In tutti i media e associazioni di giornalisti, compare la richiesta pressante non solo di portare di fronte alla giustizia i responsabili di questo orribile massacro di Maguindanao e di una loro condanna.
Compare anche un’analisi sempre più grave; puntuale sulle responsabilità; della presente amministrazione nell’aver alimentato un clima crescente di impunità; nella nazione. Impunità di cui la classe politica filippina deve riconoscere ed essere riconosciuta responsabile.
Benché; questa sia stata la più; orribile storia di violenza durante le elezioni, va anche ricordato le centinaia di giornalisti uccisi in tutta la nazione, omicidi restati finora senza l’ombra di un colpevole.
Non è certo un caso perciò che le Filippine sono state dichiarate la nazione più a rischio per i giornalisti seconda solo all’Iraq.
Inserire il Massacro di Maguindanao nel contesto
E’ il luogo dell’orgoglio Bangsamoro e il cuore del Sultanato Moro. Ma man mano che l’autorità fa conoscere quello che è accaduto lungo quel tratto remoto della statale lunedì mattina 23 novembre 2009, Maguindanao ora porta con sé il triste primato di essere il peggior singolo caso della violenza durante le elezioni nella storia recente delle Filippine.
A partire da lunedì notte, le autorità hanno scoperto almeno 21 corpi mutilati in Malasay, città Datu Abdullah Sangki in Maguindanao. Si crede che appartengano ad un gruppo di 50 persone compresi 30 giornalisti del posto, che hanno lasciato Buluan di mattina presto per testimoniare la presentazione del certificato di candidatura per governatore di Ishmael Mangudadatu all’Ufficio Elettorale di Shariff Aguak.
Le autorità dicono che il convoglio sia stato atteso al varco da un grosso gruppo armato; Mangudadatu sostiene che gli uomini erano condotti dal suo rivale politico, Andal Ampatuan. Ismail stesso ha evitato di presentare di persona il certificato di candidatura a causa della tensione tra lui e Ampatuan. Invece ha inviato la moglie Genalyn ed altre donne della famiglia nella speranza che le donne e i giornalisti che le accompagnavano avrebbero allentato la tensione.
Finora le autorità non hanno ancora trovato gli altri membri del convoglio. Invece ufficiali dell’esercito hanno detto di aver scoperto corpi mutilati di 13 donne e otto uomini. Alcuni corpi sono stati identificati come appartenenti allo sfortunato convoglio. I loro veicoli sono stati ritrovati sulla statale, completamente derubati di tutto.
Si teme da parte dei media per la vita dei giornalisti scomparsi che accompagnavano il convoglio. Il giornale Philippine Daily Inquirer dice che quasi 37 giornalisti si sono iscritti prima che il convoglio lasciasse Buluan alle 9 di mattina. Sarebbe il singolo gruppo di giornalisti più numeroso catturato o tenuto in ostaggio al mondo.
Mentre i Moro sono sempre stati orgogliosi della loro lunga storia e della loro ricca e colorata cultura, la politica in molte parti della Mindanao Musulmana sono ancora sotto l’ombra dell’influenza di potentissimi clan che comandano i legami e le alleanze, specialmente in feudi dominati da sempre da vincoli di sangue, denominati rido. Questi clan comandano in queste aree come dei signori feudali antichi, col potere di vita o di morte sui loro sudditi a mena dito.
Le armate private di questi clan guerrieri sono per tutti i loro intenti e scopi, finanziati attraverso i finanziamenti del governo. Dal momento che il codice del governo locale permette agli amministratori di scegliersi i propri comandanti locali di polizia, molti poliziotti locali sono per lo meno inefficienti, oppure agiscono da guardia del corpo del sindaco locale, o del deputato. In aggiunta, gli amministratori locali hanno usato effettivamente la minaccia del movimento secessionista Moro nell’area come sostituti e per armare i propri uomini a spese della collettività. Queste milizie sono chiamate Ufficiali Volontari civili (CVO) che si uniscono occasionalmente alle operazioni militari, prendendo ordini per lo più da amministratori locali.
Alla luce di quanto accaduto in Maguindanao, il Philippine Center for Investigative Journalism rivisita varie storie che il Centro stesso ha già pubblicato nel passato sulla cultura e politica e la cultura della politica nella provincia.
Nel 2008 il nostro ex presidente Jaileen Jimeno scrisse una serie di articoli focalizzati sulla provincia.
“Tra le lotte, il clan regna a Maguindanao” guardava al clan influente di Ampatuan e ai suoi stretti legami con il palazzo presidenziale: “Gli analisti notano che fu proprio il Presidente a rendere legale per gli Ampatuan la possibilità di avere centinaia di uomini e donne armati a propria disposizione. La costituzione del 1987 vieta gruppi armati privati. Nel luglio 2006, comunque, l’amministrazione Arroyo emise un decreto 546 che permetteva agli amministratori locali e alla Polizia Nazionale Filippina di impiegare uomini del Barangay (circoscrizione) come “moltiplicatori di forza” nella lotta contro gli insorgenti. In pratica il decreto permette agli amministratori locali di convertire le loro armate private in entità legali sotto un nome colorito: organizzazione di volontari civili (CVO)
Un inciso “Pistole ai giovani, terrore giovane” guardava a come le armate private in Maguindanao fossero riempite di giovani. Nel frattempo, “Maguindanao, La Repubblica filippina arretra negli indicatori importanti nel campo dell’educazione” esaminava come la provincia non riusciva a mantenere gli standard educativi fissati dal governo, una situazione esacerbata dai conflitti armati della regione.
Nel 2006, il giornalista compose un pezzo, scritto in prima persona, sull’essere un giornalista a Mindanao, e le sfide idealistiche che i giovani Moro incontrano nella loro lotta per cambiare qualcosa nella regione.
Gutoc fecce parte di un progetto di documentazione con Howie Severino nel 2002 focalizzato sul conflitto a Mindanao come pure sugli sforzi della popolazione ad andare oltre il conflitto. In una storia per il PCIJ, Severino nota come, al contrario dei conflitti tra il governo e vari gruppi ribelli monopolizzano i titoli dei media, le guerre minori tra le famiglie dei feudi rimangono generalmente al di fuori delle cronache.
Di recente, il PCIJ ha anche pubblicato un reportage fotografico di Nonoy Espina sui rifugiati più dimenticati di Mindanao che sottolinea il ruolo che i giornalisti giocano per portare in luce le sofferenze dei poveri nelle aree infestate da conflitti.
Maguindanao, una delle province più povere nella nazione, è anche parte di Suriin ang Kahirapan, un progetto popolare che mira ad una verifica quantitativa della povertà nella regione.
Ed Lingao PCIJ.ORG
Massacro di Maguindanao del 23 novembre 2009
Una notizia impressionante dalle Filippine. Almeno 36 persone sono state uccise nella provincia di Maguindanao, nell’isola di Mindanao mentre una delegazione stava consegnando la candidatura alle elezioni provinciali per il prossimo maggio 2010 all’ufficio elettorale a Shariff Aguak. Un articolo del Inquirer descrive il fatto. Nei prossimi giorni troverete altri articoli e resoconti.
Una volta amici, storia di due clan rivali
Istruzione a Maguindanao
Il primo assassinio politico di massa della stagione elettorale è stato descritto macabro e senza precedenti negli ultimi anni da richiedere, a detta dell’aiuto del Presidente delle Filippine, la dichiarazione dello stato di emergenza per evitare altri spargimenti di sangue.
Almeno 21 persone sono state uccise, di cui 13 donne. Alcune decapitate, altre violentate e mutilate secondo le autorità. E’ partita la ricerca di altre decine che mancano all’appello e che potrebbero essere state rapite e forse uccise nella provincia di Maguindanao.
Tra questi ci sono 13 giornalisti, il gruppo più grande mai ucciso in un singolo incidente.
Gli investigatori della polizia e dell’esercito hanno trovato un piccone di proprietà del governo provinciale di Maguindanao nei campi di “sterminio” dove si coltiva mais e noce di cocco, suggerendo che alcuni possano essere stati uccisi e sepolti in tutta fretta in tombe comuni.
Il vice sindaco Ishmael “Toto” Mangudadatu di Buluan sosteneva che tra gli uccisi ci siano le sue due sorelle, Eden e Farina, insieme a sua moglie e alle avvocatesse Cynthia Oquendo e Connie Brizuela.
Le vittime nel gruppo di oltre 20 donne era accompagnato da oltre trenta giornalisti a cui il vice sindaco Mangudatatu aveva chiesto di presentare la sua candidatura come governatore provinciale nell’ufficio della Commissione Elettorale in Shariff Aguak dove il massacro è accaduto domenica 22 novembre 2009.
“E’ orrendo” ha detto Mangudatatu in un’intervista alla televisione che intervistava i testimoni oculari presenti sull’elicottero militare recatosi in zona per investigare.
“Chiedo al governo che la legge faccia il proprio corso” diceva. “La legge può essere dura ma è la legge”.
Mangudadatu appartiene ad un clan da lungo tempo impegnato in un feudo da tempo controllato da un’altra famiglia Amputuan legata al governatore generale di Mindanao per diventare governatore in una provincia in cui il figlio del governatore generale Unsay è esso stesso impegnato nelle elezioni prossime di maggio.
Il consigliere presidenziale per Mindanao Jesus Dureza ha condannato il massacro.
“Questo è un orrendo massacro di civili che non ha precedenti nella storia recente. Non sono stati risparmiati uomini e donne dei media. Piango i miei amici nei media e tutti quelli morti nel fare il loro lavoro.” ha detto Dureza. “Deve esserci uno stop generale a questa violenza e questa carneficina senza senno ed estrema. Raccomando con forza che si imponga uno stato di emergenza e che siano tutti disarmati. Nulla di meno, o non funzionerà nulla.”
“Non sarà risparmiato alcuno sforzo per portare giustizia alle vittime e arrestare i colpevoli per portarli di fronte alla legge.” ha detto la presidente Arroyo.
Il portavoce delle Forze Armate ha parlato di 21 morti mentre l’ufficio di Mangudatatu ha rilasciato una lista di 36 morti. Il portavoce delle Forze Armate ha detto anche che “Si crede che altri corpi siano sepolti da qualche parte, perciò sono in atto sforzi per cercare di recuperarli.” E’ stato incaricato un battaglione di fanteria per catturare i rapitori e i possibili sopravvissuti, civili disarmati.
“Lo si può considerare un massacro poiché le vittime erano disarmate, civili inermi e per lo più donne.”
Il portavoce ha detto che le persone armate erano secondo quanto si dice uomini della milizia e militanti del governatore di Maguinaldo.
Fonti ufficiali dicono che il gruppo di Mangudadatu si è messo in marcia per Shariff Aguak da Buluan verso le 9 di mattina. Un’ora dopo al confine tra Ampatua e Shariff il gruppo è stato bloccato da uomini armati a 50 chilometri da Shariff. I corpi sono stati trovatio a due chilometri di distanza. Secondo Mangudadatu tra gli armati che hanno bloccatoi il convoglio c’era il figlio del governatore Andal Ampatuan.
Testimonianze
Mangudadatu ha detto che c’erano testimoni che affermano che sua sorella Eden abbia tirato fuori il coltello, chiaramente sentendo il pericolo, e abbia colpito a morte il giovane Ampatuan. Egli ha ricevuto una chiamata verso le dieci da sua moglie che riferiva che almeno 100 uomini armati stavano trattenendo il convoglio e che uno di questi l’abbia schiaffeggiata. E’ l’ultima volta che Mangudadatu sente la voce della donna, il cui corpo è stato scoperto nel tardi pomeriggio nel villaggio di Masalay insieme ad altri corpi.
“E’ davvero doloroso ma fidiamo nella giustizia divina. Ci affidiamo a lui” diceva Mangudadatu.
Secondo la testimonianza del fratello di Mangudadatu 20 corpi erano sparsi nel vicino villaggio di coltivatori di noci di cocco lungo la strada statale.
“I cadaveri erano pieni di proiettili. Alcune donne ovviamente violentate. I veicoli distrutti e derubati di tutto.” ha testiminiato il sindaco che aveva mandato un elicottero a Malasay.
Ebrahim Mangudadatu ha detto che molte vittime sono state sepolte. Una zappa, appartenente al governo provinciale e col nome del governatore messo su, è stata trovata nell’area probabilmente servita per scavare le fosse comuni.
“Ci attendavamo che non le avrebbero fatto nulla essendo tutte donne. Nessuna scorta è stata neanche mandata ad accompagnarli fidando nella polizia e nei militari che li proteggevano.” ha detto il vice sindaco di Buluan.
Andal Ampatuan era stato eletto tre volte consecutive governatore della Provincia di Maguindanao, senza mai trovare opposizione, benché si sia dimesso prima del tempo per evitare il limite temporale per gli ufficiali eletti.
Dei 22 sindaci della provincia la maggioranza sono figli, nipoti o familiari. Due figli di Ampatuan sono stati uccisi in violenze tra clan in guerra.
Ampatuan aveva detto alla stampa che nessuno correva contro di lui o membri della sua famiglia nelle elezioni poiché avevano poche possibilità di vittoria.
“E’ il voto popolare” diceva “mi amano così tanto i miei elettori e chiedono che mio figlio sia il loro rappresentante.”
Ma Presidente Arroyo nel passato ha detto di Ampatuan che era un alleato prezioso. Nelle elezioni presidenziali del 2004 ottenne il massimo dei voti proprio in Miguindanao, dove in una città il suo opponente non ebbe neanche un voto.
Il governatore nell’incontro del Palazzo
Il consigliere del Presidente Gabriel Claudio confermò di essersi incontrato con il governatore generale di Mindanao Zaldy Ampatuan, precidando però che si trattò dei problemi nell’isola di Sulu, non della situazione politica nella provincia, uno dei tanti con esponenti del sud.
“Staimo ancora cercando di farci un quadro generale di ciò che è accaduto, come sia accaduto e delle persone coinvolte. Ma il nostro sguardo è di allarme, di shock e di rabbia.” diceva Caludio all’Inquirer sostenendo come l’amministrazione non avrebbe tollerato il massacro specie se è stato condotto da membri del partito. Per la presidenza, aggiungeva Claudio, era difficile formalizzare delle dichiarazioni finché la polizia e l’esercito non avessero presentato un resoconto completo.
“E’ una cosa urgentissima per noi.”