Forse il progetto multirazziale di Singapore è come un debole castello di carte che non potrebbe sopravvivere ad altri 50 anni?
Da 50 anni, il miscuglio variopinto di razze e religioni di Singapore è stato mantenuto insieme da un quadro legale rigido che non solo obbliga all’integrazione, ma punisce duramente coloro che provano a lacerarne il tessuto sociale.
Ma mentre il paese raggiunge la mezza età, l’approccio che l’ha resa un faro dell’armonia interrazziale in un mondo spinto da tensioni etniche comincia a trovarsi sotto pressioni senza precedenti.
A minare lo status quo ci sono due fattori, un ciberspazio senza restrizioni e una voce sempre più forte ed attiva della popolazione singaporeana. Mentre Singapore ha sempre avuto leggi dure contro chi provocava la cattiva volontà ed ostilità tra razze, queste leggi non sono mai state applicate fino allo scorso decennio, testimonianza della stabilità raggiunta.
L’articolo della Legge di Sedizione che rende un reato “la promozione dei sentimenti di malevolenza e di ostilità tra razze differenti o classi di popolazione” è lì sin dal suo inizio dal 1948 al 2005. Ma negli scorsi dieci anni non meno di 16 persone sono state indagate in base alla legge della sedizione o secondo l’articolo del codice penale per reati contro la razza e la religione.
Si trattava di giovani blogger che facevano affermazioni senza senso ma alcuni di loro, come Amy Cheong del National Trades Union Congress, erano professionisti che comunque non riuscivano a trattenersi dal mostrare il proprio razzismo sui media sociali. La serie di incidenti ha iniziato tante scritture e ricerche di identità tra la gente di Singapore.
Alcuni temono che una nuova generazione, per la quale le violenze razziali sono solo lezioni di scienze sociali, prenda per garantito la coesione sociale conquistata a duro prezzo di Singapore, e la sacrifichi sull’altare millenario della espressione senza senso della propria personalità. Altri credono che siano messi in mostra i limiti dell’approccio governativo del multicuturalismo per legge e che rivelino che sia solo una forma senza contenuto.
Forse il progetto multirazziale di Singapore è come un debole castello di carte che non potrebbe sopravvivere ad altri 50 anni?
Singapore, nel 1965, fu costretta a lasciare la Malesia perché i suoi capi fondatori non avrebbero accettato un sistema in cui le razze non fossero uguali. I primi anni della nazione furono guastati da tensioni razziali volatili che portarono alla creazione di un sistema che richiedeva alle varie razze di lavorare, vivere, fare il militare e persino eleggere i propri rappresentanti assieme. L’Agenzia della Casa ha un sistema di quote in un sistema di proprietà pubblica che può essere posseduta da una razza, una mossa che assicura che non si possano formare in queste proprietà alcuna zona di minoranza. Lo schema della rappresentanza richiede un gruppo di candidati delle razze di minoranza per garantire la rappresentatività delle razze in parlamento. Nella ricerca urgente di voler costruire una nazione eterogenea, ad ogni gruppo furono chiesti e accettati dei sacrifici.
Per esempio i Cinesi abbandonarono come lingua franca il mandarino mentre i Malay accettarono che il vestito religioso non potesse essere indossato in alcuni lavori pubblici. Ma, consci della spinta della identità religiosa e razziale, il governo fece delle concessioni ad ogni gruppo. Furono create Scuole di assistenza speciale dove il cinese dominava ancora, mentre furono garantiti suoli finanziati per moschee e scuole terziare finanziate per gli studenti malay musulmani.
Sin dal 1964 Thaipusam, Panguni Uthiram e Thimithi divennero le sole processioni religiose a piedi permesse. Nel frattempo il governo si prese l’onere di spiegare ai singaporeani la propria strategia che stava dietro queste decisioni. “Ci atteniamo più alle cose in comune che alle proprie differenze” disse nel 2013 il ministro Teo Chee Hean. Dove si riesce ad accomodare il desiderio dei gruppi razziali e religiosi senza approfittare dello spazio comune, c’è il permesso o si trova il compromesso.
Per esempio, le donne malay musulmane posso indossare il fazzoletto, hijab, nei settori pubblici come le scuole, o come partecipanti alla parata nazionale. Ma non possono indossarlo con le loro uniformi da infermiere negli ospedali pubblici o da poliziotti. Mentre non si possono suonare gli strumenti musicali durante la processione del Thaipusam, ci sono alcuni punti statici lungo il percorso dove si può suonare la musica.
Ma ultimamente molti lamentano della natura arbitraria di queste regole e chiedono più spazio per praticare i propri costumi e tradizioni. Se i capi della comunità cinese vogliono più scuole SAP o se le donne musulmane vogliono indossare hijab con le uniformi, la crescente religiosità e l’espressione personale spinge sui perimetri dello spazio comune issato dal governo.
Lo scorso anno tre cittadini furono arrestati alla processione del Thaipusam per vari reati dopo che si erano scontrati con i poliziotti che li fermarono mentre suonavano le percussioni indiane tradizionali.
Alcuni analisti ritengono che i 50 anni di politica governativa dura fatta di divieti sulla razza e sulla religione ha lasciato la nuova generazione ignara o incosciente dello sforzo di bilancio richiesto in una società con diverse religioni e razze. Il governo si vede come colui che aggiudica tra le forze in competizione e protettore dello spazio comune. Ma la sua posizione centrale ha creato un’ignoranza tra i gruppi stessi dell’effetto di palla di neve che si potrebbero avere se si desse seguito alle loro richieste.
Alcuni credono che la recente serie di arresti e accuse di promozione di malevolenza razziale ha anche rivelato che la sensibilità verso gli altri gruppi non è radicata nel corpo dei singaporeani. Ma l’invocare le leggi dure contro i commenti senza senso ed improvvisati di per sé preserva qualcosa di superficiale, dicono alcuni. “C’è un effetto non voluto di limitare lo scambio aperto per paura di poter provocare una reazione violenta o di essere accusati. La gente evita di fare domande difficili e di avere un dialogo per paura di essere definito razzista o peggio ancora di voler iniziare uno scontro razziale” dice Mathew Mathews di IPS.
Poi c’è una terza forza che assume la forza di un flusso costante di stranieri ed immigrati che vengono a vivere e lavorare a Singapore e che si portano costumi e culture nuovi. Uno dei 16 individui indagati nei passati dieci anni secondo la legge che vieta la promozione della malevolenza razziale era un infermiere filippino, Ello Ed Mundsen Bello, che si ritrovò accusato per dei commenti su Facebook.
Negli anni che vanno dal 2006 al 2010 la popolazione crebbe di oltre un milione di persone a causa dell’immigrazione che creò un certo disorientamento tra i locali e che portò ad un contraccolpo elettorale per il partito di governo nelle elezioni del 2011. Dal 2010 il tasso di influsso di stranieri fu calibrato scendendo a 80 mila l’anno nel 2011 e a 20 mila lo scorso anno. Ma il contingente straniero a Singapore è ancora il maggiore di sempre. Nel 2013 il paese fu colpito da alcuni disordini a Little India dove folle di lavoratori stranieri incendiarono auto della polizia e dell’emergenza.
La scena scioccante riportò alla memoria di gente anziana i disordini razziali del 1964 e 1969 quando morirono 40 persone. Ma i disordini non causarono morti e la calma fu restaurata nel giro di qualche ora. A far scoppiar il tutto f l morte di un lavoratore indiano che guidava un bus. Ma le autorità dissero che fu l’alcol a giocare un grande ruolo. Gli osservatori aggiunsero che il differente quadro culturale dei lavoratori indiani e del Bangladesh, compreso una relazione antagonista con l’applicazione della legge, contribuì allo scoppio dell’incidente.
A marzo è stata approvata nell’isola una legge di vasto scopo che proibisce di bere in pubblico dopo le 10,30 di sera, e nei giorni di fine settimana a Geylang e Little India. La legge ha avuto anche i suoi critici come molti giovani che la vedevano come una misura esagerata che avrebbe colpito la vibrante vita notturna della città. Tale ripercussione, la tensione ed il dibattito sono ora di rigore nella sfera pubblica di Singapore e continueranno ad esserlo sulla questione della razza, religione e cultura. E’ la crescente diversità di punti di vista e credi tra i singaporeani che sono la fonte ultima della pressione sull’attuale approccio del governo.
Il credo un tempo unanime nella società multirazziale per legge ha lasciato il posto a punti di vista in competizione se il governo fa troppo poco o troppo per nulla. Ma Singapore affronta questo stato di flusso da una posizione di forza. Dopo tutto i dibattiti sulla società multirazziale e multiculturale sono globali, mentre tanti paesi si confrontano con situazioni più urgenti e violente.
I fondamenti del progetto multirazziale di Singapore, non solo l’uguale trattamento per tutti i gruppi ma anche le uguali responsabilità poste su tutti i gruppi per il compromesso, per l’aggiustare, accettare e tollerare, restano forti. Questa determinazione non è di tipo innato, ma deve essere continuamente riesaminato e alimentato da ogni generazione nuova.
Come ha scritto l’ex ambasciatore negli USA Chan Heng Chee, l’integrazione “non è una condizione che si possa prendere per certa… Non è come se una società possa attraversare il limite per diventare una società integrata, e poi che l’integrazione non possa essere distrutta o guastata”.
Ci sono voluti 50 anni per costruire una società armoniosa multirazziale e multiculturale ma la sua lacerazione richiederebbe molto meno tempo.
Rachel Chang, Jakartapost.