In questa settimana, in Thailandia, inizia il processo per diffamazione contro Alan Morrison e Chutima Sidasathian, giornalisti del Phuketwan, intentato dalla Marina Reale Thailandese, per una indagine della Reuters riprodotta sul sito Phuketwan, secondo l’articolo 328 del codice penale thailandese che prevede una condanna fino ad sette anni di carcere.
In quell’articolo, che risale a luglio 2013, si denunciava la tratta di schiavi a carico delle popolazioni Rohingya, che dalle coste della Birmania finivano in una rete che traversava Thailandia e Malesia, operata da una rete di trafficanti con solidi legami nelle strutture della sicurezza thailandesi, particolarmente la Marina Thai che non poteva non essersi accorta di quanto succedeva.
Nel paragrafo incriminato si denunciava che la Marina Thailandese, o almeno suoi elementi, aveva ricevuto denaro per chiudere un occhio su quanto accadeva lungo le coste investite dal traffico.
Chutima ed Alan di Phuketwan avevano inoltre prestato, nell’occasione dell’inchiesta, assistenza ai giornalisti della Reuters nelle traduzioni e nell’identificazione delle aree dove si svolgeva materialmente il traffico di schiavi.
Scrive Lawyers Rights Watch Canada scrive:
“Il procedimento contro Chutima e Morison dalla Marina Reale Thailandese sembra essere causato per risposta al legittimo giornalismo dei diritti umani degli accusati e per lo scopo illegittimo di punire l’esercizio legale della libertà di espressione….. Le accuse portate secondo la legge della diffamazione non soddisfano gli standard internazionali dei diritti umani; la legge della diffamazione e del crimine informatico sono vaghe e troppo vaste, impongono sanzioni penali sproporzionate e contravvengono gli obblighi legali internazionali della Thailandia di assicurare che tutti dentro il suo territorio possono esercitare il loro diritto legale alla libertà di espressione senza il rischio di accuse penali”.
Questo è tanto vero che poi quanto denunciato dai due giornalisti ha trovato il giusto riscontro proprio questo anno con la scoperta di campi di concentramento e fosse comuni per profughi ed emigranti sia nella Thailandia del profondo meridione che nella vicina Malesia.
Come tutte le autorità thailandesi, che nel meridione hanno una forte concentrazione di forze di sicurezza, non si siano accorte di quanto succedesse è qualcosa che devono spiegare. Finora un solo generale in pensione è stato portato in tribunale per questo traffico di schiavi, ma le condizioni di impunità sono talmente forti da minacciare persino molti testimoni che hanno denunciato questo traffico.
Ma della Marina Thailandese, che deve proteggere le coste del paese e che già alcuni anni fa rigettò in mare un barcone con tanti Rohingya, non è emerso nulla.
Dopo la scoperta di questi campi della morte e delle fosse comuni, a gran voce è stato chiesto al generale Prayuth e alla sua giunta di prosciogliere Chutima Sidasathian e Alan Morrison dalle accuse penali, ma dopo tante parole di lode ed inviti alla collaborazione, le accuse sono tutte in piedi.
La cosa è ancor più tragica se si pensa che la Reuters ed i suoi autori, che hanno ricevuto un premio giornalistico Pulitzar per questa inchiesta, non hanno ricevuto nessuna denuncia dalle autorità thailandesi. Ancora più scandaloso è stata la mancanza di sostegno della Reuters stessa ai due giornalisti sotto accusa.
Scrive Giornalisti Senza Frontiere
“Il processo di questi due giornalisti, che hanno solo fatto il proprio lavoro per aver dato le notizie con grande professionalità, pone un grande pericolo per le voci indipendenti in Thailandia che vogliono usare la propria libertà di espressione ed informazione….. Invitiamo il ministro Prayuth e il suo governo militare a porre fine all’intimidazione dei media. Devono comprendere che i media non minacciano la sicurezza nazionale o la stabilità politica ma al contrario migliorano la società….”
Sul quotidiano australiano News.co.au vi è un’intervista ad Alan Morrison che, dopo anni di lavoro come giornalista in Australia, decide nel 2002 di andare in Thailandia e di aprire nel 2008 Phuketwan, resasi famosa per le sue indagini sul traffico umano ma anche per un rapporto di collaborazione con la polizia locale.
Alan dice che il giornalista australiano Petr Greste, in carcere in Egitto dal dicembre 2013 a febbraio 2015, è vissuto nel lusso se si paragonano le condizioni con le prigioni di Phuket.
“La gente costretta a vivere secondo la dieta delle prigioni thai perde peso presto” dice Alan che definisce le prigioni thai come sconvolgenti.
“Difficile avere visite mediche e dentistiche. Alla mia età non sono sicuro di poter sopravvivere”.
… Dice che lui e Chutima sono preparati alle tribolazioni emotive del loro processo, del peso sopraggiunto della morte dei due padri entro pochi giorni qualche settimana fa.
“Vedere la morte dei nostri padri senza poter passare del tempo con loro si aggiunge a questo cupo risentimento contro questo processo ingiusto.” dice Alan Morrison. “Mentre Chutima potè avere il sostegno del padre, mia sorella ha pensato che fosse meglio non dire nulla a mio padre quando l’ho visto a febbraio l’ultima volta. Non saprò mai cosa avrebbe potuto pensare ma da veterano della seconda guerra mondiale ed io figlio di un veterano di Gallipoli, credo che avrebbe voluto che facessi questa battaglia…. Non voglio essere un martire. Siamo preparati a prenderci il rischio per ottenere la sola possibile conclusione che di impedire che queste leggi siano applicate agli altri”
In una lettera inviata alle autorità Thai hanno espresso la profonda amarezza per quello che è successo ma allo stesso tempo non hanno nulla per cui chiedere scusa: “Non abbiamo intenzione di chiedere perdone per qualcosa che non abbiamo fatto. E’ una questione di principio molto importante.”