Mentre è passato un anno e mezzo dal golpe del maggio 2014 senza che si intraveda la prospettiva di un’elezione democratica, un militante democratico nonché scrittore, Pakawadee Veerapaspong, sostiene che il processo di riforma politica è una parola vuota se non si ha anche la riforma delle forze armate.
Come un film già visto il generale Prayuth, allora comandante dell’esercito, la sera del 22 maggio 2014 annunciò alla televisione che i militari avvano lanciato un golpe ed avevano formato un consiglio nazionale per la pace e l’ordine, NCPO, da lui stesso presieduto per governare il paese con l’aiuto della legge marziale. Dopo mesi di repressione contro figure politiche ed il dissenso, il generale Prayuth divenne Primo Ministro e diede inizio al processo di riconciliazione nazionale e di riforma per eliminare la corruzione e conseguire la vera democrazia.
Per i sostenitori del PDRC la giunta attuale che ha aggiunto popolo al motto “Nazione, religione e monarchia”, potrebbe tirar fuori il paese da un decennio di limbo politico attraverso la sua “riforma prima delle elezioni”. Per chi ama la democrazia il paese è sprofondato ulteriormente nel circolo vizioso di golpe che a ripetizione hanno bloccato il processo democratico del paese approfondendo la crisi politica.
Il Prachatai ha intervistato Pakawadee Veerapaspong che ha tenuto un comizio davanti al quartier generale dell’Esercito a Bangkok il 31 ottobre 2015 in cui ha affermato che se i militari non ritornano nelle loro baracche e lasciano l’arena politica per sempre, la riforma politica è solo una parola vuota.
Qual’è stata la risposta delle autorità?
Finora non c’è stata risposta, ma non credo che risponderebbero in un modo positivo. Non sono abituati ad essere criticati, per non dire l’essere criticati in pubblico da una donna comune al picco del loro potere.
Perché credi che ci sia bisogno di una riforma delle forze armate?
La risposta ovvia è che i golpe accadono in modo ripetuto in Thailandia che è uno dei paesi in cui i golpe accadono più spesso. Il fatto che il nostro paese soffre ancora in questo momento storico per i golpe, quando altri paesi in via di sviluppo si sono mossi verso la democratizzazione, suggerisce che c’è qualcosa che non va nel nostro paese. Myanmar ha tenuto un’elezione generale mentre per i thai non esiste una prospettiva di una elezione a breve. Deve esserci qualcosa di sbagliato. Insisto nel dire che uno dei grandi ostacoli alla democratizzazione sono i militari. La loro forma mentale, la loro influenza, gli interessi e il coinvolgimento nella politica thai fanno arretrare il paese. Se i thai non considerano seriamente e se non perseguono la riforma delle forze armate, la democrazia in Thailandia sarà in pericolo se non del tutto abolita.
Ci sono state molte discussione sulla riforma delle forze armate. Perché credi non sia mai diventata una realtà?
L’opportunità più favorevole nella stria contemporanea fu dopo il maggio di sangue del 1992, quando ci fu una richiesta popolare affinché i militari tornassero nelle baracche per dire che i militari non devono intervenire negli affari civili. Ci fu anche una domanda forte in cui si affermava che il premier deve provenire da una elezione. C’era un’atmosfera di governo civile. Ma sfortunatamente non prendemmo al volo il momento buono facendo i passi necessari per riformare i militari nel modo opportuno. Non riformammo le scuole militari per cambiare i valori e la forma mentale dei giovani soldati. Non toccammo i grandissimi interessi che i militari ancora hanno. Non migliorammo il percorso di carriera degli ufficiali basandolo sul merito piuttosto che sulle conoscenze. Non rendemmo più trasparente e responsabile il budget dei militari. Abbiamo ancora accettato l’impunità per chi si è reso responsabili dei massacri. In quel momento eravamo soddisfatti di vedere i militari inchinarsi di fronte alla volontà popolare e lasciare la scena.
Si è dimostrato che abbiamo sbagliato. Non si sono mai sottomessi alla volontà popolare e col tempo si sono vendicati. Ma la cosa più scioccante è il fatto che un vasto numero di persone, alcuni dei quali nel passato furono testimoni dei massari, ora scelgono di stare dalla loro parte o giustificare il golpe. Questo fenomeno indica quanto siano stati bravi i militari e l’elite nel manipolare la propaganda e quando debole sia la volontà popolare. Secondo me, indipendentemente dall’ideologia o dalla classe, i thai devono ancora comprendere quanto sia importante a riforma delle forze armate per il paese e la democraazia. Ogni volta che c’è disordine o instabilità per il paese la gente guarda ai militari come ultima risorsa prima di ricominciare da capo, che sia il 1992 o il 2006. Ci furono alcune proteste lo corso anno ma su scala minore rispetto al 1992 o al 2010.
Credi che il paese abbia bisogno della leva obbligatoria?
Concordo con quei movimenti che si oppongono alla leva obbligatoria. Diversamente dalla Corea del Sud, la Thailandia non è in uno stato di guerra. Non ci sono conflitti con paesi vicini come li può avere il Giappone con la Cina. Il commercio che si ha per le nostre frontiere è grande ed il mercato dei beni dei paesi vicini dipende più o meno da noi. Non c’è possibilità di guerra per il futuro. I giovani thai perciò non dovrebbero perdere tempo con la leva obbligatoria. Il governo dovrebbe piuttosto investire le risorse nel preparare il giovani alla competizione nel settore economico.
Cosa intendi quando dici che i militari non devono monopolizzare il nazionalismo e patriottismo?
La forma mentale dei militari è ferma alla guerra fredda. Verso la gente provano una miscela di paura, sfiducia e disprezzo. Non credono che la gente sappia pensare da sola, non tollerano le differenze o i disaccordi. Quindi quando accade un disaccordo, che è normale in ogni società viva, tendono a vederla come instabilità o scisma nella nazione. Sottolineano troppo il conformismo. Qualunque differenza di opinione deve essere eliminata, è vista come tradimento, sedizione o, quando va meglio, comportamento indesiderato. Tutto questo non fa bene per una società democratica.
Quanto sono unite le forze armate thai reali?
Dal momento che la carriera di un ufficiale non dipende dal sistema meritocratico quanto dalle sue connessioni, non ci si dovrebbe attendere unità in una istituzione del genere. Contrariamente al credo pubblico, la competizione non traduce il disaccordo in organizzazione, ma lo fa il favoritismo. Se si è promossi in base al merito non c’è molto da lamentarsi. Nonostante i loro inviti all’unità della gente, i militari stessi non sono mai stati uniti. Sono sempre stati divisi per classe, gruppi, fazioni, forze e legami. Se si leggono i giornali thai degli ultimi 40 anni, si vede che accade sempre un disaccordo tra gli ufficiali di alto grado e ancora colpisce la vita politica thai.
Poiché i militari thai sono criticati non meno dei governi civili, quanto credi siano trasparenti i militari thai come istituzione?
Loro sono stati un po’ come uno stato dentro lo stato sin dalla rivoluzione del 1932. Non solo godono di uno status che supera il monitoraggio e il controllo fiscale, ma sono anche esentati fortemente dalla critica della stampa. Si prenda l’esempio del GT200. Immaginate cosa accadrebbe se questo falso fosse stato portato da un governo civile; la stampa griderebbe allo scandalo. Ma i militari la fanno franca e il GT200 non è una caso raro negli acquisti militari.
Nella maggioranza dei paesi di simile livello scoioeconomico della Thailandia i militari sono stati portati sotto il controllo civile, ma non è il caso del nostro paese. Quali credi siano le ragioni?
In generale, come dice Benedict Anderson, i paesi del Sud Est Asiatico hanno una comune tendenza verso l’autoritarismo. Nessun paese della regione ha una forte tradizione democratica nel senso liberale occidentale. Sembra che qui prevalga la regola dell’uomo forte. Ma d’altro canto assistiamo a fenomeni senza precedenti in vari paesi. La Birmania ha avuto le sue elezioni. Recentemente si sono avute proteste in Malesia e Singapore. Vanno avanti negoziati tra il governo filippino e il movimento secessionista. Sembra esserci un declino della tradizione dell’uomo forte. Per sfortuna la Thailandia va nel verso opposto. Ci sono certo molti fattori in merito. Secondo me, i Thai e molte istituzioni come militari, la burocrazia, la religione e la monarchia non possono adattarsi al cambio rapido nell’era della globalizzazione. Quindi provano a spingere ad un ritorno indietro. Ecco perché abbiamo incredibili idee come “congelare il paese” o “spegnerlo”.
Molti sostengono che un governo militare può fare le cose più velocemente e in modo più efficiente del governo civile. Cosa ne pensi?
In un certo senso è vero. Se l’elite vuole implementare un regime neoliberale, nessun governo farebbe meglio della giunta. Il processo veloce e deciso di presa di posizione dell’attuale governo è l’esproprio sistematico delle risorse delle classi minori, rurali o urbane. La giunta spinge con tutte le sue forze per le Zone economiche speciali. Agli occhi delle classi ricche e delle corporazioni, nessun governo fa meglio dei militari.
Credi sia possibile riformare la politica thai senza riforma delle forze armate?
La politica thai è stata riformata qualche volta, dopo le rivolte popolari del 1973 e 1992. Avemmo una buona costituzione del 1997. Ora tutti gli sforzi sono svaniti a causa del recente golpe. La riforma politica senza la riforma delle forze armate è impossibile. Una non va senza l’altra poiché i militari giocano un ruolo cruciale nell’area politica del paese. Il focus della riforma deve essere sugli attori dietro le scene. Farle venire avanti e lasciar decidere alla gente.
Kongob Areerat, Prachatai.org