Quest’anno le Filippine ospiteranno il Summit dell’APEC, Cooperazione economica dell’Asia Pacifico, e ci si aspetta che parteciperanno il presidente cinese Xi Jinpeng e il ministro degli esteri Wang Yi.
Questo incontro darà l’opportunità per tutte le parti di ravvivare i canali diplomatici sfilacciati di alto livello. I legami tra i due paesi si sono deteriorati drammaticamente sin dal 2012 a causa principalmente delle dispute territoriali nel Mare della Cina Meridionale.
Il dialogo informale tra Xi Jingping e la sua controparte filippina, Presidente Aquino, tenutosi a Pechino lo scorso anno, segnò il primo incontro diretto trai due capi di stato che fece sorgere speranze di relazioni bilaterali più conciliatorie.
Sfortunatamente ci sono segnali crescenti che il 2015 sarà un altro anno di sfide. Di recente Wang ha difeso i lavori controversi di reclamo di terra e la costruzione di impianti nelle acque controverse definendoli “legali e giustificati” accusando gli altri reclamanti di fare delle costruzioni illegali. Gli altri reclamanti sono Malesia, Filippine, Vietnam, Brunei e Taiwan.
Quella salva segue altri segni di acrimonia crescente come la decisione recente dei rappresentanti filippini di allontanare 18 esperti cinesi impiegati nella National Grid Corporation delle Filippine, di cui il 40% è di proprietà della State Grid Corporation of China.
Indirettamente il governo filippino ha sollevato le preoccupazioni legate alla sicurezza nazionale come una base per negare il rinnovo del visto al personale cinese che sono coinvolti nell’operare, mantenere ed espandere la rete elettrica filippina.
Lo scorso mese le Filippine avrebbero dovuto aggiungere altri argomenti al Tribunale dell’Arbitrato de L’Aia che sta esaminando il caso formale di Manila contro i reclami marittimi totali della Cina, l’espansione delle attività paramilitari e di costruzione nel mare cinese meridionale.
Pechino, che preferisce una diplomazia bilaterale, il dialogo e la consultazione, si è opposta fortemente alla richiesta di Manila per un arbitrato obbligatorio denunciandolo come atto provocatorio.
La Cina ha di recente risposto speronando tre pescherecci filippini che navigavano vicino alla Scarborough Shoal, o Bjo de Masinloc, una formazione contestata che si trova a quasi duecento chilometri da Subic Bay nelle Filippine e novecento dalla costa cinese più vicina. Questa formazione era stata occupata dalle forze paramilitari cinesi dopo un pericoloso stallo con la Marina Filippina a metà 2012.
Tra le continue tensioni in mare, il ministro degli esteri filippino Albert del Rosario invitò l’ASEAN a mostrare unità ed esibire una maggiore risoluzione, mettendo in guardia che la mira presunta della Cina di “stabilire un controllo totale” sul Mare Cinese Meridionale rappresentava uno spartiacque per la credibilità dell’ASEAN.
Le ultime immagini satellitari del CSIS di Washington indicano un’espansione delle attività costruttive cinesi nella catena di isole delle Spratly dove Pechino pare stia costruendo strutture artificiali che possano servire scopi sia civili che militari. Per esempio una formazione di rocce strategica fortemente contestata Fiery Cross Reef è stata espansa artificialmente di undici volte, con una guarnigione di 200 militari cinesi nell’area.
Il ministero della Difesa Filippina stimano che la Cina abbia completato metà dei suoi progetti di reclamo nella Fiery Cross Reef che potrebbe ospitare, per la fine dell’anno, una sua base aerea come preludio possibile per l’imposizione di una Zona di Identificazione della Difesa Aerea nel Mare Cinese Meridionale.
Questa rappresenta una fragrante violazione della Dichiarazione del Codice di Condotta delle Parti nel Mare Cinese Meridionale, il quale scoraggia esplicitamente gli stati reclamanti di alterare unilateralmente lo status quo.
In risposta le Filippine hanno deciso di andare avanti nella ristrutturazione delle sue costruzioni sulle formazioni contestate in particolare la pista aerea sull’isola di Thitu, la seconda maggiore formazione della catena delle Spratly.
Rigettando l’accusa di Pechino di “ipocrisia”, Manila contesta che i suoi lavori di “ristrutturazione” non sono assolutamente comparabili con le attività di reclamo massiccio che, in modo permanente e decisivo, alterano la natura delle formazioni contestate, violando palesemente la legge internazionale. Sembra che l’ASEAN abbia notato questa situazione allarmante.
Durante l’incontro dei Ministri degli Esteri a Kota Kinabalu, all’inizio di quest’anno, il ministro degli esteri Anifah Aman affermò che i partecipanti all’incontro di due giorni “condividevano la preoccupazione di alcuni ministri sul reclamo di terra nel Mare Cinese Meridionale”.
Nelle settimane seguenti, nell’incontro dei rappresentanti della Difesa dell’ASEAN a Kuala Lumpur, la guida dell’ASEAN spinse per porre nell’agenda del Asean Defence Ministers’ Meeting Plus, che si terrà a novembre, il DOC e il codice di Condotta.
C’è un cauto ottimismo che, con il subentro di Singapore a paese coordinatore delle relazioni ASEAN Cina, ci sarà un atteggiamento più attivo sulla questione del codice di condotta.
I capi di Singapore sono stati sempre più attivi nella loro richiesta di una risoluzione basata su regole alle dispute nel Mare Cinese Meridionale. Il ministro degli esteri di Singapore Shanmugam affermò di recente che il suo paese era impegnato ad affrontare le preoccupazioni crescenti sul “quanto il progresso sul Codice di Condotta fosse un po’ attutito rispetto a come era portato avanti il reclamo della terra” e che Singapore condivide “l’obiettivo comune di provare a fare quanto più possibile per ottenere un documento appropriato sul Codice di Condotta”.
Ci sono grandi attese che l’ASEAN produca qualcosa su questa questione.
E ci sono per lo meno segnali crescenti che tutti i membri asiatici fondamentali si sono rifiutati di chiudere l’occhio sulla posizione cinese.
E’ proprio giunto il momento che l’ASEAN accresca gli sforzi per implementare il DOC e negoziare i contorni finali di un codice di condotta nella regione. L’alternativa è che gli stati reclamanti in ansia, come le Filippine, non abbiano altra scelta se non quella di affidarsi a strategie alternative per respingere il comportamento deciso cinese.
Richard J. Heydarian, Thestraitstimes.com