Da potenza globale in ascesa e da potenza militare ed economica principale in Asia, la Cina ha il lusso di poter fare, più o meno, quello che vuole nel mettere sotto sfida i suoi vicini sui reclami di terra e di mare sapendo che molto probabilmente nessuno la sfiderà mai.
Questo è cambiato di recente con il Giappone che contesta con forza le richieste cinesi sulle isole Sensaku e le Filippine che avanzano le proprie richieste sulle Spratly in un arbitrato internazionale.
La Cina ha già annunciato che non ha alcuna intenzione di partecipare all’arbitrato sulle questioni con le Filippine.
Il tentativo delle Filippine di portare la Cina di fronte ad un tribunale internazionale è un problema poiché invoca la giurisdizione molto obbligatoria che la Cina ha rigettato sin dal 2006. Ma anche se il tentativo filippino di arbitrato dovesse fallire, sussiste ogni discussione ordinata e il caso lo si può presentare in altri luoghi.
Se dovesse aversi un confronto militare, lo stesso potrebbe essere portato al consiglio di sicurezza dell’ONU, il principale ente di poteri di applicazione dell’ONU.
Si può trovare che uno stato violi una legge fondamentale anche senza un giiudizio obbligato o coercitivo in una data sede, ammesso che ci sia del vero nella discussione sulla violazione e che è riconosciuto da una sede alternativa.
Mentre la Cina disconosce la UNCLOS contro le Filippine, invoca espressamente le leggi dell’UNCLOS nel suo reclamo contro il Giappone per poter avere tutto per sé.
Nel 2009 la Cina ha ha presentato una rivendicazione sulle isole Senkaku, che al pari delle altre isole si ritengano siano ricche di petrolio e gas, e si è rivolta all’UNCLOS nella definizione e nel delineare la sua piattaforma continentale oltre le 200 miglia nautiche della sua zona economica esclusiva, sempre dentro la legge dell’UNCLOS. C’è una dottrina legale internazionale che sostiene che le azioni di uno stato in un luogo possono essere usate come ammissione e legare in modo contrario quello stato in un altro sistema di circostanze.
Il punto più importante è che la Cina non ha incarnato Il governo della legge in questo caso o in altri casi legati ai confini marittimi, e vuole poter scegliere quegli articoli dei trattati internazionali che vuole applicare o che non vuole applicare.
Questo è un comportamento sconveniente di una potenza globale nascente e che farà chiedere agli stati che firmano i tratti con la Cina se la loro firma vale il pezzo di carta su cui scrivono, e non possono essere nell’interesse cinese di lungo termine.
L’insistenza cinese nell’affidarsi a mappe vecchie di secoli, che non sono adeguate alle attuali leggi del mare, come base delle proprie rivendicazioni marittime nel mare cinese meridionale è probabile che si dimostrino contrarie ai propri interessi.
Se prevarranno le affermazioni filippine in tribunale è improbabile che la Cina prevarrà su questa questione nel tribunale dell’opinione pubblica.
Le dispute di mare nel Mare cinese meridionale e nel mare filippino occidentale saranno alla fine la cartina al tornasole sul comportamento cinese come membro responsabile della comunità internazionale, che vuole entrare in contatto con gli altri contendenti in un regime secondo le regole in accordo con le norme stabilite della diplomazia internazionale, consistente con una nazione della sua importanza e grandezza. Questa è la sfida cinese.
Edsel Tupaz and Daniel Wagner, JakartaPost