La politica da bulldozer e cicli economici alternati, che hanno colpito la nazione per decenni, dovrebbero prevenire politici ed elettori dal considerare garantita l’attuale situazione rosea. Lo stesso Aquino teme che la sua agenda riformista del Retto Percorso sia a rischio mentre per lui il tempo sta terminando, impossibilitato costituzionalmente a presentarsi di nuovo.
E non c’è certezza sulla sua scelta del successore di integrità, il ministro dell’interno Roxas, possa vincere le elezioni.
Nella cultura politica patronale di Manila sembra che i bravi ragazzi finiscono ultimi. La dice lunga il fatto che Roxas nelle indagini di popolarità si trovi dopo il vice presidente Binay nonostante quest’ultimo sia indagato di corruzione. Aquino ha lottato per controllar la corruzione rampante. Ma, come sanno bene i filippini, i guadagni sudati tendono a dispendersi facilmente. Ci volle una rivoluzione popolare per cacciare l’ex presidente corrotto Estrada.
Tuttavia Estrada fu poi assolto da una commissione anticorruzione per partecipare alle elezioni presidenziali ed è ora sindaco di Manila, nonostante la sua condanna per appropriazione indebita.
In una nazione dove “Perdono e dimenticanza sono due parole che si confondono spesso”, per dirla con le parole di Richard Heydarian, il retto percorso verso la riforma politica resta ancora un percorso incerto.
I paesi vicini sperano che la traiettoria dell’econmia filippina non finirà di nuovo nell’incertezza. Sotto Aquino il paese ha segnato una crescita impressionante dal 2010 e reso il periodo “la fase più vibrante della nostra economia in 40 anni”, come ha detto lo stesso Aquino. E’ una esuberanza giustificata: Il debito del paese è salito dal grado di immondizia a quello di investimento, è cresciuto molto l’investimento estero diretto, la disoccupazione è scesa e la spesa dei consumatori è fiorita. Anche la regione ne trarrà beneficio se si manterrà questo momento per un’altra metà decade e oltre così che il paese possa capire il proprio potenziale di diventare uno dei mercati di consumo più grandi dell’ASEAN.
A mettere il pericolo questa prospettiva sono una mancanza di continuità politica, governo debole e crescita sbilanciata che lascia il 28% della sua popolazione nella povertà profonda secondo varie stime. I filippini forse si possono vantare di aver trasformato il paese dal “malato dell’Asia” a tigre economica, ma raggiungere i propri vicini richiederà la persistenza di alcuni anni. Come se non fosse sufficiente il continuo rimestamento della politica di Manila, il paese deve affrontare i rischi di stabilità interna (nella regione di Mindanao e Sulu), attività terroristiche e le condizioni atmosferiche di El Nino che di volta in volta porta sfacelo.
Senza una azione politica risoluta le previsioni potrebbero essere cattive anche in altre sfere.
EDITORIALE di TheStraitsTimes