Lo scorso anno furono tante magliette rosse a radunarsi per le strade di Bangkok per sostenere il primo ministro Yingluck Shinawatra. A maggio fu cacciata da un golpe militare. E il 9 gennaio solo un pugno di suoi sostenitori hanno rischiato l’ira funesta della giunta al potere radunandosi fuori del parlamento da velina dove era cominciata contro di lei la procedura di messa sotto accusa.
C’è da attendersi per Yingluck un divieto di 5 anni di partecipazione alla vita politica e forse alla fine una sentenza di carcere, se l’Assemblea Legislativa Nazionale la troverà colpevole di corruzione e negligenza durante i suoi tre anni al governo.
E’ una situazione che rischia di sconvolgere la calma delicata che ha prevalso in Thailandia dal golpe.
Il centro delle audizioni, che potrebbe durare qualche settimana, è un balordo ed estremamente costoso programma di sostegno del prezzo del riso che mirava ad accrescere le entrate dei poveri contadini.
I loro voti avevano contribuito ad una valanga parlamentare per il partito di Yingluck, Puea Thai nel 2011. Il suo governo promise di pagare i contadini il doppio del valore di mercato per i loro raccolti, nella speranza di recuperare i costi accumulando i raccolti per spingere a livello internazionali verso l’alto. I contadini buttavano fertilizzanti nei loro campi; bande criminali vendevano riso proveniente dalla Cambogia e da altri luoghi al governo e le esportazioni crollarono poiché i compratori trovavano meno costoso il riso vietnamita ed indiano.
Ad un certo punto i depositi thailandesi trattenevano 18 milioni di tonnellate di riso, equivalenti a quasi la metà del commercio annuale globale di riso. Secondo la giunta le perdite per l’erario potevano ammontare a 15 miliardi di dollari.
Il progetto fu chiaramente un disastro. Ma a dire il vero Yingluck sotto accusa ha più a che fare con gli sforzi di lungo termine da parte delle elite monarchiche di sciogliere il Puea Thai e sradicare l’influenza del fratello di Yingluck, Thaksin Shinawatra, primo ministro populista che fu deposto dai militari nel 2006 anche se detta ancora le politiche del partito dall’esilio prescelto di Dubai.
I seguaci di Thaksin hanno affermato che perseguire Yingluck per corruzione li non è giusto. La legalità del processo che colpisce un primo ministro che ha già lasciato l’incarico è anche dubbia, e non aiuta il fatto che il processo si basa su una costituzione che i militari non amano e che hanno sospeso.
Le audizioni sono una passerella per la giunta che sa di correre qualche rischio. Nonostante la sua oppressione e i loro interessi la giunta ha voluto sembrare conciliatoria sin dalla presa del potere di otto mesi fa. I suoi rappresentanti posseggono oltre la metà dei seggi nell’Assemblea Legislativa Nazionale, consegnando il resto al potere a Bangkok, e molti sembrano non amare la caccia a Yingluck per quanto possano non amare il clan dei Shinawatra. Si presume che l’esercito abbia una più grande priorità, di preservare l’ordine e la propria influenza durante la successione reale che seguirà alla morte di Re Bhumibol, l’anziano monarca thai ammalato. Mettere Yingluck sotto accusa potrebbe quindi infiammare i suoi sostenitori complicando così il loro compito.
Eppure per il momento la minaccia della messa sotto accusa è utile ai militari perché aiuta a placare le classi di governo tradizionali del paese che potrebbero anche montare proteste contro il golpe se sentono che i loro interessi sono ignorati. Inoltre il campo di Thaksin ha chiesto ultimamente ai suoi sostenitori delle magliette rosse di adeguarsi alla richiesta dei generali di astenersi da attività politiche lasciando qualche duro disilluso. Si dice che Thaksin stia negoziando con i generali presumibilmente per non fare arrestare Yingluck ma probabilmente anche per salvaguardare quella parte delle sue immense fortune che sono ancora nel paese.
Lo studioso Thai presso l’Università di Kyoto Pavin Chachavalpongpun pensa che forse il governo forse sta usando le audizioni come vessazione e come un pezzo per contrattare.
Che questa strategia possa portare frutti dice molto del fallimento del Puea Thai di liberarsi della morsa di Thaksin sul partito. Solo un piccolo numero di pezzi grossi del partito sembrano possedere quello che ci vuole per costruire dei ponti con le potenti elite di Bangkok; Chadchat Sittipun, docente di ingegneria e ministro dei trasporti è forse tra questi. Secondo un analista politico, nel complesso è degno di nota quanto in tanti nel Puea Thai siano riusciti a creare poco senza Yingluck per non citare Thaksin.
La messa sotto accusa di Yingluck richiederà i tre quinti dei voti del parlamento. Chi non accetta la messa sotto accusa potrebbe ancora farcela se non altro perché gli attuali sforzi di riscrivere la costituzione promettono dei metodi più sottili e durevoli di limitare il potere del Puea Thai.
Le proposte in circolazione suggeriscono che la giunta sia propensa ad appoggiare una camera bassa eletta da un sistema proporzionale e da un senato nominato. Questa ipotesi dovrebbe tener fuori qualunque partito populista o permettere ad un governo eccessivo di essere buttato fuori. Un’altra clausola potrebbe permettere ad un uomo dell’esercito di essere primo ministro come fu nel periodo degli anni 80. Mettere le pastoie ai seguaci di Thaksin richiederebbe pazienza, una virtù che nella politica Thailandese manca
The ECONOMIST