Nel Profondo Meridione, l’esercito e la polizia usano sistematicamente varie forme di tortura per costringere i sospettati a confessare. Le forme di tortura vanno dal waterboarding allo strangolamento alle minacce di violenza agli assalti sessuali.
A denunciarlo sono Cross Cultural Foundation, Network of Human Rights Organizations di Pattani e Dua Jai Group nel loro secondo rapporto in Thailandese.
I gruppi affermano che questi abusi commessi dalle forze di sicurezza non solo minano il sistema di giustizia ma anche il sostegno allo stato thailandese nelle province musulmane del Profondo Meridione.
“La tortura nelle province meridionali di frontiera è fatta in modo sistematico” dice il rapporto di 120 pagine “Sta distruggendo la fiducia nella struttura dello stato, sia in termini di accettazione del governo che fiducia nei sistemi legali e di giustizia. Alla fine i sospettati possono finire ad unirsi alla lotta armata violenta per l’indipendenza.”
Il portavoce dell’ISOC, Comando operativo della sicurezza interna, colonnello Pramote Promin ha detto di non aver letto il rapporto definendolo come un altro parto della immaginazione degli autori. Il colonnello si è spinto a dire che uno degli autori principali, la direttrice della fondazione Pornpen Khongkachonkiet, vuole solo gettare discredito sulle forze armate e sullo stato.
La direttrice Pornpen ha risposto dicendo che le autorità, prima di rigettare quel rapporto, dovrebbero leggere quanto da esso scoperto. Il rapporto si chiama “Rapporto sulla situazione della tortura e dei trattamenti inumani, crudeli e degradanti nelle province della frontiera meridionale, 2014-15”
La direttrice ha inoltre detto che ci si è accertato, attraverso una valutazione psicologica delle fonti del rapporto, tutti non identificati, della affidabilità delle narrazioni. Sono incluse testimonianze di 54 persone fatte tra il 2014 e il 2015, che hanno raccontato fatti sia recenti che vecchi.
Nel rapporto si ricorda inoltre il costo di questa insorgenza, 6200 morti tra il 2004 e il 2014.
Mi rendo conto che l’ISOC non conosce il proprio dovere. Lo stato ha la responsabilità di esaminare quanto è successo. Ma non leggono i rapporti, non esaminano i loro errori e le loro politiche” dice Pornpen che sostiene che la posizione dell’ISOC è di ignorare le accuse di tortura.
Questo rapporto segue quello emesso da un’altra organizzazione del Meridione Thailandese, Muslim Attorney Center Foundation, Fondazione degli avvocati musulmani di Pattani. Anche in questo rapporto si denunciano le stesse tecniche di abuso fisiche e psicologiche per costringere i sospettati accusati di appartenere all’insorgenza a confessare.
Il famoso avvocato Somchai Hom-Laor, che ha partecipato a stendere questo primo rapporto, dice che alcune tecniche di tortura sono ora adottate contro cittadini ordinari in altre parti del paese, ritenuti una minaccia per la sicurezza nazionale.
Non vogliamo condannarli o creare dell’odio, ma vogliamo cambiare la situazione perché mina lo stato stesso thailandese” dice Somchai.
Nel rapporto si fa notare come in dieci anni di insorgenza nessun ufficiale sia andato in carcere in quei pochi casi inquisiti per tortura. Il caso più prossimo lo si ebbe nel 2007 con Ashari Sama-ae che morì durante la detenzione senza mandato. La corte Amministrativa suprema il 21 agosto ordinò all’Ufficio del primo ministro di risarcire la madre compreso degli interessi, dopo che la corte accertò che Ashari era morto di ferite alla testa durante la custodia dell’ISOC che opera sotto il comando dell’ufficio del Primo Sinistro. Comunque nessun soldato è stato mai portato davanti ad un tribunale per questo.
Secondo il rapporto la detenzione senza accusa formale secondo la legge marziale, che è portata fino a 37 giorni in presenza del Decreto dell’Emergenza, ha creato più opportunità per situazioni di abusi, torture e trattamenti degradanti dei sospetti separatisti.
Il diritto di queste persone è stato di fatto limitato molto più dei sospettati accusati di un reato” si legge nel rapporto dove si legge anche che i detenuti non possono incontrare parenti o avvocati, non hanno diritto a chiedere la libertà provvisoria o l’uscita su cauzione, ed in alcuni casi sono trasferiti in altri centri di detenzione senza che le famiglie sappiano nulla.
Le torture fisiche e psicologiche iniziano appena dopo l’arresto. Tra i trattamenti denunciati dagli ex detenuti si parla di canne di fucili in bocca, violenze fisiche, minacce di morte per loro o per loro familiari, minaccia di stupro delle mogli o dei parenti.
Un caso importante è quello di un ragazzo di 27 anni, arrestato a marzo 2014 senza un mandato. Accusava gli ufficiali di polizia di incitarlo a scappare dal loro mezzo se voleva aver salva la vita, cosa che lui rifiutò di fare per paura che fosse solo un pretesto per ucciderlo.
I poliziotti mi dicevano che mi avrebbero lasciato correre, e se lo avessi fatto sarei sopravvissuto. Non lo feci ed un poliziotto mi disse ‘che sfiga, altrimenti di avrei mandato a fare visita a tuo padre nell’aldilà’” si legge a pagina 21 del rapporto.
Durante gli interrogatori il rapporto accusa l’uso di un vasto campionario di metodi di tortura, come il waterboarding, tenere nudi i sospettati, stringere i genitali dei sospettati, strangolamento, privazione del sonno, privazione sensoriale con incappucciamento e bendaggio degli occhi, flagellazione, bruciatura dei piedi, shock elettrico ed altri metodi.
Secondo quanto trovato nel rapporto c’è anche la complicità di personale medico.
Si parla, a pagina 23 del rapporto, di un caso di un sospettato di 29 anni che fu picchiato e poi portato il giorno dopo ad una visita medica a febbraio 2014.
“Fui portato ad una visita medica la mattina nello stesso campo militare. Il dottore non mi visitò ma emise un certificato in cui affermava che non ero stato torturato”.
Il sospettato dice che alla fine egli cedette, dopo tre giorni di duri pestaggi e di minacce inquietanti. “Alla fine firmai il documento perché gli ufficiali mi assaltavano su tutto il corpo e minacciavano di fare del male a mia moglie, di bruciare la casa, di far male alla famiglia. Se non avessi confessato minacciavano di mandarmi in prigione.”
Tutte le vittime e le persone intervistate, dicono i ricercatori, soffrono di stati ansiosi, depressione e di disordine da stress post-taumatico, rabbia e desiderio di vendetta.
“Ogni volta che guido e incontro la polizia ho terrore, sento desiderio di vendetta e provo per quanto possibile di evitarli” dice una vittima del rapporto.
Un altro esprime l’angoscia di essere stato oggetto di un trattamento ingiusto: “Sono stressato e ho paura. Perché mi hanno arrestato in modo ripetuto quando non ho fatto nulla? Provo dolore e rabbia nel mio cuore perché non ottengo giustizia”.
Pravit Rojanaphruk, Khaosodenglish.com