Fino a quando il governo non riconoscerà il massacro di Tak Bai come un’atrocità sponsorizzata dallo stato, la rabbia a Narathiwat continuerà ad alimentare l’insorgenza.
Dopo oltre dieci anni dal Massacro di Thak Bai, l’incidente continua a perseguitare la Thailandia.
Tanti governi di seguito sono stati perseguitati da allora dalla controversia, ma nessuno ha mai risposto alle domande poste dall’evento in modo soddisfacente.
Ora Niran Pitakwatchara della Commissione nazionale dei diritti umani chiede all’amministrazione di Prayuth di dare un quadro temporale chiaro al processo di ricerca di giustizia per le vittime di Tak Bai per poter sanare le vecchie ferite.
“Sono passati dieci anni. Abbiamo bisogno di trovare una fine a questa cosa o finirà in un limbo come tanti altri casi”.
Il 25 ottobre del 2004 oltre un migliaio di Malay musulmani lanciarono una protesta di fronte alla stazione di polizia di Tak Bai di Narathiwat chiedendo il rilascio di di sei “Volontari della difesa del villaggio, detenuti perché sospettati di sostenere l’insorgenza nell’area.
I volontari facevano parte di un accordo della sicurezza che in fretta erano stati mobilitati dal governo di allora, ma la strategia era destinata al fallimento sin dall’inizio. I volontari non avevano ricevuto un addestramento opportuno alle armi prima che fosse loro chiesto di rischiare la vita sul fronte per lo stato. Eppure un decennio dopo il governo sembra ripetere quell’errore ponendo sulle spalle dei residenti locali l’onere della sicurezza come parte di un’iniziativa definita “Modello di Thung Yang Daeng”.
Nel 2004 manifestanti disarmati di Tak Bai furono circondati da forze di sicurezza. Furono sparati colpi nella folla con la morte di almeno sette persone. I restanti manifestanti maschi furono picchiati, presi a calci e accatastati con la forza sul retro di camion militari destinati ad un campo militare di Pattani.
Il governo poteva sostenere che c’era una legge marziale in piedi e le manifestazioni di massa erano proibite. Ma in realtà il massacro fu creata dalla condotta delle forze di sicurezza e non alla legge. Il contesto era quello di una cultura dell’immunità di lungo tempo tra le forze di sicurezza nel meridione malay musulmano, dove l’attuale insorgenza ha fatto oltre 6000 vite dal gennaio 2004 quando si accese l’attuale ondata violenta.
Quando i mezzi di trasporto raggiunsero la destinazione, la base di Ingkayuthboriharn, 78 persone erano morte di soffocamento, risultato inevitabile dell’essere legati e accatastati con la faccia in giù, uno sull’altro. L’incidente creò tanta rabbia tra la gente radicalizzando una nuova generazione di insorgenti malay musulmani.
Niran dice di voler un chiaro quadro temporale per l’azione una volta che il governo ha riconosciuto le raccomandazioni del Consiglio Giusto. “Discutiamone chiaramente sulle soluzioni all’incidente”
Naturalmente il massacro è stato un enorme masso che ingombra i colloqui di pace tra governo e ribelli. Il Consiglio ha chiesto al governo di stabilire comitati per gestire le proteste e le assemblee nel meridione e di iniziare un processo per aiutare vittime e famiglie.
Il vice primo ministro Prawit Wongsuwan ha detto che la questione sarà sull’agenda del prossimo cosiglio dei ministri e che sarà il ministero dello sviluppo sociale e umano a seguire le raccomandazioni.
Promesse simili di sanare le ferite del massacro di Tak Bai sono state già fatte dalle autorità rivelandosi però promesse vuote. Durante il governo di Surayud Chulanont il primo ministro chiese scusa per l’incidente a nome del governo. Ma l’apparato dello stato e gran parte della popolazione salutò con indifferenza la sua affermazione. Dopo di che, la Thailandia ha dissipato qualunque possibilità di costruire sull’espressione del rimorso.
In società considerate aperte e libere, massacri di questa scala hanno spinto a costruire monumenti per commemorare la tragedia ed esprimere il rimorso dello stato. E’ una sfortuna che la Thailandia non voglia intraprendere quella strada. La discussione di risarcimenti finanziari per le famiglie delle vittime, invece, è un inizio ma finché non riconosciamo la vera scala del massacro di Tak Bai, in tanti cuori resteranno aperte le profonde ferite.
EDITORIALE del THENATIONMULTIMEDIA