La crisi del Mare delle Andamane, o come è stata definita la questione R, sembra volersi dirigere verso una soluzione almeno temporanea per le pressioni internazionali sui paesi coinvolti come Malesia, Indonesia, Thailandia e Birmania, seppure con differenti sfumature. Ovviamente se non cambia la posizione del governo birmano, che considera i Rohingya come popolazione bengali e non una propria minoranza etnica, che li discrimina e alimenta una potenziale situazione di genocidio, questa questione R, come Rohingya, non migliorerà affatto e si ripresenterà sempre, alimentando drammaticamente il traffico degli schiavi nella regione.
La Birmania ha già detto che darà la propria disponibilità a combattere il traffico di schiavi che non sarebbe alimentato dalla situazione nello stato Rakhine.
E’ comunque un passo la disponibilità di Indonesia e Malesia di ospitare temporaneamente gli emigranti dispersi in mare, con un periodo temporale di un anno. Ma cosa accadrà a chi è ancora è in mare con alimenti e acqua che sono sempre scarsi se non si lanciano immediatamente azioni di ricerca e salvataggio? Per ora la Turchia invierà proprie navi che opereranno in tal senso, e le Filippine si sono dette disposte a partecipare ad una missione dell’ASEAN in tal senso ed a ospitare chiedenti asilo certificati dall’ONU.
L’agenzia AP dice che secondo l’ONU ci sarebbero almeno 3000 migranti ma in realtà nessuno è in grado di dare cifre attendibili. All’inizio della crisi si parlava di almeno 6000 persone ma già ora si tratta di 3000 Rohingya musulmani e Bangladeshi che sono giunti in Indonesia Malesia e Thailandia.
Per la Malesia è lo stesso primo ministro Najib ad aver ordinato alla marina di setacciare il mare alla ricerca di navi di profughi, divenendo il primo paese a fare una ricerca attiva. Sono stati messi a disposizione 4 imbarcazioni e 3 elicotteri, mentre Indonesia e Thailandia restano silenziosi a riguardo temendo di diventare obiettivo di un’ondata anche maggiore.
Sull’accoglienza il vice Presidente Indonesiano Jusuf Kalla ha detto che il suo governo è pronto ad ospitare i Rohingya (sempre per un anno) scappati dalla Birmania mentre i Bangladeshi saranno riportati a casa. Cosa accadrà dopo non è ancora chiaro e tutti si affidano alla cooperazione internazionale e alla possibilità di trovare spazio in paesi terzi.
L’Australia ha già detto che assolutamente non ospiterà alcun profugo, mentre prova con tutta la forza a esportare i profughi e gli immigrati clandestini nella Cambogia.
Posizione opposta è stata fata dagli USA dove il Dipartimento di Stato ha affermato la volontà degli USA di prendere dei Rifugiati Rohingya come parte dello sforzo internazionale per affrontare la crisi. La portavoce Marie Harf ha detto che gli USA sono preparati ad assumere il ruolo guida in uno sforzo di più paesi organizzato dall’ONU per sistemare i rifugiati più vulnerabili.
Un gruppo bipartisan di parlamentari USA hanno detto che faranno tutti gli sforzi perché il mare delle Andamane non si trasformi in una tomba e che sono necessarie pressioni sulla Birmania perché affronti la questione R e le radici strutturali di questa crisi.
La Thailandia ha detto di non potersi permettere altri immigrati poiché è sovraccarica di decine di rifugiati birmani, ma ha fatto sapere che darà assistenza umanitaria e “non respingerà i profughi finiti nelle acque territoriali thai”. Non è chiaro del futuro di tali persone e se i Rohingya potranno stabilirsi in modo permanente.
(varie agenzie)
La Turchia, i profughi Rohingya e la questione R
La decisione turca di inviare una nave a salvare i Rohingya in mare è un altro momento della potenza soffice turca al lavoro. La Turchia gioca un ruolo visibile nelle operazioni di soccorso in altre parti del mondo proiettandosi come un potenza musulmana benevola e guadagnandosi la fiducia di comunità musulmane non turche.
Mentre le nazioni dell’ASEAN lavorano a trovare una soluzione all’esodo dei Rohingya nelle acque del Sud Est Asiatico, un paese non appartenente all’ASEAN si è unito nello sforzo, la Turchia. Il 19 maggio il premier Ahmet Davotuglu ha detto che una nave da guerra turca era in viaggio verso la regione con l’intenzione di salvare i Rohingya che si possano essere pesi in mare; allo stesso tempo collabora con l’Organizzazione Internazionale della Migrazione di stanza in Giacarta.
Che la Turchia abbia voluto coinvolgersi nella questione R è interessante sia in termini dei propri tempi e modi in cui ha scelto di farlo. Si deve notare che il contributo Turco è giunto nella forma di una nave la cui missione è di intercettare e salvare i Rohingya in mare. La Turchia non ha assolutamente detto qualcosa sulla crisi politica interna alla Birmania che porta a questo esodo, e finora, in primo luogo, non ha fatto affermazioni critiche di accusare alcuna parte o agente per l’esodo Rohingya.
Per oltre un decennio la Turchia si è proiettata all’estero attraverso l’aiuto umanitario. Alcune di queste operazioni sono state di vasta scala e ben gestiti dall’inizio alla fine guadagnandosi il rispetto delle comunità che ha aiutato. E’ importante notare che questa nuova iniziativa non è la prima nel Sud Est Asiatico. L’ultima volta giocò un ruolo visibile ad Aceh in Indonesia a seguito dello Tsunami del 2004.
Questo intervento fu molto pubblicizzato e ben accetto dagli acenhesi stessi. Nel corso delle mie interviste con gli acenesi si notava ancora una volta che gli acenhesi erano felicissimi che uno stato musulmano era venuto in loro soccorso in tempi di crisi, e in tanti ricordavano i resoconti storici dei legami tra il regno di Aceh e l’impero ottomano.
Non solo le operazioni di soccorso erano ben gestite come logistica e capacità di raggiungere i punti, ma anche i turchi riuscirono a risvegliare la memoria storica di tanti acehnesi per i quali l’eredità dell’Impero Ottomano era positiva, ricordando che i turchi assistettero un tempo la lotta degli acehnesi contro il governo coloniale.
Allora notai anche l’immensa popolarità della bandiera turca che rassomiglia molto a quella del Movimento di Libera Aceh che era stata vietata dal governo indonesiano. Tanti acenesi vollero prendere la bandiera turca esponendola alla finestra con orgoglio.
Dopo nel 2005 ero presente ad un’altra operazione turca di aiuto nel Kashmier, dopo un grande terremoto che si ebbe lì. Le operazioni turche furono ancora una volta molto ben gestite. I turchi portarono non solo medicine e rifornimenti, ma anche vestiti nuovi donati dalle industrie manifatturiere turche. La Turchia era allora un grande produttore di accessori e moda di lusso, perché le compagnie occidentali avevano ricollocato molte industrie in Turchia per i costi inferiori e gli alti standard di qualità.
Come in Aceh, la gente del Kashmir lodò i turchi, come anche la delegazione cinese, su tutti. I turchi diedero medicine, vestiti nuovi ed erano seguaci musulmani. L’affinità culturale e politica tra i turchi ed i Kashmiri e gli acenesi si rivelò un fattore cruciale di unità che altre agenzie di aiuto occidentali non avevano.
La decisione turca di inviare una missione di salvataggio dei Musulmani Rohinga nel mare delle Andamane deve essere vista come un altro momento della potenza soffice turca al lavoro, dove la consegna di aiuti e assistenza umanitaria, particolarmente ad altre comunità musulmane in bisogno, le farà guadagnare il rispetto, il riconoscimento che è il risultato necessario di una politica di potenza soffice sofisticata al lavoro.
Non sorprende che la Turchia abbia deciso di giocare un ruolo nella crisi della questione R, poiché per oltre un decennio è stata una politica del governo turco di perseguire tale politica pacifica di potenza soffice. I costi economici e materiali sono stati relativamente bassi ma i dividendi internazionali come il prestigio, l’onore e l’amore per la Turchia sono stati alti.
Qui è importante notare che la Turchia finora non ha attaccato o criticato il governo birmano per il come tratta i Rohingya, restando fuori dal conflitto politico in quel paese.
In questo moto non si è resa antagonista al governo, ma si è presentata come potenza benevola che è giunta nella regione, non per immischiarsi quanto per salvare, una posizione politica saggia che non le è costato politicamente in Asia.
Un altro forse non previsto guadagno del coinvolgimento turco è che ha accresciuto le azioni nella questione R, e forse potrebbe costringere gli altri stati dentro e fuori l’ASEAN q giocare un ruolo più energico nella risoluzione del problema Rohingya. Ma persino qui la posizione turca non è di giudizio e il primo ministro turco ha spiegato il coinvolgimento turco in termini puramente umanitari evitando le cadute del discorso da realpolitik.
Quindi questa strategia a basso rischio sembra giocare a vantaggio della Turchia rafforzandone l’immagine senza crearsi dei nemici nel processo.
FARISH NOOR, RSIS.EDU.SG