E’ il momento che il governo prenda sul serio le accuse sull’uso della tortura e degi omicidi extragiudiziali.
Non sono affatto nuove le accuse dell’uso della tortura contro i sospettati di insorgenza nelle province di frontiera meridionale o la brutale attitudine del governo.
Persino quando un sospettato è ritrovato morto nelle sue celle del carcere, il governo recita sempre “la sua politica di divieto dell’uso della tortura come parte delle tecniche di interrogatorio”
In alcuni casi dove sono implicato alcuni ufficiali militari, come le violenze mortali contro l’Imam Yapa Kaseng nel marzo 2008, il sistema giudiziario del paese è stato estremamente svelto.
Si è dovuti arrivare a settembre 2015 perché la Commissione Nazionale contro la Corruzione ritenesse un tenente dell’esercito responsabile della morte dell’imam. Il NACC raccomandò che l’ufficiale fosse incriminato penalmente.
La scorsa settimana tre organizzazioni dei diritti umani rilasciavano un rapporto che accusava il governo di torturare sistematicamente i detenuti nel meridione di lingua malay.
Cross-Cultural Foundation (CrCF), Duay Jai (Hearty Support) Group and Patani Human Rights Organisation (HAP) hanno rilasciato un rapporto di 49 pagine in cui documentavano 54 casi di tortura di detenuto sin dal 2004.
Potrebbero esserci molti più casi poiché qualcuno forse non ha voluto farsi avanti a documentare quello che hanno subito.
Non c’è bisogno di dire che le accuse nel rapporto sono schiaccianti. Ma invece di essere civili su questo, il governo li ha rigettati in fretta come se questa tattica opinabile non avesse dei precedenti.
La cultura dell’impunità tra il personale della sicurezza è da tempo un problema in questa regione inquieta. Sia la legge marziale che il decreto dell’emergenza, entrambi controversi, perché danno impunità completa al personale della sicurezza che opera nel meridione, la aiutano.
L’ex primo ministro Anand Panyarachun definì il decreto dell’emergenza una licenza di uccidere.
Il problema qui non è solo quello di andare nelle sale dove si svolge l’interrogatorio, ma anche quando il sospettato è rilasciato e torna a casa.
Sono deprimenti e scioccanti i racconti di chi è stato convocato o “invitato” ad un’intervista dalla sicurezza nella regione.
Molti temevano per la propria vita perché gli “inviti” confermavano di essere ufficialmente sulle liste di prescrizione di qualcuno. Se qualcuno spia a favore della sicurezza, c’è un altro argomento. La loro preoccupazione sarebbe la possibilità di essere ucciso dall’insorgenza che vedono l’esecuzione delle spie come facile preda.
Dall’esperienza di 12 anni passati si impara che essere sulla lista di proscrizione di qualcuno può portare alla morte. E’ stato questo il caso di tanti ex detenuti uccisi da sicari che talolta usano il silenziatore o sparano da breve distanza.
E quando una notizia locale dice che un cittadino riceve un colpo da vicino mentre viaggia su una moto, ci si deve chiedere da quale lato è stato spinto il grilletto.
Queste accuse schiaccianti sull’uso della tortura e omicidi extragiudiziali o mirati sono state già fatte in varie occasioni da ONG del posto o internazionali. Ed il governo le ha sempre lasciate cadere indipendentemente dalla solidità delle prove apportate.
Non c’è da vedere troppo per comprendere quanto poco professionali siano le forze di sicurezza thai. Tali accuse perciò devono essere prese sul serio, non lasciate cadere immediatamente, come se fosse qualcosa inventato dai militanti dei diritti umani.
Attaccare i messaggeri con una facile teoria cospiratoria, secondo cui questi rapporti mirano solo ad attrarre finanziamenti dall’estero, serve solo a dare una cattiva luce sui militari thailandesi.
Per inciso i militari usano lo steso argomento che molti analisti fanno su di loro, di mantenere viva l’insorgenza in modo che le varie agenzie della sicurezza possano continuare ad avere grossi finanziamenti nella regione.
Crescerebbe davanti agli occhi di tutti la stima del governo se riuscisse ad assicurare di prendere in seria considerazione le accuse di tortura e di fare indagini in proposito.
Naturalmente dirlo solo a parole non è sufficiente, perché prima o poi, le autorità si troveranno di fronte al momento della verità. Hanno bisogno di sapere che le cicatrici non scompariranno dai cuori e dalle menti della gente del posto, per quanto lo possano volere e per quanto a lungo attendono finché il caso non scompare dalla coscienza pubblica.
EDITORIALE Nationmultimedia.com