Benché Roxas non sia nelle prime posizioni dei sondaggi elettorali, per Aquino, Roxas rappresenta la continuità del suo programma elettorale, “Il Retto Percorso”, e l’uomo con le abilità specifiche per esser presidente.
Se sarà il solo supporto presidenziale a far volare Roxas è tutto da vedere. Finora tra i preferiti dei sondaggi c’è l’ex vicepresidente Binay che, negli anni di sindaco di Makati, è riuscito a guadagnarsi il sostegno popolare ma che è attualmente sotto tiro per alcuni casi di corruzione.
Poi vi è la nuova entry di Grace Poe, moglie di un attore filippino sconfitto fraudolentemente da Arroyo alle elezioni presidenziali. Grace Poe fu sostenuta proprio da Aquino a correre per il Senato dove si è fatta conoscere per la sua posizione sull’incidente infame di Mamasapano. Grazie a questo incidente la Poe è salita al primo posto nei sondaggi. Aquino, forse anche temendola come possibile concorrente alla presidenza, le ha offerto la vicepresidenza. La questione resta aperta ma la Poe ha già fatto sapere che, qualunque cosa possa decidere, lo slogan de Il retto percorso non è a solo appannaggio di Aquino o di Roxas.
Nell’articolo che segue si discute di quale potrà essere la politica estera filippina con un nuovo presidente e la possibile politica tattica cinese.
Perché la politica estera filippina verso la Cina non cambierà nel dopo Aquino, di Richard Javad Heydarian
Nei due anni scorsi, vari governi, imprese e studiosi della Regione Asia Pacifico mi hanno ripetutamente domandato una sola cosa, se la fine del Mandato del Presidente Aquino porterà il paese ad un nuovo tipo di relazioni bilaterali con la Cina. Nei prossimi mesi le Filippine entreranno nella stagione elettorale e, mentre i candidati di varie estrazioni politiche si cimenteranno per la posizione massima, simili domande diventeranno sempre più forti.
Alcuni analisti hanno persino affermato che l’amministrazione Aquino è da accusare principalmente per lo stato penoso delle relazioni bilaterali con Pechino, indipendentemente dalle implicazioni strategiche del comportamento aggressivo cinese nelle sue rivendicazioni territoriali nel mare cinese meridionale. Persino nelle Filippine, dove la maggioranza della popolazione ha espresso il suo gradimento verso l’attuale presidente con un 57% in un sondaggio, alcuni giornalisti si sono spinti oltraggiosamente ad affermare Aquino è totalmente responsabile per le attività di reclamo cinese di suolo nelle isole contese e per la sempre più forte assertività nel pacifico occidentale.
Non sarei sorpreso se il governo di Pechino stia semplicemente attendendo un nuovo governo a Manila prima di esplorare la possibilità di un dialogo più serio. Non è difficile immaginare che la Cina sia in attesa di qualcuno con cui crede di poter trattare ed Aquino non è tra quelli.
Comunque uno sguardo più attento alla politica interna filippina mostra come la prossima amministrazione avrà un limitato spazio di manovra contro la Cina, se la parte più forte non dovesse fare, prospettiva improbabile, qualche genuino compromesso.
E’ semplicemente una buona politica che un capo politico voglia essere visto come un duro sulla questione cinese. Facendo l’opposto di sicuro si mette a rischio la propria carriera politica.
Uno degli aspetti più interessanti della guida Aquino è la sua enfasi costante sulla moralizzazione in un reame che è visto come amorale: gli affari di stato. Figlio di due figure politiche più riverite nella storia moderna del paese, non ha mai mancato di descrivere la propria discesa nella politica come uno sforzo morale per redimere una nazione caduta, liberare il paese dalla corruzione e riformare le istituzioni dello stato.
Sin dagli inizi, Aquino lanciò quella che per certi aspetti sembra una crociata morale contro il suo predecessore, Gloria Macapagal Arroyo, e la sua tenuta nel governo. Il suo motto “Il retto percorso” o del buon governo appare più come una visione morale per una nazione etica che una strategia da XXI secolo mirata a migliorare le strutture di governo in un mercato emergente.
In tanti modi Aquino è ritornato alla comprensione premacchiavellica della politica, dove guida politica e moralità sono inseparabili. Per Aquino il fine non giustifica i mezzi, almeno secondo il modo in cui ha cercato di descrivere il suo tipo di guida politica. Incredibilmente Aquino ha esteso la sua politica morale, moralpolitik, nel campo della politica estera, dove ha cominciato a partire dal 2012 a delineare la posizione filippina con la Cina, come una guerra di Davide contro Golia, in cui il giusto trionfa sul potente.
Con la visione della politica attraverso il prisma della moralità, l’amministrazione Aquino ha fatto un investimento pesante nella sua battaglia legale, intrinsecamente incerta, contro la Cina. E’ un approccio che alimenta il senso di trovarsi nel giusto del paese, ma forse non aiuta necessariamente la risoluzione delle dispute in mare nel Mare cinese meridionale.
L’amministrazione Aquino ha persino tergiversato sull’adesione alla Banca di investimento asiatica per le infrastrutture (AIIB) guidata dalla Cina e sul dare il benvenuto su grandi investimenti cinesi nel paese. Oggi le Filippine sono uno dei pochi paesi della regione a non contare sulla Cina come principale partner commerciale.
All’inizio dell’anno Malcom Cook, un esperto della regione, si è spinto a dire che “le elezioni presidenziali filippine del 2016 potrebbero portare ad un brusco cambiamento” della politica filippina verso la Cina. Dopo tutto le relazioni bilaterali hanno goduto di una breve luna di miele nel periodo di Arroyo, mentre uno dei candidati più forti delle prossime elezioni, che ora perde sostegno tra i suoi elettori, ha ripetutamente espresso la sua preferenza per un approccio più pragmatico verso la Cina.
Sebbene molti filippini siano scettici verso la politica estera del proprio paese, credere che con le sue dimissioni potrà cambiare radicalmente la politica estera filippina non è giusto. Prima di tutto, nel passato, specie durante il governo della Arroyo, c’era pochissima coscienza pubblica delle dispute territoriali nel mare cinese meridionali, cosa che dava spazio ad accordi difficili che avevano poco scrutinio esterno.
In contrasto, oggi le dispute marittime con la Cina attirano costantemente l’attenzione pubblica che porta tanti studiosi, giornalisti e persino gruppi della società civile a mobilitarsi senza sosta per analisi aggiornate sul modo in cui le Filippine si confrontano con la Cina.
Inoltre il comportamento aggressivo cinese, con l’occupazione forzata della Bajo de Masinloc del 2012 e delle attività massicce recenti di reclamo di suolo nella catena delle Spratly, ha riacceso il pregiudizio antico contro il comunismo, la Cina e persino quelli che hanno radici cinesi. La gran parte dei filippini vedono la Cina come una minaccia e il 93% sono preoccupati di una prospettiva di guerra del mare cinese meridionale. Di certo non aiuta il linguaggio combattivo del governo Aquino.
Per molti filippini, persino parlare di trovare un modo di parlare con la Cina è visto come una sconfitta. L’amministrazione Arroyo, che sottoscrisse con la Cina un accordo di sviluppo congiunto molto segreto e controverso che continuò con accordi di affari pieni di corruzione, riuscì a lasciare un’impressione molto negativa tra i filippini che talvolta percepiscono la diplomazia come un eufemismo di resa alla Cina.
Non c’è da meravigliarsi quindi che i principali alleati a Washington e Tokyo se la prendano comoda. Detto francamente non credo che la prossima amministrazione cambierà in modo significativo la politica estera filippina verso la Cina.
Richard Javad Heydarian, THEDIPLOMAT