La presenza attiva cinese nel mare cinese meridionale si estende ormai fino alla punta estrema della mappa a nove linee delineata dalla Cina.
Non sono solo il Vietnam e le Filippine nell’occhio del ciclone, ma è la volta dell’Indonesia e della Malesia, che si ritrovano invase le proprie zone economiche esclusive invase da centinaia di pescherecci cinesi scortate dalla guardia costiera della Cina Imperiale.
Attorno alle isole Paracelso e Spratly, la Cina ha avviato lavori di recupero di suolo su molte rocce affioranti e isole appena abbozzate, costruendo piste di atterraggio, ponendo postazioni radar e ponendo missili terra aria. In molti parlano di creazione di Zona di identificazione aerea che copre l’intero mare cinese meridionale.
Proponiamo un articolo apparso su AsiaSentinel
Giacarta si allontana dalla disputa nel Mare Cinese Meridionale sotto la provocazione cinese
Se il presidente indonesiano Joko Widodo vuole che lo si prenda seriamente quando afferma di voler difendere i diritti indonesiani in mare da nazione arcipelago, forse ha bisogno di un ministro degli esteri di una cultura meno accomodante della persona attualmente incaricata.
L’incidete è accaduto nello scorso fine settimana quando una nave della forza di intervento indonesiano ha preso il comando di un peschereccio cinese, Kway Fey, che si sarebbe intrufolato nelle acque indonesiane. Tre ufficiali indonesiani salirono a bordo arrestando gli otto uomini della ciurma ed il capitano. La nave della forza di intervento stava tirando il peschereccio verso la base indonesiana quando una nave guardia costa cinese la raggiunse e speronò il peschereccio fino a portarlo nelle acque internazionali per non farlo cadere nelle mani indonesiane.
Benché gli indonesiani infuriati abbiano convocato l’ambasciatore cinese presso il ministero degli esteri, i cinesi hanno continuato a sostenere che il peschereccio si trovava nei luoghi di pesca tradizionali cinesi. Il ministro degli esteri Ratno Marsudi nel riconoscere l’incursione ha rifiutato di dire che l’incidente era legato alle ambizioni cinesi sull’intero Mare Cinese Meridionale come proprie acque territoriali.
Jokowi h ordinato la confisca di oltre 150 pescherecci presi nelle acque indonesiane e le ha distrutte con un avviso molto chiaro di non violare la sovranità del paese con risultati spettacolari.
Le autorità indonesiane il 16 marzo scorso fecero saltare in aria il Viking, l’ultima grande nave ricercata per anni a livello internazionale per la pesca dell’austromerluzzo nelle acque dell’emisfero meridionale, e ne arrestò la ciurma.
Ma finora la politica della forza di Jokowi di catturare e distruggere le imbarcazioni scoperte nella pesca illegale nelle acque proprie era per lo più applicata a vietnamiti e a paesi non cinesi. Così si è tratta una linea con Pechino.
L’Indonesia è anche apparsa voler rendere la cosa pubblica piuttosto che accettare la richiesta cinese di stare tranquilli e pretendere che tutto era a posto nelle loro relazioni, come accadde quando confiscarono un altro peschereccio cinese che fu fatto saltare lo scorso maggio insieme ad altri 40 dal Vietnam e Thailandia. E’ una politica di ripiego che si è adattata a Giacarta da molto tempo.
Ma l’Indonesia avrebbe fatto bene ad usare parole più forti ed imporre sanzioni per quello che non era la scappatella di qualche peschereccio ma che ha coinvolto una nave grande della guardia costiera che ricade sotto il comando diretto militare responsabile per il Mare Cinese Meridionale.
Questa nave della guardia costiera non ha rispetto per la Zona Economica Esclusiva indonesiana a largo di Natuna, o non sarebbe stata in quelle acque a 2500 miglia dalle coste dell’isola cinese di Hainan. Questo è stato un atto intenzionale di “afferrare il territorio” come lo è stata l’invasione dello scorso anno della Scarborough appena fuori delle coste filippine.
I pescherecci cinesi non hanno diritto di trovarsi dalle parti delle isole Natuna e le zone economiche esclusive adiacenti appartengono al Vietnam e la Malesia.
Mentre la Cina potrebbe riconoscere la sovranità indonesiana sulle isole Natuna, reclama chiaramente attraverso le sue mappe e ora con le azioni quasi tutto il mare a nordest delle isole. Questo è anche il sito di un campo di gas ricco e ancora da esplorare delle Natuna Orientali. Le isole Natuna sono vitali ma vulnerabili, disese su 260 mila chilometri quadrati, dove solo 20 delle 154 sono abitate.
La ricchezza del gas è colossale ma ha dei costi molto alti da ostacolare l’inizio dello sviluppo.
Sotto queste circostanze, è assurdo che il ministro degli esteri indonesiano Ratno continui ad affermare che l’Indonesia non fa parte della disputa di sovranità, che coinvolge Cina, Vietnam, Malesia, Brunei, Filippine e Taaiwan sul cosiddetto Mare Cinese Meridionale.
Come potrebbe non esserlo alla luce delle mappe e delle azioni cinesi?
La testa di Giacarta ora forse non è coosì seppellita nella sabbia come lo era nel passato, quando professava di essere amica con tutti e reclamava per sé un qualche ruolo di intermediario neutrale nelle dispute regionali. Cionondimeno il presunto potere del denaro cinese per i progetti infrastrutturali e l’influenza dei miliardari locali cinesi, la cui fedeltà nazionale è in pratica divisa, hanno cambiato la loro risposta alle sfide aperte.
Lo scorso anno Joowi, nel suo viaggio in Giappone, disse che l’Indonesia rigetta l’affermazione cinese della Mappa delle nove linee. Eppure allo stesso tempo ha dato il benvenuto all’aspetto della Via Marittima della Seta della politica One Belt One road, anche se ha obiettivi strategici e commerciali per la Cina. Come si sa, sebbene questa politica possa sembrare abbastanza innocente, gli indonesiani farebbero bene a ricordare la loro storia, l’invasione fallita di Giava del 1293 e le domande in tributi sostenuta dalla forza navale massiccia dell’inviato della Cina imperiale Zheng He nei suoi viaggi attorno alla regione nel XV secolo.
In breve la difesa del territorio indonesiano è lavoro del ministro della difesa non un gioco di parole eleganti da ministro degli esteri.
Philip Bowring, Asiasentinel