Sulla presenza dell’ISIS o del Califfato Islamico nel Sudest Asiatico, proponiamo alcuni articoli che abbiamo tradotto che riguardano Malesia, Indonesia e Profondo Meridione Thailandese.
Quest’ultimo è sede da oltre un decennio di un’insorgenza separatista, malay musulmana, dove il carattere religioso non è assolutamente l’elemento distintivo e dove negli anni passati non ha assolutamente fatto breccia Al Qaeda.
Recentemente il governo della giunta militare di Prayuth ha detto che ci sarebbe stata una riunione in una moschea di Sungai Kolok (più famosa per i bordelli di confine che per le attività religiose) tra esponenti del Califfato Islamico del Sudest Asiatico e personalità religiose e giovani del Profondo meridione. Se questo sia vero o se è ancora un tentativo dello stato di rendere religioso un conflitto nazionale, non è ancora chiaro. Di certo non giova alimentare il fuoco del conflitto religioso se si vuole tenere lontano l’ISIS dalla regione. Su questo si esprimono due studiosi su un articolo del Prachati (tradotto liberamente). Poi un articolo dell’Economist sul Califfat Islamico nel Sudest Asiatico in Indonesia e Malesia.
Sulla situazione filippina, sarà fatta una separata riflessione quanto prima.
Il profondo Meridione thailandese non è adatto al Califfato Islamico, Prachatai
Il Profondo Meridione Thailandese non è adatto a ricevere l’influenza del Califfato Islamico, dicono due esperti thailandesi, questo però deve spingere lo stato thai a evitare situazioni che possano creare attrito in relazione all’Islam.
Secondo le autorità thai a Sunga Kolok ci sarebbe stato in una moschea un incontro tra capi religiosi islamici, giovani del posto e alcuni rappresentanti del Califfato Islamico nella regione. Si capisce, alla luce delle bombe di Giacarta, come questo abbia creato apprensione sulla possibile presenza dell’ISIS nel profondo meridione thailandese, dove la popolazione è a stragrande maggioranza musulmana. Dopo la presenza di militanti dell’ISIS in Indonesia, Malesia e Filippine, ci si domanda se anche il meridione thailandese non veda la presenza di alcuni di loro.
Il Prachatai ha intervistato due esperti, Srisompob Jitpiromsri, direttore di Deep South Watch, DSW, e Abdulroning Suetair docente del dipartimento di Studi del Medio Oriente dell’Università di Songkla a Pattani.
La gioventù del profondo Meridione Thai non può essere oggetto del processo di indottrinamento per unirsi all’ISIS come si potrebbe credere, perché la regione ha spazi per esprimere la propria etnicità e la propria religiosità ed ha un differente contesto culturale da quello di paesi del sudestasiatico che invece vivono questo pericolo.
Benché non si possa escludere che qualcuno possa essere sviato dalla propaganda dello stato islamico, l’ambiente e la cultura non incoraggiano la crescita di tali idee.
Il prolungato conflitto decennale ha creato nella popolazione locale un disgusto e stanchezza per l’idea generale di violenza che spinge alla ricerca di soluzioni pacifiche. Due anni passati hanno spinto a sviluppare un ambiente in cui possono sorgere opportunità per la soluzione del conflitto. Si sono risolti alcuni problemi sociali ed economici. Perciò sono molto ridotte le possibilità di giovani che siano indotti a usare la violenza.
Inoltre l’Islam praticato nel Meridione thailandese è stato influenzato da scuole di pensiero conservatrici ma che non contengono insegnamenti che incoraggiano all’uso della violenza. Inoltre l’Islam qui si è mischiato con una cultura e identità locale che non promuove la violenza.
Gli stessi gruppi separatisti che usano la violenza si differenziano dall’ISIS. Questi gruppi tendono a focalizzarsi sul nazionalismo, l’etnia e la storia più che sulla religione.
I giovani perciò tendono più ad essere influenzati dalla vecchia scuola del pensiero islamico, dove l’Islam si mescola con i credi e i costumi locali, senza sostenere l’uso della violenza. Ma anche quei giovani affascinati dall’insegnamento moderno del Wahhabismo tendono a valutare bene la ragione e la neutralità. La cultura unica del Profondo meridione è anche una che non promuove la violenza poiché il pensiero non è duramente represso.
Le idee nuove inoltre entrano nella società locale solo quando rispondono a dinamiche interne. Si usa la violenza cioè solo quando c’è un impeto che sorge dal conflitto interno o scontento sociale, contrariamente a quanto può accadere alla gioventù occidentale.
Secondo Srisompob, se lo stato fornisce opportunità di sviluppo, istruzione, addestramento professionale e partecipazione politica e se si evita l’uso della violenza per risolverei conflitti, saranno minimizzate le occasioni di violenza
In una atmosfera dopve i processi di pace sono il principale fattore pr la partecipazione al dialogo, i gruppi che usano violenza non sono largamente accettati.
Secondo il docente Abdulroning Suetair, i mtodi dell’ISIS e dei gruppi separatisti sono molto differenti. Anche se usano entrambi la violenza, i gruppi locali non si uniranno all’ISIS perché mancano alcuni fattori essenziali.
“Se non ci sono nuovi fattori o condizioni che facciano interagire la gente del posto con l’ISIS o con altre comunità musulmane di oltremare, come fattori religiosi, il rpfondo meridione non farà ricorso all’estremismo. Però il governo thai non deve esacerbare la situazione attuale e costruire un Parco Buddista nell’area” dice Abdulroning il quale si riferisce ad una proposta dell’autorità provinciale di Pattani di costruire un Parco Buddista nel distretto di Pak Ao.
Su questo progetto si è già espressa la comunità religiosa musulmana di Pattani che ha fatto notare come la comunità locale non sia stata affatto consultata. Mentre esistono varie piccole comunità buddiste nel distretto che convivono pacificamente con la maggioranza musulmana che non fa loro alcuna opposizione, un parco del genere non potrebbe essere assolutamente accettato.
Secondo lo studioso i può prevenire l’influenza dell’ISIS nella regione eliminando le condizioni che permettono uno sviluppo, evitando le influenze esterne dato che non esistono militanti islamici come in altri paesi, ma soprattutto rafforzando le comunità attraverso il dialogo interno e tra comunità.
“Se mi chiedete perché dobbiamo avere misure preventive contro ISIS direi che molti metodi dell’ISIS contrastano con l’insegnamento dell’ISLAM. Sarebbe pericoloso se questa influenza raggiungesse la regione. ISS vuole farsi ascoltare attraverso l’uso della violenza”
L’influenza del Califfato Islamico sul Sudeest Asiatico Dopo Giacarta, The Economist
Per decenni il sudestasiatico ha avuto due grandi bastioni contro i militanti islamici: la forma tollerante, pacifica della loro fede praticata dalla gran parte dei musulmani della regione; e l’incompetenza relativa degli Jihadisti.
Ma la tradizione sincretista dell’Islam è sotto minaccia da forme più rigide importate dal Medio Oriente, considerate moderne e corrette. Il Jihadismo violento sembra seguire lo stesso percorso, se la violenza sanguinosa nel centro di Giacarta ha un significato.
Quattro civili e quattro terroristi sono morti nelle bombe del caffè Starbucks con gli scontri a fuoco con la polizia. Le autorità credono che un indonesiano, Bahrun Naim, abbia pianificato l’attacco dalla Siria, dove guida una unità di combattimento al fianco del Califfato Islamico. I governi della regione hanno da tempo temuto che potesse accadere un giorno.
La polizia indonesiana ha da allora arrestato tredici presunti terroristi ed ucciso un altro. In Malesia la polizia ha arrestato un uomo sospettato di pianificare un attacco suicida presso un bar, e tre altri malesi sono stati riportati in patria dalla Turchia dopo aver tentato di passare il confine per unirsi al Califfato islamico.
Singapore ha detto che lo scorso anno ha arrestato e preparato al rimpatrio 27 lavoratori delle costruzioni del Bangladesh sospettati di pianificare attacchi terroristici a casa loro.
Dietro questa intensa attività ci sono le domande più profonde sul come rispondere alle minacce. I militanti islamici sono da tempo attivi nella regione. Membri della Jemaah Islamiyah, dedicatisi all’instaurazione di un califfato nella regione, erano dietro le bombe di Bali del 2002 e sono sospettati di altri attacchi contro obiettivi occidentali in Indonesia e Filippine.
Dopo le bombe di Bali l’Indonesia creò l’unità di polizia Densus 88, squadra antiterroristica elitaria finanziata ed addestrata in USA e Australia che distrusse il comando della Jemaah Islamiyah. Filippine, Malesia e Thailandia hanno anche arrestato i capi della Jemaah Islamiyah.
Ma la minaccia non è stata completamente debellata, ed ora alcuni temono che il Califfato Islamico possa creare una sua base nel sudest asiatico che offre tantissime aree remote al di fuori del controllo dello stato dove i militanti possono nascondersi. L’isola filippina di Mindanao e il meridione thailandese vivono da tanti anni insorgenze lanciate da minoranze musulmane.
Allo stesso modo dei veterani che combatterono i sovietici in Afghanistan accrescendo la capacità dei Jihadisti agli inizi degli anni 90, in molti temono che i militanti che ritornano dalla Siria faranno lo stesso ora. Un gruppo i consulenza della sicurezza, Soufan Group, stimava a dicembre che almeno 600 persone del sudest asiatico erano andati a combattere al fianco del Califfato Islamico. Non si sa quanti ne siano ritornati. Il rapporto parla di 162 indonesiani, donne, uomini e bambini, siano tornati a casa dal Califfato Islamico. Sindey Jones del IPAC di Giacarta crede che il numero di militanti addestrato sia molto inferiore. Alcuni si trovano in carcere. Peter Chalk della RAND Corporation dice che le autorità Indonesiane mancano “del senso di quanti siano ritornati … e cosa stiano facendo in termini di radicalizzazione della popolazione”.
Il califfato islamico ha dimostrato perizia nella radicalizzazione da lontano. Migliaia di Indonesiani hanno promesso alleanza al gruppo e Naim sembra aver trovato i Jihadisti del posto per condurre attacchi. Almeno uno dice di essere diventato radicale in una prigione. Sidney Jones dice che Naim abbia usato messaggi criptati sui social media nello sforzo di ispirare gli attacchi in Malesia.
Il ministro degli interni di Singapore K. Shanmugam metteva in guardia questa settimana che non è una questione di se Singapore subirà un attacco, piuttosto di quando lo subirà. Il governo ha detto farà nuove misure che coprono tutti gli aspetti della sicurezza di Singapore.
Le strategie che si sono dimostrate valide prima potrebbero essere meno efficaci contro le entità transnazionali come il Califfato Islamico che ispirano una autoradicalizzazione ed attacchi di lupi solitari.
In Indonesia sostenere l’ISIS o unirsi ad esso non è reato, sebbene il governo pensi a misure di controterrorismo più vaste con potere di detenzione preventiva. I due movimenti di massa islamici del paese provano a contrastare la propaganda Jihadista.
In Malesia comunque il governo stesso ha completamente politicizzato l’Islam lasciando poco spazio per il dissenso con leggi tra le più dure. Uno studio dello scorso anno trovò che il 70% dei Malay malesi, musulmani, sostiene le leggi hudud come la lapidazione degli adulteri. Un altro studio trovava che 11% della popolazione considerava il Califfato Islamico in modo favorevole.