Nei suoi 18 mesi di presidenza Joko Widodo “Jokowi” ha compiuto almeno tre atti: una promessa, una contrarietà e una di speranza, restando tutti essenzialmente un prologo.
Nella sua prima azione, emerge un nuovo capo della Giava provinciale e fa tutta la trafila della politica indonesiana da piccolo industriale a sindaco di una cittadina a governatore di Giacarta e poi presidente. Infonde ai suoi sostenitori la speranza di un giorno libero dalla corruzione, dall’incapacità e dalle opportunità perse che trattengono l’Indonesia.
Quando Jokowi fu eletto nella carica più alta nell’ottobre 2014, parve un miracolo che questa semplice forza di cambiamento avesse preso le redini del potere. Quei primi mesi furono segnati dalla preoccupazione sulla sua capacità di creare un governo efficace senza la base di potere tradizionale, ma anche dalla speranza grande in questo nuovo capo.
Il secondo atto inizia agli inizi del 2015 con le condanne a morte degli spacciatori, delle lotte politiche interne e di una crisi nella Polizia Nazionale. Mentre il quadro globale si rannuvolava per la paura della Cina e il alo dei prezzi delle merci, la politica economica indonesiana si faceva sempre più restrittiva verso le imprese estere rispetto al governo precedente. I regolatori agivano apparentemente senza coordinamento o coerenza e gli investitori iniziavano a domandare della direzione del governo e persino del suo impegno verso il paese.
A luglio agosto 2015 assistiamo al terzo atto. Mentre la rupia indonesiana scendeva dolcemente verso i 15000 contro il dollaro, livello più brutto dalla crisi asiatica, ed il PIL si indeboliva sotto il 5%, si iniziava a parlare di riforme reali, un rimpasto di governo introdusse alcune facce nuove e il presidente fece la promessa di voler lavorare ad attrarre seriamente investimenti ed accelerare la crescita. Alla fine dell’anno furono introdotti otto pacchetti per deregolare una delle economie della regione più restrittive, e mentre alcune delle misure sono sufficienti a segnare un cambio di gioco, gli investitori e la gente iniziarono a vedere un presidente serio sul problema della crescita.
Nessuno sa cosa accadrà dopo. Jokowi sembra aver più fiducia e attivo nei prossimi mesi, ma la burocrazia resiste a cambiamenti significativi e alla perdita di vantaggi di rendita per gli interessi favoriti locali. Politicamente il governo resta diviso in due campi. Il vice presidente Kalla sembra essere in disaccordo col presidente. Il partito di Jokowi, il PDIP, e il suo presidente Megawati, lo sostengono appena. Il consigliere un tempo più vicino del presidente Luhut Panjaitan ha perso molto del suo lustro coinvolgendosi nella battaglia per controllare il futuro del deposito minerario di oro e nichel di Grasberg del gigante minerario USA Freeport McMoRan. Il presidente è stato fortunato che il parlamento, controllato dall’opposizione, non i è messo di traverso con forza.
Catapultato nella presidenza come un esterno che non ha legami con le leve di potere usate dalle elite tradizionali, non sorprende che Jokowi abbia trovato difficile gestire il percorso di dirigere un governo. Non aveva esperienza precedente nel governo nazionale ed ha dovuto letteralmente imparare ad essere presidente mentre prestava servizio.
La sua aria attentamente calcolata di essere un esterno ha anche alimentato confusione tra la gente e i politici. E’ davvero il democratico riformatore che deve combattere i mai endemici della corruzione e la burocrazia? Nei primi mesi la sua fama di persona che contrasta la corruzione è stata testata con forza quando la Commissione contro la corruzione, KPK, molto popolare, vide i propri poteri tagliati in una battaglia pubblica con elementi della polizia fedeli alla Megawati, presidente del suo partito.
Fonti interne parlavano di una battaglia per il controllo della polizia come un golpe di Megawati dopo che il suo prescelto a capo della polizia nazionale fu escluso a causa di accuse di corruzione da parte della KPK. Dopo la rimozione di Budi Gunawan dal comando, i suoi alleati nel corrotto corpo di polizia lanciarono un attacco direttamente contro la KPK stessa, bloccandola pericolosamente per vari mesi. Le accuse furono prosciolte e Budi divenne il numero due della polizia, da dove si dice sia ancora a gestire il tutto. Fu una grande distrazione.
Jokowi la cui candidatura fu imposta ad una Megawati poco accondiscendente sembrò non avere poteri di fare qualcosa sulle manovre della polizia e molti suoi sostenitori rimasero fortemente amareggiati al momento.
In modo simile il sostegno presidenziale agli inizi del 2015 di alcune fucilazioni di spacciatori stranieri, molti dei quali erano nel braccio della morte da anni ed avevano nuove prove o la riabilitazione da parte loro, scioccò molto il governi stranieri e le organizzazioni dei diritti. La chiara urgenza di eseguire le condanne di accusati stranieri, mentre numerosi ufficiali di alto livello della polizia indonesiana sono implicati nel commercio della droga, sembrò solo alimentare l’immagine di un paese ostile agli stranieri.
Con le pressioni esterne sull’economia indonesiana, l’andamento scialbo della politica del governo erose molto la fiducia degli investitori fiaccando a volontà o la possibilità di molte compagnie ad accrescere gli investimenti nell’arcipelago. Restrizioni sui permessi di lavoro, regole locali, controlli delle tasse, difficoltà continue nel settore delle risorse e la sensazione che il paese non fosse aperto agli investimenti si mescolavano a creare un clima per gli affari negativo.
Poi il presidente si svegliò. A luglio agosto cominciò a muoversi sui problemi nella polizia ed annunciò un rimpasto del governo che cambiò o spostò molte figure chiave. Dopo dicerie di mesi, Jokowi mise nel posto giusto persone con la capacità di fare politiche più amichevoli per gli affari, ammettendo che la volontà politica resti tale.
Ci furono 4 nuove nomine. La nomina del banchiere di investimento Tom Lembong educato negli USA come ministro del commercio diede al governo la credibilità verso chi chiedeva una politica economica più aperta. Spinse la decisione psicologicamente importante di abbracciare almeno l’idea della TPP e ha parlato in modo sensibile e consistente sui danni che fa una burocrazia chiusa, molto regolata e che cerca rendite sulla qualità della vita egli indonesiani.
Aver nominato il navigato burocrate Darmin Nasution come coordinatore del ministero dell’economia ha dato a Jokowi un esperto forte che fu un architetto delle passate politiche protezioniste dall’interno della banca centrale e del ministero delle finanze. Ma Darmin non è ideologo, ma solo un duro burocrate che ha il rispetto di molti impiegati e sa come gestire le leve del potere nei ministeri.
Il nuovo ministro del Mare Rizal Ramli, nazionalista, è anche un navigato economista ed ex ministro che sa come far andare avanti le cose. Il nuovo piedistallo marittimo, creato da Jokowi nel 2014, è fondamentale per la visione delle infrastrutture del presidente e Rizal potrebbe giocare un grane ruolo. Sfortunatamente è un dichiarato protezionista sulle politiche delle risorse che cadono sotto il suo ministero. Jokowi dovrà controllare la lingua di Rizal e gestirlo bene per tenerlo dalla parte sua.
La mossa più interessante in vari modi fu il ritiro essenziale di Luhut Panjaitan da capo dello staff a ministro del coordinamento delle politiche e della sicurezza. Come capo ello staff, Luhut, cristiano Batak di Sumatra, aveva fatto la mossa forte di afferrare le redini della politica energetica nazionale e faceva campagna attiva per rimuovere il ministro Sudirman Said molto rispettato. Intervenendo nella battaglia famosa sul destino dell’operazione mineraria a Freeport, Luhut forse l’ha fatta grossa.
Nel suo attuale ministero ha il compito di tenere i militari nel campo di Jokowi nella battaglia continua con Megawati e la polizia. Luhut è duro e scaltro ma le sue ambizioni non conoscono confini. Resta un attore stellare ed era uno dei sostenitori originari di Jokowi, ma non è più la figura maggiore di sostegno ed alcuni dei suoi nemici come Kalla, un altro saggio cavallo di battaglia, stanno tornando con Luhut in secondo piano.
Di certo dal rimpasto Jokowi sembra più attento all’economia e al cambiamento reale per infondere nuova fiducia tra gli investitori nazionali ed esteri. Gli otto pacchetti di stimolo portano segni di movimenti incrementali in aree come incentivi fiscali, regimi di permessi, regole di lavoratori stranieri e linee guida sulla paga minima. La rigidissima lista di investimenti negativi, DNI, definita da alcuni industriali come la lista del Non Investire, è sotto revisione e i suoi segni saranno considerati come segni di direzioni future.
Se si tolgono le restrizioni sugli investitori esteri in campi come generazione di energia, ecommerce, commercio al dettaglio, agricoltura, distribuzione di film e varie infrastrutture, si intraprenderà un segnale reale di maggiore apertura che potrà dare una grande spinta all’economia.
Il governo ha già preso il compito importante di rinominare la lista in “Linee guida degli investimenti” per rimuovere la parola negativa, ma non è per nulla certo che la revisione, prevista per il primo trimestre, sarà forte o totale. Il sistema del DNI fu creato per proteggere le imprese nazionali e ci sono grossi interessi che vogliono la loro parte della torta protetta dalla competizione nazionale. Questi interni hanno poco rispetto per il bene maggiore del paese e per molto tempo navigato i recessi di un modello di sostituzione delle importazioni che ricompensa le connessioni burocratiche piuttosto che le eccellenze.
Gli annunci di stampa sul DNI sono stati positivi dal punto di vista dell’investitore ma gli interni dicono che ci siano grandi resistenze nel governo a cambiamenti drastici. “Gettate quella lista. L’Indonesia inizia la discussione sugli investimenti con un no. Come può servire una cosa simile?” ha detto uno straniero importante degli affari a Franky Sibarani della commissione sugli investimenti. E’ ancora presto per dire se quel consiglio sarà ascoltato.
In altre aree l presidente sembra essere almeno coerente. Dopo un anno alla presidenza, ha sistemato un portavoce Johan Budi, molto amato che si diceva sarebbe dovuto andare nella commissione contro la corruzione, prima che i parlamentari lo avessero rigettato, forse perché troppo pulito e incorruttibile. Che il presidente gli abbia dato un voto di fiducia è un’altra buona spinta psicologica.
Forse ad essere più attaccato dalla vecchia guardia alla ricerca della sua rimozione è il ministro dell’energia e delle miniere Sudirman Said che però è ben fisso al proprio posto. I dirigenti dell’energia gli danno voti alti perché prova a ripulire un sordido ministero famoso ed è stato lui a far conoscere un tentativo di corruzione enorme da parte del Presidente del Parlamento contro Freeport. Quello scandalo del valore di miliardi di dollari non si è chiuso con le dimissioni improvvise del presidente della camera e potrebbe portare ad accuse penali. Se lo sarà, è una vittoria di Sudirman.
Le compagnie energetiche dicono che il malandato settore resta problematico e fin troppo regolato nonostante il crollo dei prezzi a livello globale, ma almeno Sudirman presta attenzione, una cosa molto diversa dai ministri che tolleravano o incoraggiavano la grande corruzione.
Il futuro più grande del governo è incerto e compaiono sempre ogni giorno dicerie su nuovi rimpasti, risultato di vecchie ruggini o debiti politici da sistemare. A Giacarta è famoso il gioco su chi sarà ad andarsene e perché. Se Sudirman dovesse uscire in un prossimo rimpasto, sarebbe preso come un messaggio cattivo per cui la riforma non è nel mazzo attuale delle carte.
Il presidente giunse al potere sul vento della voglia di riforma e di cambiamento ed è impattato in un muro di resistenza politica e complessità guidata da interessi strutturati costruiti in anni ed anni. Ultimamente sembra aver capito ciò che deve lottare contro ma resta da vedere se riuscirà a elaborare una visione strategica di cambiamento. I suoi alleati dicono della sua passione per le riforme dei migliaia di regolamenti che sono una ferita che il paese si è inflitto sulla sua capacità di competere con efficacia per l’investimento estero diretto. Ma più che un pensatore visionario lui è un tattico.
Ci sono segni positivi che la spinta massiccia del governo sulle infrastrutture si muove nella giusta direzione sebbene guidato dalla mano pesante di un settore di stato che resta una forza enorme nell’economia. Si dice agli investitori che le restrizioni sulla produzione di energia saranno eliminate e i regimi di licenza sono stati definiti almeno per i grandi investitori. Aiuta.
La raccolta delle tasse comunque resta inefficiente mentre le grandi multinazionali sono prese di mira per valutazioni spropositate e lunghi tempi di pagamento. I dirigenti divono che lottano ancora per i permessi di lavoro per i lavoratori stranieri necessari w sono ancora comuni cambi di regolamenti improvvisi. Il sistema legale è un buco nero. La fiducia dei consumatori è ritornata ma il paese ha perso anni per costruire un’economia da porte chiuse. Ci vorranno anni per riparare il danno in un momento in cui il clima internazionale è pericoloso e vicini come Vietnam e Filippine sono più aperti e più vicini agli investitori con la possibile TPP e l’incerta comunità dell’ASEAN.
Nei suoi primi 18 mesi di presidenza, Jokowi è apparso come un sindaco affabile e preoccupato che cercava giardini da riparare e buche da colmare.
Ciò poteva andare bene a Solo e persino Giacarta. Non ha funzionato a livello nazionale.
Se ha trovato ciò che gli serve per piegare il sistema alla sua volontà, potrebbe tuttavia essere un capo dinamico. Forse i prossimi passi del lungo dramma nazionale del paese ci daranno la risposta.