Rodrigo Duterte ha conquistato un voto di massa con il 38.5% dei voti, tenendo lontano in seconda posizione Mar Roxas, candidato del presidente Aquino e suo ministro dell’interno, che ha preso solo il 23% dei voti.
Il presidente filippino ha un mandato di sei anni e non è rieleggibile. Insieme al presidente si vota per il vice presidente e 12 senatori, per i sindaci ed i governatori delle province.
Come vice presidente sembra in prima posizione Leni Robredo, avvocato che proviene dalla regione di Bicol, altra regione povera delle Filippine, che supera di misura con oltre 200 mila voti Bongbong Marcos, il figlio dell’ex dittatore che non ha mai rinnegato il potere dispotico e nepotista del padre.
Mentre gli sconfitti della corsa alla presidenza, Grace Poe, Mar Roxas e altri, hanno ammesso la sconfitta, il senatore Bongbong Marcos per la vice presidenza non ha ancora digeritola sconfitta e accusa l’amministrazione di lavorare alla sua sconfitta attraverso la manipolazione delle trasmissioni dei dati dalle province dove il conteggio è storicamente difficile.
Lo stile autoritario di Duterte, le accuse rivoltegli di aver ripulito la sua città a forza di omicidi extragiudiziali compiute dalle squadre della morte; le dichiarazioni roboanti contro la criminalità che sarà cancellata dalle Filippine con la forza delle armi; la delusione per i risultati dell’amministrazione Aquino che non è riuscita a lasciare una eredità credibile nella lotta alla corruzione e, soprattutto, alla povertà nonostante una crescita del prodotto interno lordo del 6% e degli investimenti esteri diretti: tutto questo ed altro, come la debolezza del candidato Roxas e la frattura con l’altra candidata Grace Poe, hanno aperto la strada alla nomina di un presidente che si presenta come autoritario.
Se si guarda l’elezione di Duterte in accoppiata con la possibile ascesa di Bongbong Marcos, il rischio di un ritorno ad un periodo di legge marziale non è stato poi così lontano. Giustamente tanti democratici filippini ed i familiari delle vittime della legge marziale si sono pronunciati duramente durante la campagna elettorale contro il pericolo Marcos.
Il risultato elettorale, stando ai risultati parziali, ha per lo meno concesso la vittoria a Leni Robredo, moglie del compianto sindaco di Naga Jessy Robredo, che ha di fronte a sé l’arduo compito di tenere a bada un presidente la cui agenda politica è ricca di proclami antidemocratici e di demagogia che hanno preso la pancia del popolo filippino.
Da notare è che Duterte è il primo presidente a provenire da Mindanao dove si agitano due situazioni di guerra: la guerriglia del Partito Comunista Filippino e l’insorgenza Moro. Resta da vedere se la sua provenienza da una regione di periferia è davvero un segno positivo rispetto alla rottura del circolo delle elite e delle dinastie politiche, oppure è solo la nascita di una nuova dinastia ed un potere autoritario.
Duterte nell’inizio della sua campagna elettorale ha vantato le sue origini povere, la difficoltà economica e l’origine popolare, cosa che certamente lo ha reso appunto popolare, al contrario invece di Mar Roxas, ricco e proveniente dalla contestata elite economica filippina.
Durante la campagna elettorale, però, è stato sollevato uno scandalo dal senatore Trillanes che ha messo in luce alcuni conti bancari non denunciati nelle dichiarazioni di proprietà di Duterte. Su questi conti sembrano siano passati vari milioni di dollari ad attestare che in fondo povero proprio non è. Le stesse dichiarazioni di proprietà in fondo mostrano una crescita economica che lo stipendio di sindaco non riesce proprio a giustificare.
Nei confronti della prima insorgenza, Duterte ha più volte favorito il rilascio di poliziotti o militari sequestrati dall’insorgenza intervenendo di persona. Ha più volte espresso la volontà a porre fine alla guerriglia con trattative. Proprio durante la campagna elettorale la guerriglia ha rilasciato nelle sue mani alcuni poliziotti sequestrati. Sembrerebbe un grande passo in avanti. Anche Davao era un centro dove era presente l’insorgenza del PCF. Duderte sembra averla allontanata dalla provincia.
Riuscirà a portarla ad un tavolo di pace oppure solo a metterla in sordina durante la sua presidenza?
Rispetto all’insorgenza Moro Duderte si espresse a favore della approvazione della Legge Fondamentale Bangsamoro, però il suo candidato vicepresidente e possibile ministro del suo governo, Cayetano, è stato uno degli affossatori più gretti della legge nel senato filippino insieme a Bongbong Marcos.
Inoltre nel meridione filippino Duterte avrebbe avuto il sostegno della fazione del MNLF di Misuari, ricercato ancora per l’assalto a Zamboanga del 2013 dove morirono centinaia di persone, estremo oppositore alla legge fondamentale della Bangsamoro.
Si viaggia quindi ancora nell’ignoto, nelle congetture per queste grandi questioni.
Sull’altra grande questione dello scontro con la Cina, sembra che la Cina abbia puntato molto su Duterte e su una sua possibile vittoria per avere un presidente meno ostinato di Aquino, più malleabile.
Duterte sembra favorevole ad un negoziato multilaterale con la Cina in cui sarebbe disposto a rinunciare alle questioni di sovranità nazionale in cambio di investimenti strutturali cinesi in alcuni settori. Cosa pensa di risolvere non si sa bene ancora.
Di certo si sa che il nuovo inviato cinese a Manila, nell’ottobre del 2015, decise di incontrare proprio Rodrigo Duterte ben prima che avesse deciso pubblicamente di candidarsi alle elezioni. Cosa si siano detti non si sa, però durante la campagna elettorale Duterte ha proclamato di voler indagare sulle ragioni che hanno portato le isole Scarborough Shoal nelle mani cinesi e di voler perseguire quindi lo stesso Aquino.
Dall’articolo citato si evince anche un finanziamento di un cinese della sua campagna elettorale. C’è una linea diretta tra Pechino e Duterte su questa questione come dice la giornalista filippina, Raissa Robles?
Le cose certe sono il suo atteggiamento e la sua ideologia autoritari, verso la lotta al crimine e alla droga che minacciano di portare le Filippine lungo una strada pericolosissima per la democrazia ed i diritti umani e che, però, trovano il consenso anche popolare e quello di settori della chiesa.
Il rettore della cattedrale di Masbate, a Mindoro, in una predica si rivolge a Duterte, lì presente durante la messa, dicendogli di aver fatto una lista di persone che dovrebbero essere uccisi nel caso lui diventasse presidente.
E’ un mix pericoloso per l’evolversi di un sistema autenticamente autoritario.