“…La Thailandia non ha vacillato nel suo impegno verso la democrazia. Si stanno facendo dei progressi e la stesura della nuova costituzione e il processo di consultazione devono terminare per legge per settembre. Dopo la sua promulgazione, la Thailandia avrà delle elezioni con più partiti all’inzio del prossimo anno. Formulare un giudizio affrettato del contenuto della costituzione o persino presumere che non si terrà un referendum non è appropriato…
Come per ogni paese la Thailandia deve bilanciare la propria sicurezza nazionale e le libertà civili. La legge marziale è necessaria per mantenere la sicurezza pubblica. Avendone avuto abbastanza di proteste di strada e violenza a caso, la popolazione thai non è colpita da questo atto di deterrenza. La legge marziale comunque dovrà essere cancellata prima delle elezioni per permettere una campagna vibrante di partecipazione.
Non ci sono prigionieri politici in Thailandia e l’ex primo ministro Yingluck Shinawatra avrà il processo dovuto nella nostra corte suprema.
La Thailandia mira a raggiungere il governo democratico dove i principi fondamentali di buon governo, trasparenza e responsabilità siano rispettati. Inoltre le leggi contro il traffico contro l’uomo e la pornografia contro i fanciulli per migliorare ulteriormente la protezione dei diritti umani sono portati avanti per essere trasformati in legge.”
A questa retorica, risponde un editoriale del giornale TheNationMultimedia che di certo non è conosciuto, in questi ultimi anni, per le sue istanze antigolpiste.
La Comunità internazionale resta scettica delle affermazioni del governo thai della riforma democratica.
Le falsità non aiuteranno la Thailandia a salvare la propria reputazione internazionale vosì tanto sporcata dal governo antidemocratico e dalle violazioni dei diritti. Infatti la propaganda e le negazioni che vengono pompate fuori dal ministero degli esteri e dai suoi inviati all’estero stanno facendo fare al regno una figura anche peggiore.
Gli ambasciatori thailandesi hanno subito il colpo della forte critica internazionale del golpe del 22 maggio e del governo della giunta. I diplomatici e il personale del ministero si trovano in una posizione difficile. Non avendo la libertà di dare la propria interpretazione degli sviluppi politici del paese, devono invece seguire la linea ufficiale del loro governo militare. Comunque i paesi esteri hanno altre fonti di informazioni, spesso più affidabili, tra le quali le loro ambasciate in Thailandia, i media delle notizie, gruppi dei diritti locali ed internazionali. Gli sviluppi che accadono a Bangkok raggiungono le orecchie a Washington, Nuova York, Londra, Pechino e Tokyo nel giro di qualche minuto se non di secondi. Pochi fatti si possono nascondere dalla vista nella nostra società relativamente aperta.
Ma il fatto fondamentale della preoccupazione internazionale è la presa del potere dei militari da un governo democraticamente eletto. Il consenso internazionale di lungo termine è che le elezioni sono il solo modo legittimo di cambiare un governo. Quindi finché il governo thai resta non eletto e sostenuto dai militari, i paesi chiameranno la Thailandia uno stato autoritario. In modo simile, finché resterà in vigore la legge marziale, ci si può attendere la critica delle violazioni dei diritti fondamentali qui. E finché la costituzione che si sta scrivendo conterrà elementi antidemocratici, gli stranieri si chiederanno dell’impegno dei governi thailandesi verso la riforma democratica.
La proposta di un Senato non eletto è solo uno degli esempi. Se si avrà, gli elettori ordinari perderanno la propria voce nella composizione dell’osservatorio potenti dei contrappesi sulla branca dell’esecutivo. Senza un senato eletto, come possiamo chiamare a rispondere quelli che hanno il compito importante di mettere sotto analisi la legislazione del governo? Un senato eletto ha funzionato abbastanza bene sotto la costituzione del 1997, ed allora perché cambiare il sistema? E come potrebbero difendere i diplomatici thai questo cambiamento come “riforma democratica”?
Sfortunatamente non avranno grandi possibilità in questa questione. Vari diplomatici thailandesi hanno già detto alle loro controparti, paesi ospitanti e media internazionali che la Thailandia non ha prigionieri politici. Finché resta in carcere della gente a causa del loro credo politico o delle leoro azioni politiche, il governo non può attendersi di essere creduto quando afferma che non ci sono prigionieri politici.
Secondo Amnesty International, 665 individui sono stati arrestati o detenuti per aver resistito agli ordini della giunta nei tre mesi dopo il golpe. Tra loro quasi cento persone hanno visto la accusa penale, mentre altri 50 le corti militari.
Anche peggio per le decine di individui accusati ed indagati per presunta lesa maestà, sotto una legge draconiana imposta per mettere la museruola ai critici della monarchia. Naturalmente tanti paesi democratici hanno anche leggi per proteggere i propri capi di stato, ma la versione thailandese ha una vasta critica internazionale che afferma che il potere qui usa la legge come strumento politico contro l’opposizione. I sospettati raramente hanno la libertà condizionale e molti sono trattati come se fossero degli assassini, sebbene spesso non sia chiaro come le loro parole o espressioni offensive possano aver danneggiato la monarchia.
Il mondo sa cosa succede in Thailandia. Negazioni ed offuscamenti non ci aiuteranno a riguadagnare il posto sul palcoscenico internazionale. Perché succeda, abbiamo bisogno di una riforma democratica genuina.