Nella notte del 25 gennaio i commandos appartenenti alla SAF della Polizia Nazionale Filippina si infiltrarono nella città meridionale di Mamasapano, roccaforte del MILF. L’unità scelta Seaborne era giunta per Zulkifli Abdhir, un bombarolo malese conosciuto meglio come Marwan.
Alla fine della mattinata in tanti erano morti.
L’episodio ha gettato tanto discredito sulla amministrazione del Presidente Aquino, messo in pericolo decenni di progressi sui colloqui di pace con i separatisti Moro, e ha sottolineato i pericoli per i governi del mondo in via di sviluppo che si mettono al servizio di Washington.
Il comando riuscì ad uccidere Marwan che era ben in alto sulla lista dei ricercati principali della FBI. Ma allora scoppiò l’inferno, I separatisti si svegliarono ed aprirono il fuoco contro chi si era intrufolato costringendo i commando a lasciarsi indietro il corpo di Marwan. Si sono dovuti accontentare di aver tagliato l’indice della mano da consegnare alla FBI.
Nel tornare indietro, nove dei comando dell’unità Seaborne furono uccisi. Chiamarono aiuto con le radio, ma fu detto loro che “la forza di rapido intervento” incaricata di coprire la loro ritirata era stata costretta già a combattere in un terreno di campo di mais, piatto senza copertura. Nelle poche ore seguenti, quella unità separata di 36 uomini fu beccata uno alla volta dai cecchini Moro. Solo uno dei 36 sopravvisse scappando e saltando nel fiume vicino.
Tutti i 44 poliziotti morirono in quella battaglia sanguinosa. I combattenti Moro stimarono che morirono 18 dei loro compagni e 4 civili.
Uno sforzo di salvataggio improvviso non fu neanche provato, dal momento che il battaglione della fanteria nell’area non ricevette informazioni, fino alla tarda mattinata, che il comando era già sotto tiro. Quando chi monitora il cessate il fuoco alla fine raggiunse il campo di mais nel tardo pomeriggio, parecchio dopo che la battaglia era terminata, trovò cadaveri che erano stati deprivati delle loro armi ed altri oggetti, alcuni con ferite che indicavano che erano stati uccisi da vicino.
Il morto principale: l’autonomia Moro
Il “massacro di Mamasapano”, come ora è chiamato, ha sovvertito la politica filippina. Il caduto più eccellente è stato la Legge Fondamentale Bangsamoro che si trovava all’ultimo passo dell’approvazione da parte del Congresso Filippino. Conosciuta come BBL, la legge è il prodotto di cinque anni di intensi negoziati tra il governo e il MILF per porre fine a quasi 50 anni di guerra nelle Filippine meridionali. Avrebbe creato una regione autonoma per i Moro Musulmani, popolazione fortemente indipendente che hanno tanto resistito all’integrazione nel sistema di governo filippino.
A causa delle grandi emozioni presenti nella maggioranza cristiana, l’approvazione parlamentare della BBL è stata messa in pericolo minacciando un possibile ritorno alle ostilità. Alcuni politici hanno cavalcato l’incidente per rafforzare i pregiudizi contro i musulmani tipici della cultura dominante, non tanto per deragliare le prospettive di un’autonomia Moro, quanto per le proprie ambizioni politiche.
Nelle indagini parlamentari, i fatti legati all’incursione sono stati sezionati, sulla televisione nazionale, dagli altii ufficiali dell’amministrazione. Le loro sensazioni sembravano prendere tutte le sfumature della colpa, del dolore, dell’incredulità e del risentimento per il non essere “tra chi sapeva” della pianificata incursione.
L’elemento decisivo nella conoscenza dell’operazione, sembra, fu il deliberato ritenere delle informazioni da persone chiave al vertice della Polizia e delle Forze Armate. Solo il presidente, il comandante del SAF e il capo della polizia, Purisima, sapevano della missione. Sebbene sospeso dll’incarico per accuse sulla corruzione, Purisima, un amico stretto del presidente, fu effettivamente incaricato dell’operazione, bypassando il capo di polizia facente funzione e il ministro dell’interno, che nulla seppero della missione fino al compimento del disastro.
Dalle audizioni è emerso il seguente quadro della tragedia: Chi concepì e implementò la missione per prendere Marwan scelse di non informare i capi della gerarchia militare e della polizia. Ignorarono e sconvolsero le procedure attentamente negoziate per l’accesso al territorio elaborate tra il MILF, governo e Paesi Terzi incaricati del monitoraggio.
I militanti MILF, insieme a quelli estremisti del BIFF, risposero quella mattina a ciò che percepirono come una vasta forza di invasione. Una volta che la battaglia iniziò divenne difficilissimo per i capi di comprendere l’intento del comando e sistogliere le proprie forze dallo scontro.
Sembrava evidente anche che alcuni poliziotti feriti furono uccisi con colpi a breve raggio in stile di una esecuzione sommaria, sebbene non sia chiaro ancora chi sia stato il responsabile di queste atrocità.
La Mano Americana
Il grande dubbio per molti fu perché un governo che si trovava negli stadi terminali di un negoziato di accordo sull’autonomia per porre fine ad una guerra di 50 anni avrebbe messo in pericolo questo obiettivo, che è una eredità tra le più grandi del presidente Aquino, con una incursione con comando di larga scala nel territorio Moro senza informare i partner del negoziato.
Per un sempre più grande numero di persone la risposta deve avere a che fare in qualche modo con Washington. Infatti le impronte digitali di Washington sono su tutta l’operazione. C’erano 5 milioni di taglia posti sulla testa di Marwan dagli americani. Un elicottero americano apparve nell’area subito dopo il grosso scontro a fuoco presumibilmente per evacuare i feriti. Il dito di Marwan scomparve dopo la battaglia per ricomparire in un laboratorio della FBI negli USA qualche giorno dopo.
Gli ufficiali filippini sulla questione della partecipazione americana hanno avuto le bocche cucite, invocando la sicurezza nazionale o scegliendo di far rivelazioni solo in sessioni parlamentari esecutive. Quindi è stato un impegno dei media provare la partecipazione americana all’incursione.
Forse la fonte più affidabile di queste prove è il giornale Philippine Daily Inquirer, che scoprì che un drone americano aveva individuato il nascondiglio di Marwan, guidando il comando su di esso e dando le capacità per una gestione in tempo reale da parte dei comandanti filippini lontano dall’area di battaglia. I consiglieri americano sarebbero stati quelli che avevano vietato di informare le alte gerarchie dell’esercito, del MILF e della polizia del raid sulla base dell’assunzione che le informazioni avrebbero raggiunto Marwan.
Alla fine il piano originale fu di fondere i due gruppi di azione, i comandos dell’unità Swaborne e della Forza di Pronto intervento. Ma quella fu rigettata dai consiglieri americani che volevano che la prima facesse il raid vero e proprio, mentre l’altra desse una copertura, paino che si dimostrò disastroso. L’unità Seaborne si capì era stata addestrata da Navy Seal in pensione e funzionava come unità speciale americana dentro le forze speciali filippine. Resta da essere individuato fino a che punto è giunto il coinvolgimento americano nell’operazione, ma è ora chiaro a molti che prendere Marwan era una grande priorità di Washington, non di Manila. Come ha detto un parlamentare, la tragedia di Mamasapano era un caso di “americani che lottavano fino all’ultimo uomo filippino”.
Chiuso nel Bunker
Mentre emergono sempre più i dettagli della Mano Americana, cresce la pressione sul Presidente Aquino di ammettere la complicità in una operazione diretta da Washington che lui ha finora rifiutato di fare.
Aquino si trova sotto un fuoco enorme da parte dei nazionalisti che lo hanno criticato precedentemente per aver negoziato un patto che permette agli USA di usare basi filippine per implementare la politica di Obama “Pivot to Asia” per contenere la Cina.
Già sotto attacco per aver posto un ufficiale di polizia sospeso al comando della missione fatale e rifiutando di ammettere la propria responsabilità di comando, l’accusa di aver sprecato vite filippine per un progetto americano sembra aver costretto il presidente a chiudersi ancor più in un bunker creando l’impressione diffusa di uno scostamento della direzione politica di cui possibili golpisti e altri avventurieri, che non mancano nelle Filippine, potrebbero avvantaggiarsi.
C’è una postilla personale a ciò. Come membro del parlamento filippino, ho ritirato il mio sostegno personale al presidente Aquino quando lui si è rifiutato di accettare la responsabilità di comando per l’operazione. Dal momento che il mio partito resta alleato all’amministrazione, ho dato le dimissioni da rappresentante parlamentare del partito.
Walden Bello, Foreign Policy in FOcus