranza che non i siano altri incidenti «politici» vedremo entrambe le parti sedere faccia a faccia a parlare di pace oppure è per parlare della felicità? Vedremo…
Abu Hafez Al-Hakim capo del BRN, DSW