Questo villaggio posto alla fine di una stradina sporca, piena di buche nel Delta del Fiume Irrawaddy sembra la roccaforte naturale per gli ex generali che governato la Birmania.
I suoi abitanti, coltivatori di riso in maggioranza, sono tutti buddisti e privi di istruzione, e vivono in una società che è ancora governata dalle tradizionali gerarchie delle campagne birmane di secoli fa.
Il capo politico locale è il presidente nazionale del partito di governo sostenuto dai militari. Durante una sosta nella sua campagna elettorale, promise di asfaltare la strada e costruire un ospedale, per poi incontrare l’abate del tempio a cui regala una veste color cremisi.
Come tanti contadini, ha detto di preferire l’opposizione, NLD guidata dall’eroina della democrazia Aung San Suu Kyi. “Non ci è permesso coinvolgerci nella politica” dice di sé e dei suoi monaci. “Ma ad essere onesti preferiamo NLD.”
In questo paese povero che non ha tradizioni di sondaggi elettorali, non esiste un modo per prevedere in modo affidabile il risultato delle prossime elezioni nazionali di domenica. A cinque anni dalla fine della brutale dittatura militare i militari restano ancora potenti, e controllano non solo il governo ma hanno anche il potere di nominare un quarto dei seggi in Parlamento oltre i responsabili di vari ministri chiave.
Ma se può servire come guida questo villaggio, il cuore del paese è con Aung San Suu Kyi, i cui comizi nel paese hanno attirato folle impazzite, mostrando che il suo sostegno va oltre gli abitanti delle città ben connesse ad internet che hanno già manifestato il loro sostegno sulle pagine di Facebook, oppure alle celebrità che già hanno trasmesso il loro affetto per La Signora.
Queste elezioni nazionali rappresentano la prima opportunità per l’opposizione di strappare il potere dai militari, ora rappresentati da ex generali che hanno gettato le loro uniformi per dirigere nominalmente un governo civile. In una regione dove il governo democratico segna un regresso o è minacciato, queste elezioni nazionali sono osservate da vicino da Pechino, l’ex stretto alleato del paese, e Washington, dove l’amministrazione ha promosso il proprio ruolo in una transizione verso la democrazia relativamente pacifica sebbene ancora insicura.
Aung San Suu Kyi, colma di entusiasmo e fiducia durante una conferenza stampa a casa sua a Yangoon, ha promesso di costruire un “governo di riconciliazione nazionale” se il suo partito vince. Ma anche se la costituzione le vieta di diventare presidente, non ha lasciato dubbi su chi comanderà. “Sarò al di sopra del presidente” ha detto ed ha aggiunto di “aver fatto già i piani” per dirigere il governo se il suo partito prende la maggioranza.
Ha definito la Costituzione, che fu scritta dai militari, “molto stupida” promettendo di cominciare il processo per emendarla in un nuovo parlamento. Sebbene dica di non avere rancore verso i militari, Aung San Suu Kyi è stata per un quarto di secolo il loro principale antagonista. I suoi anni di arresti domiciliari sotto il governo militare hanno appena scalfito la sua immagine come icona della democrazia.
La sua attuale campagna sembra essere attraversata dallo stesso ardore delle elezioni suppletive di tre anni fa, quando il suo partito prese tutti e quattro i seggi della capitale, Naypyidaw, dove gli elettori sono impiegati ed ex soldati.
Il partito di governo per contrastare la sua popolarità ha cercato di esaltare i sentimenti nazionalisti e la propria posizione come difensori del buddismo di fronte alle minacce esterne dei musulmani lungo i confini col Bangladesh.
I capi del partito di governo apparivano alle manifestazioni dell’ombrosa organizzazione buddista Ma Ba Tha, guidata da monaci buddisti ostili alla minoranza musulmana e critici della stessa Aung San Suu Kyi.
Il governo approvò precedentemente alcune leggi che prendono di mira i musulmani e che, tra l’altro, rendono difficile per una donna buddista di sposare un musulmano. Quest’anno inoltre un cambio della legge ha tolto il diritto di voto a tantissimi musulmani.
Chi si batte per il dialogo tra le fedi ha messo in guardia che villaggi come Kwun Chan Kone, ad appena cinque ore dalla città più popolosa Yangoon possono essere vulnerabili al messaggio nazionalista, antiislamico a causa del loro relativo isolamento e del potere che i monaci e i rappresentanti del governo hanno all’interno di una cultura gerarchica e feudale.
La propaganda del partito di governo ha distribuito manifesti che mettono in guardia contro “una invasione straniera” e della “distruzione” del buddismo.
“Se la religione nazionale è distrutta o si erode piano piano, non avremo una possibilità per ricostruirla.” dice un manifesto distribuito da una parata di trattori che montavano il messaggio nazionalista buddista per la protezione della “razza e la religione”.
Eppure in questo villaggio come in altri circostanti, il messaggio nazionalista buddista sembra essersi ritorto contro.
Ashin Zawtika era inizialmente aperto agli sforzi del Ma Ba Tha per promuovere e proteggere il buddismo: “Ma quando hanno cominciato ad occuparsi di politica, non ci siamo fidati più. Manipolano le questioni per poter vincere”.
Unabitante dice che un altro monaco di un villaggio vicino ha ricevuto tanto materiale propagandistico, ma si è rifiutato di distribuirlo.
U Aye Cho, che vive in un vicino distretto e vende noce di betel, aiutò ad aprire un centro di donazioni per Ma Ba Tha all’inizio dell’anno, ma lui ed i suoi amici sono critici ora verso l’organizzazione. “Loro sostengono una parte. Sono andati troppo in là. Non ha avuto successo perché era troppo ovvio”.
Aung San Suu Kyi ha detto che ogni sforzo per usare la religione per scopo politico era incostituzionale, e ha minacciato di lanciare denunce presso la commissione elettorale.
Ma in un altro esempio della portata dell’influenza dei militari, il capo della commissione elettorale è un ex militare che ha espresso la propria fedeltà ai militari ed al partito di governo.
Indipendentemente da come finirà, Human Rights Watch ha descrittto questa elezione come “fondamentalmente viziate”.
“Vedere delle manifestazioni elettorali di massa è un segno positivo ma non compensano un sistema elettorale che sistematicamente favorisce un partito sull’altro” dice Brad Adams di HRW “Solo perché i partiti politici non hanno altra scelta che giocare contro le carte truccate non vuol dire che le carte non lo siano”.
Aung San Suu Kyi ha anche lasciato aperto la possibilità di contestare l’imparzialità delle elezioni nazionali, dicendo che il processo elettorale era già stato “meno libero e giusto”.
Gli agricoltori guardano con attenzione e attendono cosa accadrà. Aung San Lwin, un lavoratore che vive con 2 dollari al giorno nei campi, dice che stava ancora decidendo a chi votare.
“Ci domandiamo, però, se il governo trasferirà i poteri se vince Daw Suu.”
Thomas Fuller, NYT