Seduto a terra con i vicini, Sakariya scorre le foto di suo giglio sul telefonino. In una di queste Kholid è nell’uniforme della scuola, in un’altra siede incurvato sul suo lavoro dell’università. In un’altra giace morto sul freddo marmo di un cimitero. E’ una foto di marzo, solo dopo qualche ora che i soldati avevano circondato un gruppo di uomini in un cantiere a Toh Chud, la loro casa nel meridione inquieto thailandese. Sette fori di proiettili perforano il suo petto.
Kholid è uno dei quattro morti di quel giorno, vittime di una operazione raffazzonata per acciuffare pericolosi separatisti che da anni sognano di far risorgere un sultanato indipendente nelle province d frontiera meridionali. Una ventina di abitanti furono arrestati, interrogati ma poi rilasciati.
Gli uomini che furono sparati avevano forse provato a scappare per paura di essere trovati in possesso di un po’ di droga leggera. Un gruppo di ricerca della verità trovò che gli omicidi furono un errore e fu promesso il risarcimento.
Ma quello che le famiglie vogliono è la giustizia, dice Mohammad, un altro genitore il cui figlio è tra quei morti.
Della popolazione di due milioni di persone, i quattro quinti sono musulmani malay. Delle teste calde agitano da tempo la regione contro il governo thaidi Bangkok e le sue politiche di assimilazione che negano l’autonomia alla regione o persino la lingua malay locale. Nel 2004 gruppi clandestini di insorgenti iniziarono una campagna di atteacchi molto violenti sulle forze di sicurezza e sulla popolazione buddista.
Da allora 6500 persone, quasi tutte civili, sono morte in questa striscia di costa lussureggiante. I separatisti hanno messo bombe a negozi e ristoranti ed assassinato tanti professori, visti come agenti dello stato; le vittime sono state talvolta dati alle fiamme o decapitati. Sono stati presi come obiettivo anche moderati malay musulmani considerati dei collaboratori. Il 13 dicembre un soldato thai di etnia malay e suo padre sono stati fatti saltare in aria in un cimitero dove erano andati a seppellire la madre.
La violenza dello stato ha fatto di tutto per accrescere il conto dei morti. L’immunità legale chiara di cui godono i soldati dal grilletto facile e i vigilantes a favore del governo continua a radicalizzare una nuova generazione di combattenti. La famiglia di Kholid dice che i suoi esecutori hanno messo un fucile d’assalto vicino al corpo del figlio per farlo considerare un insorto.
Nel decennio scorso sette governi thai, entrati e cacciati dal potere dalle vicende politiche, hanno provato una soluzione. Si dice che l’autonomia regionale simile a quella che ha placato le insorgenze islamiche indonesiana e filippina non è oggetto di discussione. Ma lo sono anche piccole concessioni, come il riconoscimento formale della lingua malay. Alcuni dicono che il ricco portafoglio delle forze di sicurezza che serve a proseguire il conflitto dà loro pochi incentivi a terminarlo.
Tre punti di controllo gestiti da differenti forze di sicurezza ostacolano la strada fuori di Pattani, una città della costa.
Un po’ di energia la si è infusa nell’economia del profondo meridione che dipende moltissimo dagli alberi di caucciù. Benché resti di gran lunga più povera di Bangkok, la regione non è tanto disperata
come altre regioni lontane del paese. Ma la gente del posto tende a vedere la propria ricchezza rispetto a quelli della loro etnia dall’altro lato della frontiera in Malesia, dove la legge garantisce alla maggioranza musulmana vari vantaggi sulle minoranze indiane e cinesi. Christopher Joll dice che la regione è come “un hamburger in un panino” pressata da inflessibili nazionalismi dalle due parti.
La giunta al potere in Thailandia, che sosteneva di provare a trovare una soluzione al conflitto entro il 2015, vanta dei progressi ad alta voce. Attratti dalla promessa di colloqui di pace nuovi, un gruppetto di gruppi separatisti un tempo in ombra ha formato una ala politica comune.
Ma Don Pathan afferma che che i militanti forse stanno cambiando i piani verso attacchi pianificati migliori e più letali. Per quanto riguarda il dialogo, i duri entro il BRN, il gruppo ribelle più potente, dicono che non avrà alcun ruolo nei colloqui proposti dalla giunta.
Chi lavora per la pace sul luogo lamenta che diventa più difficile discutere soluzioni impopolari. I militari rifiutano da tempo di prendere in considerazione una mediazione internazionale, una delle principali richieste separatiste per paura che possa legittimare la loro agenda. Ed è quasi impossibile considerare la devoluzione dei poteri con uno stato fortemente centralizzatore che in parte si dedica a neutralizzare gli oppositori del governo nelle altre province, ed in parte a reprimere il dissenso che potrebbe seguire una possibile successione reale.
Matt Wheeler di International Crisis Group pensa che i generali stiano solo perdendo tempo. Cosa però che ha due rischi. Sebbene l’insorgenza abbia rigettato lo Jihadismo islamico, alcuni credono che la propaganda islamica possa trovare un pubblico nella gioventù tribolata della regione. Qualcuno nel cyberspazio ha posto i sottotitoli thai ai video degli jihadisti.
Una paura maggiore è che questa guerra possa accendere uno sciovinismo buddista. Forse un decimo dei thai sono musulmani, la maggioranza dei quali ben integrati in zone lontane dal conflitto. Durante una recente festa ragazze con i capelli coperti hanno pedalato allegre attorno alla vecchia moschea Haroon a Bangkok, coperta con le bandiere thai. Eppure i musulmani thai diventano diventano sempre più conservatori sotto l’influenza delle dottrine mediorientali, cosa che fa innervosirei loro vicini buddisti. Per alcuni le autorità buddiste si fanno sempre più difficili mentre l’influenza del potere monarchico, che li ha sempre controllati, comincia a indebolirsi. Ad ottobre un monaco buddista influente disse che i thai avrebbero dovuto bruciare una moschea per ogni monaco ucciso dai “banditi” meridionali.
La gente radunata presso la casa a Toh Chud sono preoccupati che da fuori si voglia seminare la divisione. Differentemente dagli altri ghetti il lro villaggio di 300 famiglie include 30 famiglie buddiste, e la tragedia di marzo ha accresciuto i loro legami di villaggio. Nel giorno dell’incursione delle forze di sicurezza i buddisti del posto hanno aiutato a nascondere un giovane che era fuggito al cordone dei soldati.
All’avvicinarsi del momento del pranzo, Somkhuan che un tempo fu capo villaggio, si unisce al gruppo per fumare una sigaretta. Quando sua figlia si sposò fece due feste, ricordano i vicini entusiasti. Una di queste feste era con alimenti halal. Tali buone relazioni non sono granché dice Somkhuan: è sempre stato così.
Ma cosa succede se Toh Chud inizia a diventare l’eccezione?
The Economist, Non si vede la fine