Le Filippine dovrebbero apprendere la lezione tattica che Hanoi e Tokyo possono dare col loro approccio alle diatribe in mare con la Cina
Le crescenti tensioni territoriali nel Mare Cinese Meridionale costano qualcosa alla comunità cinese filippina nelle Filippine.
Di recente uno dei più celebrati scrittori filippini si è spinto fino a mettere in dubbio la lealtà verso lo stato della comunità cinese nel caso do uno scoppio di guerra con la Cina, creando una vigorosa risposta negativa da parte di intellettuali filippini di origine cinese.
Piano piano, diventa chiaro che la contrapposizione territoriale delle Filippine con la Cina non solo si porta i rischi di una guerra nelle acque contese e di un declino brusco degli investimenti cinesi. Gli scambi diplomatici sempre più tossici tra Pechino e Manila si riflettono in un linguaggio antagonista uguale, se non più duro, nella sfera pubblica. Sempre più cittadini della rete hanno innalzato tensioni interetniche minando l’eredità orgogliosa del multiculturalismo filippino.
Qualunque analisi oggettiva addossa la colpa alla Cina per aver accresciuto le tensioni territoriali nella regione, che a sua volta implica che il comportamento di Pechino è fondamentale nella risoluzione delle dispute. Eppure le Filippine possono ancora imparare una lezione tattica dai vicini sul come gestire meglio le dispute attuali e il migliore accordo col gigante cinese.
La diplomazia non è solo mobilitare gli amici e gli alleati contro i propri nemici, ma anche mantenere i propri nemici vicino e in pace provando a gestire le differenze con i nemici più amari.
Per tanto tempo, le Filippine hanno mantenuto una considerevole armonia tra la popolazione a maggioranza cristiana e la minoranza, ma altamente influente, diaspora cinese nel paese, molti dei quali si sono convertiti al cristianesimo, hanno imparato la lingua locale e si sono integrati totalmente. Mentre tutti sanno che gli uomini di affari cinesi sono tra i più ricchi del paese, presiedendo i più grandi conglomerati che alimentano l’economia recente filippina, pochi hanno messo in evidenza come tante delle figure politiche del paese provengano dal serbatoio dei meticci cinesi filippini.
Il padre fondatore delle Filippine, Josè Rizal, ha un monumento nel suo villaggio ancestrale a Qongque a JinJiang. L’attuale presidente Benigno Aquino III e la madre compianta Corazon hanno sempre messo in evidenza la loro linea ancestrale cinese. Una testimonianza del alla forte linea cosmopolita delle Filippine post-coloniali è che non c’è mai stato nulla che sia assomigliato alle proteste anticinesi che hanno colpito i paesi vicini come Malesia, Indonesia e Vietnam dei decenni ultimi.
Ma la minaccia di guerra tra Filippine e Cina nel Mare cinese meridionale ha reso visibile nel discorso pubblico le tensioni etniche da lungo dormienti. Nel frattempo nei regimi auocratici come la Cina, hanno preso a crescere i sentimenti antifilippini. Se le cose continuano così, i discorsi antagonisti e i pregiudizi potrebbero cristallizzarsi, nel futuro, in una lobby potente e popolare contro qualunque compromesso diplomatico, minando le prospettive di una risoluzione pacifica nelle dispute nel mare cinese meridionale su base bilaterale.
Nelle Filippine, sempre più persone sono giunte a vedere la Cina come una nuova Unione Sovietica, dedita a ingrandimenti territoriali e impegnata nel diffondere l’ideologia comunista. Oggi si sentono comunemente persone descrivere la Cina come un bullo con cui non si deve negoziare.
In Cina sempre più persone vedono i Filippini some dei guastafeste che spesso reagiscono agli ordini del loro vecchio colonizzatore, gli USA. In breve la politica di rischio calcolato tra stati sta andando sul discorso pubblico rafforzando i pregiudizi e nutrendo i calcoli strategici da gioco a somma zero.
L’amministrazione Aquino e specialmente il ministro degli esteri Alberto Del Rosario, ha sempre affermato che la diplomazia con la Cina praticamente non porta frutti. La politica di base è di guadagnarsi il massimo sostegno internazionale ed affidarsi a manovre legali intrinsecamente incerte verso la Cina.
Ma le Filippine non sono sole nel ricevere la politica cinese attiva: Tokyo ed Hanoi si sono trovate intrecciate in simili posizioni territoriali con Pechino.
La Cina è stata per decenni, se non secoli, l’arcirivale del Giappone, mentre l’identità molto nazionale del Vietnam si è forgiata con lotte vecchie di millenni contro il proprio vicino settentrionale. Eppure entrambi i paesi sono stati dinamici e creativi nel rapportarsi alla Cina senza compromettere gli interessi territoriali.
Nonostante il grande srallo nel Mare Cinese Meridionale, il capo nazionalista giapponese, Shinzo Abe, ha scommesso moltissimo quando ha cercato un dialogo formale con Xi Jinping durante l’APEC di Pechino del 2014. Appena dopo quella goffa stretta di mani, Cina e Giappone hanno ripreso i colloqui al massimo livello tra i ministri degli esteri e della difesa aprendo la strada a varie misure di costruzione della fiducia per gestire le dispute territoriali ed evitare scontri accidentali nelle acque contese.
Per quanto riguarda il Vietnam, durante il periodo più intenso del confronto, si fece in quattro per rafforzare i leegami con la Cina. Dopo aver ospitato il consigliere capo della politica estera cinese Yang Jiechi, il Vietnam inviò un rappresentante di spicco Le Hong Anh a Pechino per raffreddare le tensioni, seguito dalla creazione di una terza hotline trra le due agenzie più rilevanti. Agli inizi di quest’anno il capo del Partito Nguyen Phu Truong fece una visita di alto profilo a Pechino per esplorare ulteriori meccanismi per prevenire un’altra crisi da “ricerca petrolifera” e mantenere legami economici forti tra i due vicini.
Per Hanoi e Tokyo era importante assicurarsi che il confronto territoriale con la Cina non conducesse al conflitto e minasse i legami critici economici con Pechino. Allo stesso tempo non ha impedito loro di rafforzare la loro posizione sul terreno rafforzando la loro presenza vicino alle acque contestate e rafforzare le loro capacità difensive.
Di contro Aquino e Xi Jinpeng devono ancora avere un singolo summit formale, devono ancora sottoscrivere la prima linea calda e gli investimenti cinesi nelle Filippine sono state effettivamente congelati. Ovviamente da parte più potente Pechino dovrebbe prendere l’iniziativa e fare i necessari compromessi per mostrare la propria buona volontà.
Ma anche Manila può scegliere una lezione tattica da imparare da Hanoi e Tokyo che hanno seguito l’avviso del pensatore italiano Macchiavelli che disse:
“Tieni stretto i tuoi amici ma ancor di più i tuoi nemici”.
Richard Javad Heydarian, TheDiplomat