“La realtà è solo un’illusione, anche se molto persistente.” dichiarò una volta Einstein. All’apparenza le Filippine sono un’economia emergente attiva sul punto di esplodere. E’ tra i pochi centri attivi in un panorama economico globale altrimenti tetro. Anche l’atmosfera pubblica è positiva. Le indagini demoscopiche dicono che il senso di ottimismo dei filippini sul loro futuro è ai massimi storici.
Il paese ha anche goduto un progresso istituzionale. Gli anni scorsi hanno visto un notevole miglioramento in termini di competitività economica del paese e di lotta alla corruzione. L’amministrazione attuale, sotto l’egida del presidente Aquino ha con fiducia avuto credito per gli impressionanti progressi del paese del sud est asiatico negli anni scorsi.
Lo stesso Aquino, considerato il rappresentante più fidato del paese, terminerà la propria presidenza come il più popolare dei presidenti eletti nella storia recente. Gli investitori globali e i media internazionali non erano mai stati così ottimisti sulle Filippine, una nazione promettente che solo un decennio fa era stata catalogata come l’ammalato dell’Asia.
Ma se prova a grattare la superficie emerge un quadro diverso, di torti politici e desiderio di cambiamento, per il meglio o per il peggio. Il paese sta stabilmente cedendo alla “sindrome dell’uomo forte”, il credo errato solo i discorsi duri e la volontà politica possono affrontare le sfide compresse del governo del XXI secolo.
Presto, la democrazia filippina (del cacicco) come la conosciamo potrebbe avere una fine, perché i filippini sempre più optano per sconosciuti politici e per figli di un ex dittatore che hanno promesso una guida decisa e disciplina nazionale.
Gli ultimi sondaggi indicano che un sindaco di provincia, Rodrigo Duterte e il Senator Bongbong Marcos sono al comando per le due maggiori posizioni al governo.
L’ascesa da meteore di Duterte e Marcos è uno schiaffo in faccia dell’elite politica filippina.
Senza dubbio le Filippine soffrono per la stanchezza democratica che potenzialmente apre la strada ad un cambio radicale nei prossimi anni. L’elite politica del paese non riesce a ritornare alla stessa politica senza patire la pena alle elezioni se non addirittura la cacciata dal reame politico.
La stanchezza democratica
La fine della dittatura di Marcos nel 1986 ha dato una opportunità perfetta al paese di ricostruire le propria fondamenta. Dopo tutto come spiega il compianto Benedict Anderson “il saccheggio incontrollato e parassitico dello stato e delle risorse private” sotto la dittatura di Marcos “ha dato una spallata alle Filippine, nel suo lungo tuffo, trasformandola dalla società capitalistica più avanzata nella regione negli anni 50 nella più depressa e povera degli anni 80”.
Per i tre decenni scorsi ai filippini hanno promesso libertà, prosperità e pace, ma inutilmente. Le periferie del paese continuano ad essere infestate dall’insorgenza e dalla confusione; le potenze straniere rosicano le sue frontiere marittime; le dinastie politiche hanno senza scrupolo ridisegnato il paese in potentati; povertà e tassi di sottolavoro sono ancora a oppia cifra; e la corruzione sistematica continua a persistere a tutti i livelli del governo.
E’ duro difendere o mantenere la fiducia nella democrazia filippina cacicca quando il paese, dopo anni di crescita oltre la media, è ancora la casa di una delle maggiori baraccopoli al mondo e soffre del più alto tasso di disoccupazione della regione. La ricchezza creata di nuovo non si trasmette verso il basso della società.
Le aree rurali non stanno meglio. Per oltre mezzo secolo si è promesso ai contadini il diritto a possedere la terra che lavorano eppure il paese continua ad avere il programma di riforma agraria più lento al mondo. Come spiega Joe Studwell: “In nessun altro paese asiatico si sono prodotti più piani di riforma agraria come nelle Filippine. Ma allo stesso modo nessuna elite di governo ha presentato così tanti modi per evitare l’applicazione di una riforma agraria come l’elite filippina”.
Il paradosso delle infrastrutture del paese non è meno sconsolante. Gli abitanti di Metro Manila hanno dovuto sopportare la lotta quotidiana con quello che si considera il peggior traffico al mondo. Cosa ha fatto il governo per risolvere questo?
Secondo The Economist: “I piani di trasporto di Manila sono stati terribili, tra quelli più stupidi adottati da una grande città.”
Certo, c’è la crescita, ma è concentrata. Certo c’è la formale libertà politica ma non può essere attualizzata dai cittadini più poveri. Lo status quo non è sostenibile. Le Filippine del dopo Marcos sono state azzoppate da una combinazione tossica di mera incompetenza, negazione cinica e corruzione cronica. E questo ha aperto la strada alla ripresa di figure da uomo forte.
La sindrome da uomo forte
“La società è sempre pronta ad accettare una persona per quello che pretende di essere, così che un folle che si atteggia a genio ha sempre una possibilità di essere creduto” ha messo in guardia Hanna Arendt nel suo libro “le origini del totalitarismo” oltre mezzo secolo fa. Non c’è da meravigliarsi quindi che, come lamenta Al Gore, che le democrazie possano essere facilmente “hackerate” da politici accorti che sanno come sfruttare i torti politici e a presentarsi falsamente come l’ultima speranza del paese.
Le elezioni sono diventate un teatro osceno dell’apparenza piuttosto che della sostanza. Mentre l’America si trova di fronte all’orrore di una possibile presidenza di Trump, ex clown professionisti cercano il potere in Europa Occidentale e America Latina. In Guatemala Jimmy Morales, ex clown, è di fatto diventato presidente. Lo scadimento democratico nel mondo ha rilasciato un’ondata di rabbia, che si è tradotta in sostegno politico per i candidati più impossibili.
In Peru la figlia, Keiko, di un ex dittatore attualmente in prigione Alberto Fujimori, è sulla buona strada per vincere la presidenza. In modo simile alle Filippine il Peru è stato uno dei rari centri attivi, e gli ultimi anni hanno visto una amministrazione riformista che ha messo in ordine il fisco nel paese. Ma gli scandali di corruzione e l’ineguaglianza economica persistente hanno minato la fiducia nelle attuali istituzioni democratiche.
Anche le Filippine sono assalite dalla nostalgia per l’autocrazia, dove Bongbong Marco, il solo figlio maschio dell’ex dittatore è nella posizione di poter vincere la vice presidenza ed aprire la strada per una corsa eventuale per la carica maggiore nel prossimo futuro. Mettendo insieme il revisionismo storico con la sua storia recente come senatore Marcos ha promesso di rendere di nuovo grandi le Filippine ed ha affermato, in modo alquanto dubbio, che suo padre avrebbe fatto del paese una specie di Singapore se gli fosse stato dato tempo, affermazione improbabile sconfessata alla grande dagli esperti.
Egli ha congedato la rivoluzione dell’EDSA come un guasto indesiderato piuttosto che una rottura eroica con il sistema fallito. Nel frattempo, il sindaco Duterte che fino a qualche tempo fa era un politico relativamente marginale, è in una posizione ugualmente promettente di prendere la presidenza. Sfruttando le presunte virtù della sua guida da uomo forte a Davao, ha promesso, in modo stupefacente, che porrà fine alla criminalità e corruzione nelle Filippine entro i primi sei mesi della presidenza, se non prima.
Mentre Marcos non si è rifiutato di glorificare il passato dittatoriale, Duterte, che non rifugge dal linguaggio ripugnante, ha apertamente espresso il dubbio nelle istituzioni democratiche. In breve un numero crescente di filippini vogliono eleggere politici che non sembrano credere nel sistema democratico attuale. Chi è nato in questo millennio, che non ha esperienza della dittatura di Marcos, sembra essere così preso dalla retorica dell’uomo forte di Duterte Marcos e dalla guerra lampo saggia dei social network.
Sia Duterte che Marcos sono profondamente popolari tra le classi più istruite del paese. Le Filippine seguono un percorso simile alla Thailandia, Turchia e Cile dove la classe media compressa storicamente piccola ha cercato di flirtare con il potere autocratico per pura esasperazione verso le decadenti istituzioni democratiche.
Il percorso in avanti
Non ci sono molti dubbi sullo scoppio che cova della rabbia generale per i guasti della democrazia filippina. I filippini hanno tutto il diritto di sentirsi arrabbiati e delusi con l’elite al potere. Uno sguardo più attento, comunque, aiuta a dire che il problema delle Filippine è proprio la mancaza di democrazia, non la sua esistenza o i presunti eccessi. Come hanno detto pensatori di punta come Siglitz la tendenza tra la gente è focalizzarsi sul problema sbagliato.
Prima di tutto la letteratura è chiara su una cosa: la tipologia di regime non è né un prerequisito né determinante per uno sviluppo economico e la stabilità politica.
Per ogni nazione autocratica che ha avuto successo si possono trovare dozzine di paesi autoratici poveri dalla Birmania, allo Yemen. Per ogni capo autocratico di successo come Deng Xiaoping o Lee Kuan Yew si possono trovare tantissimi Mao, Gheddafi o Mugabe. Le democrazie nel frattempo hanno nella media fatto molto meglio, sebbene pochi hanno vissuto un qualche miracolo economico vissuto da pochi regimi autocratici competenti, per lo più nella sfera confuciana.
Il problema dei sistemi forti è stato identificato già da Aristotele che chiese al suo mentore, Platone: Chi ci guarda dai guardiani? In assenza di sistemi istituzionalizzati di controllo, dalle libere elezioni allo sguardo accorto dei media e della magistratura, i paesi autocratici tendono a cadere vittima di quello che Francis Fukuyama definisce “Il problema del cattivo imperatore”: un’intera nazione potrebbe soffrire tanto tempo se un tiranno senza scrupolo raggiunge il potere o un autocrate competente degenera nella tirannia nella vecchiaia e decadenza.
Poi, e più importante, le Filippine non sono davvero una democrazia genuina, se si considera quanto una oligarchia piccola e abbastanza coerente ha dominato il panorama politico ed economico er oltre un secolo. In questo senso quello di cui c’è bisogno non è una rivoluzione sanguinosa né un ruolo autocratico quanto piuttosto una riforma graduale, sistematica verso una democrazia sostanziale, dove i cittadini possono beneficiare della libertà dalla paura, della fame e dell’ingiustizia.
Forza! I filippini stanno perdendo la pazienza. E la ragione sta perdendo la sua presa sulla coscienza del paese. O si riuscirà a creare una genuina democrazia filippina oppure, ancora una volta, le Filippine cadranno nella trappola autocratica.
Richard Javad Heydarian HP.com