Nello scontro la Cina afferma che è stato ferito un pescatore cinese, mentre di certo è che sette sono stati arrestati e il peschereccio sequestrato.
Questo è il terzo incidente dopo uno a marzo e maggio, però questa volta la Cina per bocca del suo ministero degli esteri afferma che la ZEE indonesiana si sovrappone alle “acque storiche” cinesi, racchiuse nella famigerata mappa delle nove linee, che Pechino usa per demarcare i propri interessi e diritti marittimi nel Mare Cinese Meridionale.
“Speriamo che l’Indonesia possa incontrarci a metà strada, che riconosca la questione importante e risolvere la questione della pesca” ha detto il ministro degli esteri cinese ed assicurare pace e stabilità.
Non solo zona di pesca storica per i pescatori cinesi ma anche dove “Cina ed Indonesia hanno reclami di sovrapposizione per i diritti ed interessi marittimi”.
L’Indonesia da parte sua ha riaffermato di non essere un paese che ha richieste in competizione o dispute territoriali con la Cina nel mare cinese meridionale come le hanno Vietnam, Filippine, Malesia, Brunei e Taiwan. Nessun mare in sovrapposizione tra Indonesia e Cina.
Da qualche mese l’Indonesia sta riaffermando la sua politica di lotta alla pesca illegale con sequestro e distruzione delle imbarcazioni nei confronti di tutti i paesi.
Con la Cina la questione è ben più delicata per via dei forti legami economici e finanziari che potrebbero subire delle frizioni.
In risposta a questo nuovo scontro il presidente indonesiano Joko Widodo ha indetto un incontro del governo sulla nave militare che ha aperto il fuoco contro il peschereccio cinese.
Nell’occasione il presidente ha promesso di migliorare le capacità della Marina Indonesiana sia in termini di equipaggiamenti e materiali sia in tecnologia ed addestramento o preparazione generale.
L’Indonesia vuole affermare così la propria sovranità sulle isole e sul mare circostante.
“Nel corso della nostra storia non siamo mai stati così duri con la Cina. Questo incontro sta a dimostrare che il presidente non la sta prendendo alla leggera questa questione” ha detto il ministro Luhut Pandjaitan.
Un altro ministro ha detto: “Le isole Natuna sono parte della sovranità indonesiana e questo è tutto”
“Non è saggio spingere il più grande paese del sudestasiatico dall’altra parte se non si vuole unificare l’intero ASEAN contro la Cina” ha detto un analista di Crisis Group.
L’Indonesia si ritrova così ad essere sempre più tirata in ballo in una disputa in cui non vorrebbe entrarci e in cui ha sempre assunto una posizione neutrale.
Proprio questa posizione neutrale è ora messa alla prova dalla politica cinese dei pescherecci che va a punzecchiare il paese nelle sue acque attorno alle isole Natuna per saggiarne la posizione di paese non reclamante.
Secondo un’analisi di Pierre Marthinus ci sono sei priorità di politica estera che spingono verso la politica di “Non vedere la Cina”.
Per prima cosa è che la politica estera indonesiana esalta la diplomazia economica, gli interessi economici e commerciali, gli investimenti esteri e l’assistenza a progetti infrastrutturali.
“L’Indonesia comprende che la Cina è il principale motore della crescita della regione e per l’Asia in generale. E Pechino riconosce all’Indonesia la sua centralità economica nella regione e la crescente influenza dei suoi forum economici internazionali come il G20.”
La Via della Seta Marittima e gli investimenti della Banca di Investimento Asiatica risalgono al 2013.”
Il commercio con la Cina vale 44 miliardi di dollari ed ha avuto un incremento del 400% lo scorso anno, mentre la Cina resta indietro nel campo della realizzazione degli investimenti promessi rispetto a Corea e Giappone.
Pechino inoltre, secondo l’autore, considera anche lo status indonesiano di non alleato formale con l’occidente.
Secondo punto, la promiscuità di politica estera del paese la fa gravitare attorno alle grandi potenze che hanno un piano per la regione. La stessa politica cinese si è dimostrata di grandi idee e sostenuta da grande volontà politica e sostegno finanziario notevole. Cosa d cui non si può dire degli USA.
“Economicamente un accordo regionale di commercio come un TTP che escluda il principale motore della crescita, la Cina, non ha senso. Sul piano militare l’insistenza americana e australiana a condurre azioni provocanti di libertà di navigazione non contribuisce alla stabilità della regione.
Sebbene il grande disegno cinese sia imperfetto e lacunoso, sembra esser la sola cosa fattibile al momento.”
Terza cosa sembra che la politica di libertà di navigazione praticata dagli USA e dall’Australia sia poco gradita a Giacarta in quanto unilaterali e in quanto tralasciano le vie d’acqua dell’arcipelago designate dall’Indonesia.
“Giacarta preferisce iniziative marittime multilaterali e regionali che escludano le potenze straniere. Quindi i manifesti di libertà delle potenze occidentali su operazioni militari provocatorie e al limite non impressionano nessuno a Giacarta.”
Come pure la zona di difesa aerea cinese nel mare cinese orientale ha un suo equivalente australiano in una zona di identificazione marittima da 1000 miglia nautiche che mangia molta parte del territorio indonesiano nelle acque del mare di Giava.
Quarto, il principio di politica estera indonesiana detta una posizione attiva ed indipendente.” L’Indonesia non vuole prendere parte nelle grandi diatribe delle grandi potenze come non vuole invitare le potenze straniere nella disputa del Mare cinese meridionale.
L’Indonesia partecipa sia al TPP americano che alla AIIB cinese ed accetta bene sia i progetti infrastrutturali dei porti cinesi che la costruzione della capacità marittima americana.
La pratica della politica estera indonesiana, per quinto punto, rigetta le asserzioni militari cinesi nella regione ma dà il benvenuto all’impegno della costruzione di istituzioni.
“Forme embrioniche di un ordine istituzionale sino-centrico emerge attraverso la Banca di investimento Asiatica, l’Iniziativa di Chiang Mai, l’OBOR cinese e il Fondo della via della seta, insieme a partnership economiche rgionali in cui cresce l’influenza cinese.”
In ultimo l’Indonesia non vede la Cina come una minaccia alla sicurezza ben definita. La definizione degli incidenti di Natuna sono state indicate, nel passato, come una questione della pesca da inquadrare e lasciar andare all’interno di una disputa di risorse di mare, non una disputa di sovranità territoriale.
Questa stessa ottica secondo l’autore si applicherebbe anche al conflitto che nascerà sull’esplorazione di gas nelle isole Natuna.
“L’Indonesia continuerà a rigettare ogni forma di provocazione e diretto confronto con la Cina nel Mare Cinese Meridionale. L’Indonesia non prova né sicurezza né assicurazione dalle azioni provocatorie delle potenze occidentali lontane che possono causare una guerra il cui peso ricadrà sulla regione.
Le potenze occidentali non devono usare la retorica anticinese di minacce alla sicurezza accresciute, semplicemente perché sono troppo poveri per scalzare la diplomazia economica cinese e troppo distratti per sconfiggere l’offensiva cinese del One Belt, One Road, OBOR”.
Resta però un fatto che l?indonesia ha deciso di rafforzare la sua presenza militare nelle isole Natuna inviando altre cinque navi da guerra.