Dopo la promessa che arriva il cambiamento saranno ancora le politiche di Aquino a funzionare e finanziare le politiche populiste di Duterte
Per quanto possa sembrare ironico, se si considera la piattaforma della sua campagna elettorale, gli investitori hanno accettato di buon grado la sua agenda economica in otto punti del nuovo presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte, in cui ha promesso di continuare le politiche macroeconomiche attuali del governo uscente.
Senza dubbio questo è uno scostamento forte dalla sua promessa, “ Arriva Il cambiamento ”, sotto cui ha criticato il presidente uscente Aquino per non essere riuscito a sollevare dalla povertà la vita di oltre un quarto di filippini, nonostante il tanto vantato tasso di crescita più grande dagli anni 70.
Con Aquino, le Filippine hanno fatto un’impresa non indifferente. Da essere definita Il malato dell’Asia, la nazione è giunta nel primo trimestre del 2016 a crescere del 6.9% superando tutte le grandi nazioni asiatiche compreso la Cina. Ma forse il migliore risultato negli scorsi sei anni è di aver sistemato la propria disciplina fiscale. Il deficit statale è caduto dal 5% del PIL allo 0.9 dello scorso anno.
Sin dal 2011, Aquino è stato criticato di più per non aver speso abbastanza per sostenere l’economia che per aver infranto l’obiettivo del deficit all’inizio dell’anno, qualcosa che il suo predecessore aveva fatto in modo consistente. In contrasto il suo governo è sceso sotto il tetto di spesa per cinque anni, mentre nello stesso periodo registrava la crescita delle entrate a doppia cifra.
Di conseguenza le Filippine non solo hanno guadagnato vari giudizi positivi dalle agenzie di rating che hanno abbassato il prezzo del prestito per consumatori ed investitori, ma hanno anche permesso che la spesa diventasse uno strumento indispensabile per la crescita, secondo il ministro delle finanze Abad. Ed i dati lo confermano.
Il governo, per esempio, è riuscito a colmare la differenza decennale in numero di classi con la spesa all’istruzione cresciuta di quasi tre volte. Un programma sociale che garantisce alle famiglie povere denaro contante in cambio dell’istruzione dei propri figli a scuola e la salute materna è stato espanso a coprire 4,4 milioni di famiglie dalle iniziali 800 mila del 2010. E a dispetto della tragicità infrastrutturale dell’arcipelago, si deve dare credito ad Aquino per aver raggiunto un rapporto tra spesa infrastrutturale e PIL del 3.3% lo scorso anno, il più alto dal 1991.
Il ministro Cesar Purisima ha detto che il prossimo presidente erediterà un paese migliore. La spesa nazionale darà prova di ciò; la disciplina fiscale di Aquino è stata senza precedenti. Le promesse di Duterte dipendono persino sul fatto che rispetto al 2010 il nuovo presidente ha più fondi ora a propria disposizione.
Non potrebbe fare queste promesse senza sapere che i soldi sono già lì. E anche se Duterte potesse, per quanto populista possa essere, senza basi finanziarie sarebbe destinato al fallimento. Fare più cassa e riforme fiscali immediatamente non si tradurranno necessariamente e automaticamente ad una migliore riscossione. Aquino stesso aveva sei anni per riformare il budget. Ha raccolto maggiori entrate nel giro di due anni, ma c’è voluta la sua intera presidenza per bilanciarle con la spesa giusta, non troppo poco non troppo.
Si consideri la promessa di una spesa annuale alle infrastrutture del 5% del PIL, un livello proposto dalla Banca Mondiale. Anche quella prospettiva sarebbe stata quasi impossibile un decennio fa con il deficit che era alle stelle e il debito che contava per il 70% della produzione. La gente aveva criticato il governo per mettere soldi sull’accumulazione del capitale che non possono mangiare in un momento in cui anche i servizi sociali vanno male.
Un altro esempio è la promessa di riformare il sistema di tassazione. Lo scorso anno, ci fu la proposta di abbassare la tassazione sulle entrate, le seconde più alte nella regione ed alte fino al 32%. Aquio si oppose e la cosa gli costò del capitale politico di cui ora Duterte si avvantaggia. Parte della sua agenda economica è di rivisitare il sistema fiscale, una buona mossa davvero. Ma è possibile solo per le entrate che crescono che hanno battuto consistentemente la crescita del PIL.
La proposta sarebbe stata altrimenti catastrofica. Il ministero delle finanze stima che abbassare la tassazione dal 32% al 25%, che vuole il team di Duterte, costerebbe fino a 7 miliardi di dollari. Questa cifra rappresenta oltre il 76% del budget riservato per l’istruzione quest’anno.
Persino la piattaforma contro il crimine deve ringraziare Aquino. La sua promessa di aumentare la paga della polizia per la sua lotta alla droga richiede fondi ed un governo con tanti soldi lavorerà a favore di Duterte. Quest’anno i salari dei lavoratori statali sono cresciuti con un ordine di Aquino. Quello rappresenta il primo di quattro aumenti previsti da una legge che non è stata approvata rima che il congresso si fermasse per le elezioni. Si può solo sperare che la prossima amministrazione continuerà nella stessa direzione anche qui.
Globalmente l’economia filippina splende come una che ha evitato il pericolo morale dell’aiuto della banca centrale. Diversamente dai vicini in Giappone, Corea, Thailandia e Singapore, la Banca Centrale Filippina ha tenuto i tassi fermi in 13 incontri consecutivi, notando che l’economia non ha bisogno di sostegno monetario. Nel suo ultimo incontro di maggio, la banca centrale ha sottolineato una base di consumo in salute e il rafforzamento della spesa stale come ragione per la resilienza dell’economia locale.
Far sentire la crescita e colpire la povertà richiederà che il governo spenda di più. Ma servirebbe a Duterte e al paese il mantenimento della disciplina fiscale. Il suo gruppo di transizione ha annunciato una revisione delle agenzie delle entrate come un modo per accrescere le entrate. M devono fare qualcosa di più e creare nuove politiche fiscali. Il fondo monetario internazionale ha detto che le misure dell’amministrazione delle tasse potrebbe solo aggiungere entrate di solo mezzo punto del PIL.
Ai livelli attuali non sarebbe neanche sufficiente a costruire più strade e ponti, mentre assicurerebbe che i poveri abbiano lavoro e alimenti sul tavolo.
Prinz Magtulis, The Diplomat